Nell’agosto
1914 gli uomini furono arruolati e inviati sul fronte russo, dove subirono
perdite sanguinose. Dal maggio 1915 un’ampia fascia del territorio trentino fu
devastato dai bombardamenti. Un terzo della popolazione fu evacuata e
trasferita in Austria, Boemia, Moravia, o in Italia. La sua economia fu
sconvolta. La popolazione che rimase nei paesi conobbe la fame e la durezza
dell’occupazione militare. Alla fine della guerra, scomparso l’Impero
austro-ungarico, il Trentino entrò a far parte del Regno d’Italia.
IL TRENTINO NELL'OTTOCENTO
Nel
1815 il Trentino divenne parte del Tirolo e dell’Impero d’Austria. I rapporti
con le autorità tirolesi furono sempre difficili e ciò spiega la pressante
richiesta di autonomia del Trentino verso la parte tedesca della provincia.
Negli anni del Risorgimento il Trentino partecipò, anche se marginalmente, al
movimento nazionale italiano. Nella seconda metà dell’Ottocento, associazioni
come la S.A .T.,
la “Pro Patria”, la “Lega Nazionale”, la “Società degli studenti trentini”
furono protagoniste della difesa dell’identità nazionale italiana. I partiti
liberale, socialista (in cui militò Cesare Battisti) e popolare (in cui si
formò Alcide de Gasperi) animarono la vita pubblica, battendosi in difesa del
Trentino nel contesto tirolese. Il Trentino conobbe un avvio di modernizzazione
con la nascita del turismo e la costruzione di un sistema di trasporti
ferroviario.
Sul
piano militare, negli anni tra il 1833 e il 1838 l’amministrazione austriaca
deliberò la costruzione della piazzaforte di Bressanone (Franzensfeste) e dello
sbarramento di Nauders (1834-1840). Tra il 1859 e il 1866 il Trentino divenne
area di confine con il Regno d’Italia e il governo di Vienna predispose la
militarizzazione del territorio. Tra il 1861 e il 1915 furono costruite circa
80 fortificazioni e un sistema trincerato lungo 300 chilometri . Nei
piani di Vienna, in caso di conflitto contro l’Italia e la Russia , il Tirolo avrebbe
dovuto resistere contro un avversario numericamente superiore. A partire dal
1860 furono costruite numerose “tagliate” (sbarramenti stradali) a difesa dei
valichi: Gomagoi, Strino, Lardaro, Ampola, Riva del Garda, Bus de Vela, Doss di
Sponde e Rocchetta. Nel 1867-1871 sorse lo sbarramento di Civezzano, a
protezione della città-fortezza di Trento. Nel 1880-1884 fu la volta dei forti
Candriai e Mandolin attorno a Trento, delle batterie sul monte Brione a Riva
del Garda, del forte di Pannone, in val di Gresta. Tra il 1884 e il 1900 gli
austriaci rafforzarono le tagliate stradali: furono costruiti il forte Corno in
Valle del Chiese, gli sbarramenti di Tenna e Colle delle Benne in Valsugana, di
Paneveggio e Moena in Val di Fiemme e Fassa, di Pieve di Livinallongo, di
Landro in Val di Sesto.
Quando,
nel novembre 1906, Franz Conrad von Hötzendorf divenne capo di Stato Maggiore,
il programma di fortificazioni divenne più ambizioso, soprattutto nella parte
meridionale del Trentino. Tra il 1904 e il 1914 furono erette le fortificazioni
di Tonale, Presanella, Pejo, Carriola, Garda, Tombio, Tonale; fu progettata la
“cintura di acciaio” che doveva difendere la Valsugana , gli Altipiani
e la Vallagarina ,
ma nel 1914 solo i forti di Folgaria, Lavarone e Luserna erano stati portati a
termine. Nel settembre 1914, lo Stato maggiore austro-ungarico incaricò il
generale Franz Rohr di costruire la Tiroler Widerstandslinie
(linea di resistenza tirolese), una linea trincerata ininterrotta dal Tonale
alla Marmolada da utilizzare nel caso di un conflitto con il Regno d’Italia.
Furono impiegati circa 20.000 lavoratori civili. Attorno a Trento fu
predisposta una nuova massiccia fortificazione. Allo scoppio della guerra
(maggio 1915) sul fronte italo-austriaco esistevano solo pochi sbarramenti
moderni ed efficienti; l’esercito austriaco si attestò su una linea del fronte
arretrata rispetto al confine politico. Le fortezze degli Altipiani furono
bombardate e danneggiate gravemente, tuttavia riuscirono a garantire il controllo
del territorio e a sostenere l’offensiva austriaca della primavera del 1916.
Con l’avanzamento della linea del fronte il loro impiego cessò.
I TRENTINI SUL FRONTE ORIENTALE
Nel
1914 gli austriaci chiamarono alle armi gli uomini di età compresa tra i 21 e i
42 anni (dal 1915 dai 18 ai 49 anni). I trentini richiamati furono circa
60.000; i caduti in guerra più di 11.400. I trentini furono impiegati
soprattutto sul fronte orientale, anche se alcuni combatterono anche sul fronte
italiano. Vennero inquadrati nei 4 reggimenti Kaiserjäger (cacciatori
imperiali) e nei 3 reggimenti da montagna Landesschützen, oltre che nei 2
reggimenti di milizia territoriale (Tiroler Landsturm).Circa 700 trentini
scelsero invece di arruolarsi volontari nell’Esercito italiano; a partire dal
1917 furono riuniti nella Legione Trentina. Molti erano giovani studenti
cresciuti nei centri urbani del Trentino, educati dalle famiglie e nella scuola
a sentimenti di italianità, ma non mancavano maturi professionisti, operai,
commercianti ed artigiani. Circa 15-20.000 trentini caddero prigionieri dei
Russi o disertarono. Molti di loro furono impiegati in Russia come forza
lavoro. La collaborazione militare tra Regno d’Italia e Impero russo permise a
circa 4.000 prigionieri trentini e italiani delle province adriatiche, di
sentimenti nazionali italiani, di trasferirsi in Italia. Partiti nel 1916 dal
campo di prigionia di Kirsanov, imbarcati nel porto di Arcangelsk, attraverso la Gran Bretagna e la Francia giunsero a Torino.
Alla fine del 1917, altri 2.500 vennero trasferiti in Cina. Alcune centinaia di
loro, inquadrate nei Battaglioni Neri del Corpo di spedizione italiano in
Estremo Oriente, combatterono contro i bolscevichi; altri trentini si
arruolarono invece nell’Armata Rossa. Un ultimo gruppo, infine, fu imbarcato
dai porti dell’Estremo Oriente per gli Stati Uniti, da dove proseguì alla volta
dell’Europa. Nel dicembre 1917 la
Russia e l’Ucraina stipularono un armistizio con l’Impero
austroungarico e la
Germania. La vittoria degli austro-germanici permise loro di
spostare gran parte delle loro forze sui fronti italiano e francese. A presidio
del confine orientale rimase quasi tutto il contingente di lingua italiana
costituito da trentini e da italiani delle province adriatiche dell’Impero.
IL FRONTE ITALO-AUSTRIACO
Nel
maggio 1915, allo scoppio delle ostilità con il Regno d’Italia, l’esercito
austro-ungarico riuscì a fatica a presidiare il nuovo fronte. I Comandi
austriaci accorciarono il fronte arretrando le linee difensive lungo un sistema
di trincee, caverne e ripari fortificati predisposti nei mesi precedenti. Le
truppe schierate a difesa del Tirolo ammontavano a circa 35.000 uomini; furono
mobilitate anche le compagnie di Standschützen tirolesi. In appoggio
all’alleato, anche l’esercito tedesco inviò alcuni reparti. Per l’esercito
italiano il Trentino era un fronte secondario ma difficilissimo. I soldati di
entrambi gli schieramenti conobbero la durezza della “guerra bianca” e furono
costretti a combattere in condizioni di vita estreme. Con l’offensiva lanciata
nel 1916 tra la
Vallagarina e Asiago (Strafexpedition), l’esercito
austro-ungarico minacciò gravemente le posizioni italiane sulle Prealpi del
Veneto . Nel novembre 1918 dopo una lunga guerra di posizione, sanguinose
avanzate e una grave sconfitta a Caporetto, l’esercito italiano sfondò le linee
austro-ungariche. Il 4 novembre venne firmato l’armistizio.
Le
cime delle montagne del Trentino vennero occupate rapidamente. Si combatté
sulle cime più elevate del Trentino, dal Lagorai al Passo San Pellegrino, alla
Marmolada, alle Tofane, alle cime di Sesto. Ci furono scontri sul Gran Zebrù (3859 m ), sulla Thurwieser (3652 m ), sulla parete di
ghiaccio della Cima Trafoi (3553
m ), sul Cevedale (3378 m ), sul Monte Vioz (3644 m ), sulla Punta S.
Matteo (3692 m ).
Per ripararsi, i soldati dei due eserciti scavarono ricoveri nel ghiaccio
sull’Adamello-Presanella e sulla Marmolada, dove venne costruita la “Città di
ghiaccio”, comprendente 8
chilometri di gallerie, ricoveri e depositi. La guerra
di alta montagna fu anche una guerra dell’uomo contro la natura. Le perdite per
i congelamenti furono ingenti. Il principale pericolo erano le valanghe che,
nell’inverno 1916/17 uccisero non meno di 10.000 uomini. Tutto doveva essere trasportato
con teleferiche, su slitta o a dorso di uomo (o di donna). Vennero costruite
strade, gallerie e ponti, con mascheramenti per nascondere i movimenti di
truppe e rifornimenti. Furono impiegati treni e camion, teleferiche e
decauville. Nelle retrovie si realizzarono magazzini, depositi, baracche,
ricoveri e alloggiamenti per le truppe, cucine e ospedali da campo. Telefono e
telegrafo permisero i collegamenti tra retrovie e prima linea. In montagna si
combatté anche una spettacolare guerra di mine. Il Col di Lana, il Lagazuoi e
il Castelletto, il Cimone d’Arsiero, il Colbricon, il Dente italiano sul
Pasubio, contesi nel corso di ripetuti e sanguinosi assalti, furono fatti
esplodere con decine di migliaia di chilogrammi di esplosivo.
La
dichiarazione di guerra dell'Italia all'Impero austro-ungarico provocò
l’evacuazione verso nord e verso sud di più di 100.000 persone, per lo più
donne, bambini e anziani dalle aree poste in prossimità del fronte. La gran
parte di loro fu disseminata nelle campagne della Boemia e della Moravia. Altre
decine di migliaia vennero concentrate nei grandi lager di Mitterndorf e
Braunau am Inn, vere e proprie “città di legno”. Nei baraccamenti si instaurò
una forma di militarizzazione della vita civile; la mortalità provocata dalla
miseria e dall’indigenza raggiunse cifre elevatissime. Circa 30.000 trentini
vennero evacuati dall’Esercito italiano in diverse regioni italiane; alcune
centinaia di loro accusati di atteggiamenti filo austriaci, vennero internati.
Circa 1.700 trentini sospettati di sentimenti filoitaliani vennero invece
rinchiusi nel campo di concentramento di Katzenau, a pochi chilometri da Linz.
Nei
paesi non evacuati le donne dovettero prestare servizio per l’esercito sia sul
versante italiano che su quello austriaco, come cuoche, lavandaie o nelle
cancellerie militari, ma anche nella costruzione di strade e nel trasporto di
materiali. In diverse zone del fronte le donne furono impiegate nel trasporto
di viveri, munizioni e materiali per la costruzione di trincee, talvolta di
feriti; alcune di loro morirono nel corso di bombardamenti.
DOPOGUERRA E MEMORIA
Alla
fine della guerra, scomparso l’Impero austro-ungarico, il Trentino entrò a far
parte del Regno d’Italia. Il paesaggio del Trentino appariva trasformato dalla
costruzione di fortificazioni e campi trincerati, dal disboscamento, dalle
esplosioni e dalle azioni belliche. Dalla Valle di Sole alla Valle del Chiese,
dalla Valle di Ledro all’Alto Garda, dalla Vallagarina alla Vallarsa, da
Lavarone e Luserna alla Valsugana e al Primiero, un centinaio di paesi e di
borgate che si trovavano nella “zona nera” risultarono distrutti o gravemente
lesionati. I profughi e i soldati che tornavano nei propri paesi trovarono
edifici danneggiati, abitazioni e cantine saccheggiate, campagne, pascoli e
boschi disseminati di ordigni inesplosi e di reticolati. La ricostruzione,
assistita dal Genio militare italiano, iniziò rapidamente e permise nell’arco
di un paio di anni di riparare alcuni dei danni più gravi prodotti dalla
guerra. La ripresa della vita civile ed economica fu lenta e complicata, a
causa del nuovo assetto istituzionale in cui il Trentino si venne a trovare,
del cambio della moneta, del mutamento delle principali relazioni commerciali.
La costruzione di una memoria pubblica dei caduti trovò anche in Trentino un
grande spazio. Il ricordo dei più di 11.000 trentini caduti in divisa
austro-ungarica fu invece ostacolato dal nuovo Stato italiano che non seppe
riconoscere la situazione in cui il Trentino si era trovato. Vennero invece
celebrati i caduti volontari nell’Esercito italiano ed in particolare Cesare
Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa, catturati nel 1916, mandati al patibolo
nel Castello del Buonconsiglio.
Giuliana
I.
Tratto da TRENTINO GRANDE GUERRA - Il portale della Prima Guerra Mondiale
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