31/12/11

PUTTANE






Nel suo recente ‘Cortocircuito di fine anno’ A.D. parlava, in senso metaforico, della genetica propensione degli Italiani alla prostituzione. Condividiamo. Dallo Stretto alle Dolomiti la piaga è ben evidente. L’ultimo consiglio comunale di Tesero ne ha dato ampia prova. Dopo l’uscita dalla Giunta dei due assessori dimissionari, il Richelieu teserano, nel pieno rispetto di quanto da noi a suo tempo facilmente previsto, s’è messo subito all’opera e come ne “Il giorno della Civetta” gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà della ormai ex maggioranza, si sono prontamente messi a novanta gradi. Ah, Michele, Michele, che delusione. Ma i coglioni te li sei persi? Per questo ti abbiamo votato?... La maggioranza, uscita dalle urne di quell’ormai lontano 16 maggio 2010, non esiste più. L’entrata dell’assessora esterna, Innocenza Zanon (rappresentante di lista dell’attuale ex opposizione!), sancisce il ritorno sostanziale alla Grande Ammucchiata, già sperimentata nella legislatura 1995 – 2000.
Le priorità di Tesero sono tornate ad essere le priorità del signor P. Il paese, nella profusione stordente di presepi e luminarie, può languire nella sua irreversibile decadenza. Finalmente il signor segretario potrà occuparsi a tempo pieno del Centro del Fondo, fonte primaria di proventi per il paese, senza dover rispondere dei fatti a quei due rompiballe ormai fuori gioco. Finalmente, grazie a un pactum sceleris tra il sindaco, il vicesindaco, il signor P e il capogruppo dell’ormai ex minoranza, si darà il via libera alla realizzazione della fondamentale pista di skiroll, sponsorizzata in particolare dall’ex assessora Lia Deflorian. Finalmente, soprattutto, si realizzeranno i lavori di copertura del campo di pattinaggio (altro cespite strategico del Comune), non già per la modica somma di 1.319.000,00 euro come prevista a bilancio, bensì, visto che il danè ce lo mette sempre il filantropico signor P, 2.213.000,00 (duemilioniduecentotredicimila!!!!).
Ma i timonieri di questa Autonomia, il signor Dellai, il signor Pacher e compagnia cantante, sono consapevoli di quante risorse finanziarie pubbliche si stanno sperperando nella periferia del Piccolo Impero Trentino? O sono soltanto capaci di piangere quando, giustamente, Roma minaccia (e, visto l’andazzo, sarebbe ora grande che lo facesse davvero) di chiudere i rubinetti?
Nel frattempo, accertata la totale incapacità di questi sedicenti amministratori comunali di ‘leggere’ la situazione economica attuale e i suoi prossimi futuri sviluppi, sarebbe forse il caso di promuovere uno sciopero fiscale, perché chiedere più tasse (nuova I.M.U. anche sulla prima casa dal prossimo anno e aumento delle addizionali IRPEF) alla cittadinanza, per continuare a buttarle nel cesso, non è più tollerabile.


L’Orco

P.S. Per dovere di cronaca informiamo che, oltre ai due ex assessori, l’unica consigliera di ex maggioranza a dire no e a salvarsi così dalla Caporetto amministrativa della lista Cambiare per Crescere è stata Flavia Vinante. Brava Flavia, tieni duro!

30/12/11

CORTOCIRCUITO DI FINE ANNO



Stiamo affondando, in sala macchine lo sanno, ma non lo dicono. La lunga belle époque, pericolosamente vissuta in quest’ultima quarantina d’anni, è al capolinea. A niente serviranno le inique sanzioni governative recentemente approvate dal parlamento italiano. E per quanto taluni si ostinino a non credere, quest’economia ha il destino segnato, esattamente come un dead man walking. Potrà ancora avere qualche improvviso scatto nervoso e magari dare per breve tempo l’illusione di un’uscita dal tunnel, ma senza una forte re-distribuzione delle risorse finanziarie disponibili (cosa assai improbabile), la comunque inevitabile conclusione del processo economico, semplicemente accelererà. Il problema è irrisolvibile in quanto composto da quattro questioni inconciliabili: la prima oggettiva, comune a tutti i sistemi economici del cosiddetto primo mondo, le altre più specifiche della nostra Italietta.
1) Il limite fisico dell’espansione economica, così come l’abbiamo conosciuta, che ci ha garantito per quasi mezzo secolo la piena occupazione, che ha generato il consumismo di massa e provocato – conseguenza niente affatto secondaria – il degrado ambientale del territorio e quello morale dei suoi abitatori.
2) L’abnorme aumento del debito pubblico nazionale, reso possibile dalla sovranità monetaria, il cui nodo è venuto al pettine (ed è recentemente esploso) soltanto con l’adesione alla moneta unica europea.
3) L’insostenibile peso del carico previdenziale nazionale, conseguenza della scellerata gestione del sistema pensionistico, portata avanti dagli anni Settanta in poi del Novecento dalla nostra sempre più inetta e predatoria classe politica.
4) L’impossibilità di restare, semmai oggi lo siamo, stabilmente competitivi a livello globale allorquando le economie emergenti dall’impressionante capacità numerica e quindi anche produttiva (Cina, India, Brasile) saranno “pienamente a regime”. Quattro punti che non si possono affrontare e risolvere disgiuntamente, ma che lo stato delle cose impedisce oggi e impedirà anche domani di affrontare congiuntamente. La coperta è troppo corta, e la piena occupazione sarà d’ora in poi pura illusione. La produzione di beni troverà sempre meno mercato interno per essere assorbita e le dinamiche non potranno che continuare a peggiorare. Esse funzionano infatti solo se tutto gira nel rispetto di una progressione auto-esaltante: maggior produzione, maggior consumo, maggior consumo, maggior produzione, in un’impossibile, ma necessaria infinita coazione. Che fare? Non è facile inventarsi qualcosa che sopperisca a questa ineluttabile prossima generale condizione. Oggi quest’Italia eccelle soprattutto nell’entertainment cioè nell’ ‘arte’ di vendere l’immeritata eredità del Passato. Data la situazione, per non ritornare troppo velocemente alle aborrite origini dovremo per forza giocare questa ultima carta a disposizione, sacrificando ciò che rimane della nostra cultura, del nostro patrimonio artistico e degli ultimi scampoli di territorio intatto. Per fortuna non faremo fatica! Noi Italiani siamo geneticamente avvezzi agli inchini e alla deferenza e ridare fasto diffusamente al più antico mestiere del mondo non sarà un gran problema. Già al tempo di Dante l’italica propensione alla prostituzione era ben nota: Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! Quell'anima gentil fu così presta, sol per lo dolce suon de la sua terra, di fare al cittadin suo quivi festa; e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode di quei ch'un muro e una fossa serra. Bisognerà soltanto decidere quali ruoli sarà più opportuno prendere in commedia e togliere quel poco di dignità che ancora ci resta. Il campionario delle maschere e dei caratteristi è vasto e permette ampia scelta. Faremo i dottori, gli avvocati, i lacchè, gli schiavi, i lustrascarpe, gli albergatori, gli allestitori di vetrine, i recitanti, i saltimbanchi e aspetteremo che chi ancora può venga a divertirsi e a scoreggiarci addosso.

A.D.

27/12/11

NATALE PAGANO



Il Natale non fa tutti più buoni: fa tutti più vuoti. Il cristiano che fa shopping di regali e strenne natalizie rappresenta un caso di sdoppiamento della personalità: in tutta buona fede crede che Gesù nacque figlio di Dio a Betlemme, segnando in una stalla lo spartiacque decisivo della storia umana; contemporaneamente, è perfettamente cosciente che tale evento non condiziona la sua vita reale, in quanto l’epoca moderna, disincantata e secolarizzata, è scristianizzata. Siccome l’economia tende a inglobare ogni forma di espressione umana, quegli appuntamenti che nonostante tutto mantengono in vita una sia pur debole fiammella di fede ultraterrena si trasformano in orge di bancomat e scontrini. Babbo Natale e l’albero dei doni, americanizzazioni di antichi miti pagani europei, vincono sul Bambinello e sulla Vergine, perché più adatti a innescare la corsa agli acquisti commerciali. Questo lo sa benissimo anche il devoto che va alla messa notturna del 25 dicembre, e lo accetta di buon grado. Per quieto vivere, perché così fanno gli altri, per abitudine. Ma soprattutto perché, dopo due secoli di sistematica estirpazione del sacro dall’esistenza quotidiana, non riesce a percepire il divino. E lo sostituisce malamente con una fedeltà a riti di massa che non sono morti solo perché una parvenza di tradizione spirituale serve ad appagare il bisogno innato di trascendenza e di comunità. E’ la sensazione di una notte, sia chiaro. Per il resto c’è la carta di credito. Eppure quel bisogno preme, non si dà pace, è insoddisfatto. Non è umanamente sostenibile una religiosità circoscritta a qualche giornata di contrizione ipocrita, o, bene che vada, alla particola domenicale. E’ nelle difficoltà di ogni giorno che al comune ateo travestito da credente manca la forza rassicurante e rigenerante del divino, del numinoso. L’aura sacra che un tempo avvolgeva ogni momento del nostro passaggio sulla terra si è eclissata, scacciata con ignominia dalla spasmodica ricerca di ritrovare in tutto una causa dimostrabile. La morte di Dio ci ha lasciati soli con una tecnica scientifica che ha razionalizzato la natura mortificandola, e con una logica economica che va per conto suo, incontrollata e disanimata, rubandoci la libertà di cambiare il corso della storia. Siamo soli col denaro, vero nostro Signore. Dice bene Sergio Sermonti, scienziato anti-scientista – un apparente ossimoro che gli è costato l’ostracismo pubblico: «Come insegnava Goethe, non dovremmo chiederci il perché ma il come delle cose. Nel chiedere il perché c’è un tacito presupposto che dietro ogni cosa ci sia un’intenzione, un proposito (appunto, un “perché”) e quindi che ogni cosa sia scomposta o scomponibile in fini e strumenti, o mezzi di produzione, come un’azienda umana. Sotto tutto questo c’è una sottile mentalità ottimistica, economicistica, produttivistica. No. Il mondo opera su un’altra dimensione, galleggia nell’eterno, è sospeso nell’infinito, ed è per l’appunto questo spostarci nelle sue dimensioni incantate il più raffinato e prezioso risultato della conoscenza, e non, al contrario, quello di rovesciare il mondo ai nostri piedi» (“L’anima scientifica”, La Finestra, Trento, 2003). Per recuperare il senso del divino, il cristianesimo ormai serve a poco. E’ troppo compromesso con la modernizzazione, essendosene spesso lasciato usare come puntello e bandiera. Le Chiese sopravvivono nell’acquiescenza allo stile di vita radicalmente anticristiano dell’uomo consumato dai consumi. In particolare i Papi, incluso l’ultimo, il tradizionalista Ratzinger, si sono arresi a Mammona, e non c’è un prete a pagarlo oro che si scagli contro i moderni mercanti nel tempio: preferiscono i facili anatemi sulle unioni omosessuali e le comode prediche sulla fame in Africa. Il cristiano ha dimenticato il pauperismo di San Francesco d’Assisi, ha rinnegato l’umanesimo dei pontefici rinascimentali, ha sepolto l’antimodernismo del Sillabo, con Lutero e Calvino è stato all’origine stessa dell’etica capitalistica. Si è adattato al materialismo con il Concilio Vaticano II e allo showbusiness con Giovanni Paolo II: rinunciando alla lotta contro il mondo, non costituisce nessuna minaccia per il MacWorld. Anzi gli fa da angolo cottura spirituale. Da chi o da cosa, allora, può venire un aiuto per liberare la divinità prigioniera che scalpita dentro di noi? L’ostacolo viene dal fatto che il cosiddetto progresso, scomponendo razionalmente la natura e violentandola nell’insaziabile tentativo di piegarla, l’ha resa muta e l’ha eliminata dalla nostra esperienza quotidiana. Da un lato non ci fa più alcuna paura, la paura ancestrale che è il moto d’animo originario di qualsiasi cultura. Dall’altro l’elemento naturale, incontaminato o non del tutto antropomorfizzato (com’erano ancora le vaste campagne nell’Ottocento e nel primo Novecento) si è via via ristretto e diradato. E’ letteralmente scomparso dalla nostra vista. Oggi la stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive concentrata come formiche in centri urbani sovraffollati, dove il verde è rinchiuso in minuscole riserve talmente artificiose che la regola è di non calpestare le aiuole. I bambini non fanno più conoscenza con la terra perché non ne hanno più sotto casa, non s’incuriosiscono scoprendo insetti e animali perché abitano circondati dal cemento e non si sporcano nemmeno più, perché passano il tempo ipnotizzati davanti a computer, televisione e videogiochi. Nei weekend o in vacanza le famigliole si recano diligentemente al mare o in montagna, ma a parte qualche bagno o escursione, inquadrati in ferie organizzate a puntino con tutti i comfort, il contatto con le forze naturali è minimo, povero, addomesticato. Sempre insufficiente a resuscitare una risonanza interiore fra l’io individuale e il cosmo, fra il sentimento della propria limitatezza personale e il sentimento di appartenere al tutto, all’organismo della vita. E’ in questa corrispondenza che si può provare la percezione che in un orizzonte, in un albero, in un filo d’erba, in un soffio di vento, in ogni singolo nostro respiro esista un’anima, cioè un dio. Ma se non si sperimenta in sé questa immediatezza, anche il discorso più ispirato resta lettera morta, una pia intenzione romantica. La gioia im-mediata di sentirsi partecipe di un grande Essere ci è preclusa dal sovraccarico di costruzioni mediate, razionalistiche, cervellotiche e meccaniche con cui abbiamo imparato a guardare e toccare ciò che ci circonda. Questa è la malattia che ci portiamo addosso: l’eccesso di ragionamenti che desertifica il nostro bosco profondo. L’uomo scettico e che la sa lunga ha orrore della naturalità nuda e pura, e se non può manipolarla con la sua scienza maniacale e coi suoi aggeggi tecnologici, la respinge, dipingendola come un caos di animalità bruta e senza controllo. Ma basta uno tsunami, un terremoto o l’esplosione di furia omicida (anche questa è “natura”) per rendergli la pariglia e mostrargli che Madre Terra, vilipesa e umiliata, è sempre lì, pronta a risvegliarsi. Scegliere consapevolmente di risvegliarla non è possibile, per ora, nemmeno nel privato del proprio foro interiore. Il salto è accessibile solo a una condizione, oggi impraticabile a livello di massa: il ritorno a un sistema di vita più semplice e scandito dai ritmi naturali. Eppure, se tu che mi leggi non cominci almeno a porti il problema, l’impossibile resterà impossibile per sempre.

Alessio Mannino
Fonte: http://alessiomannino.blogspot.com

INCANTO NOTTURNO

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LE OCHE E I CHIERICHETTI

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TESERO 1929

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PASSATO

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ANCORA ROSA

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VIA STAVA ANNI '30

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TESERO DI BIANCO VESTITO

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LA BAMBOLA SABINA

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