
La cultura non si apprende a scuola. La scuola dà solo i rudimenti. La cultura si acquisisce a tavola. Il passaggio, di generazione in generazione, della memoria storica (di quella storia temporalmente e geograficamente più vicina a noi), fondamentale per la conoscenza delle cose e la crescita civile di un individuo, di una comunità, di un popolo si fa mentre si pranza. Ovviamente la condizione minima affinché tale passaggio possa compiersi è che chi ci precede abbia a sua volta ricevuto quel sapere e sia depositario di quella insostituibile memoria. Purtroppo, da tempo, la catena di quel sapere si è spezzata e le cose procedono in modo diverso. A tavola, oggigiorno, si parla d’altro: di buste paga, di trattenute fiscali, di viaggi esotici, di opportunità professionali per i figli, di partite di calcio, di patente, di iPod, di grande fratello, e via degradando.
Commenta Adriano: “Triste realtà l’Italia”. Aggiungo io: “…e ancor più tristi gli Italiani!” Ci scandalizziamo giustamente (ma nemmeno tutti), della deriva politico-sociale che vediamo in televisione e di cui leggiamo le cronache quotidianamente. È un’Italia cialtrona e farabutta, di puttane e puttanieri, di corrotti e corruttori. Volgare, criminale. Pensiamo (più o meno a ragione, più o meno qualunquisticamente) che Roma sia ladrona, che Palermo sia mafiosa, che Milano sia tangentara, che Napoli sia sporca... Ma non riusciamo a vedere che tutto è ormai metastasi. Non riusciamo a vedere il filo che tutto lega, da Roma a Palermo, da Milano a Napoli, da Trento… a Tesero!
Tutto si tiene, anche perché siamo privi di coerenza. Nel nostro piccolo dobbiamo essere contrari alla nuova impattante bretella Valena dal Morto - Milón, ma allora dovremmo esserlo anche all’irresponsabile nuovo piano di fabbrica comunale; possiamo pretendere meno traffico e meno inquinamento (e quindi più salute), ma allora dovremmo sforzarci di praticare di più l’uso del naturale mezzo di locomozione umana; possiamo indignarci nel vedere un’unica lista pronta a farsi eleggere, ma allora dovremmo capire che se alle Corte de Tieser o alla Sagra di San Bartolomeo il 100% della popolazione partecipa all’ “evento” giuliva e inconsapevole, evidentemente, in questo conformismo contagioso, non c’è diversità di pensiero e neppure capacità di esprimere una proposta alternativa.
Franco ha lanciato l’allarme: “Paesani svegliamoci… non facciamoci rubare la terra da sotto i piedi…”
Giustissimo! Ma credo, purtroppo, che alla fine, anche stavolta, ce la ruberanno.
Dico di più, e vi anticipo come, verosimilmente, andrà a finire. Il mormorio di popolo si farà un po’ più consistente (non molto, in verità). Nel Palazzo, qualcuno, un po’ allarmato, farà una telefonata a Trento. Gli risponderanno: “Tèi, calma, calma! No vé lasseré miga ‘mpressionar da ‘n póc de zènt che parla, no? Sté tranquilli, vegnim su noi, ghe fem ‘n’assemblea ‘n teatro, e tut se ‘ngiusta…”
Dunque si farà un’assemblea pubblica. Sul palco siederanno gli emissari del Principe, il signor Gilmozzi (sì, proprio lui, quello dei treni sulla 48 riconvertiti, ancor prima di materializzarsi, in semplici bus a idrogeno) e qualche altro capetto locale. Saranno vestiti bene, in giacca e cravatta e scarpe lucide impeccabili (l’abito, di questi tempi, fa il monaco, altro ché!). Diranno banalità, che tutti potrebbero contestare, ma le diranno con il piglio giusto, intimidatorio e convincente al tempo stesso. Si dirà che la nuova strada è necessaria per liberare la 48. Si dirà che poi sulla 48 si potrà finalmente respirare. Si dirà che l’impatto ambientale sarà minimo. Si dirà che ne beneficeremo tutti. A quel punto la zènt sarà rassicurata e non dirà naturalmente nulla. Le ruspe cominceranno lo stupro e i flussi di denaro pubblico inizieranno ad affluire sui conti correnti del Comitato d’affari. I connotati di quel nostro territorio verranno definitivamente cambiati…
Purtroppo non siamo un Popolo, e probabilmente non lo diventeremo mai. Tra noi e una Nazione civile ci sta la stessa differenza che c’è tra la musica di Rossini, di Verdi o Donizetti, o di un qualsiasi altro italiano e quella di Bach, di Schubert o di Mahler, o di un qualsiasi altro pantedesco: la superficialità spumeggiante, leggera e vanesia, contro la profondità introspettiva, rigorosa e consapevole (Settembrini docet). Siamo degli anarcoidi da tarantella, senza schiena, pronti a vincere qualsiasi gara approfittando dell’errore altrui o della scorciatoia. Nessuna lezione riesce a correggerci. Va sempre tutto bene, sino al disastro prossimo venturo. Siamo gente che si crede furba e che invece sta segandosi il ramo su cui è seduta. Da Roma a Palermo, da Milano a Napoli, da Trento a Tesero…
Faccio appello alle sensibilità di quelli, come Evgeny, o Lorenzo, o Michele, che per loro somma fortuna hanno una capacità ormai rara, quella di intendere e di volere: fatevi sentire! Cercate di spiegare a chi non ha ancora capito dove stiamo precipitando, qui, ora, a Tesero, non a Palermo. Voi che avete parlato con competenza di nucleare ed energie alternative adesso, in questo drammatico momento, parafrasando Nanni Moretti, dite anche qualcosa di locale! Altrimenti, quando ritornerete al vostro paesello natio, rischierete davvero di non riconoscere più questi luoghi.
Ario
Commenta Adriano: “Triste realtà l’Italia”. Aggiungo io: “…e ancor più tristi gli Italiani!” Ci scandalizziamo giustamente (ma nemmeno tutti), della deriva politico-sociale che vediamo in televisione e di cui leggiamo le cronache quotidianamente. È un’Italia cialtrona e farabutta, di puttane e puttanieri, di corrotti e corruttori. Volgare, criminale. Pensiamo (più o meno a ragione, più o meno qualunquisticamente) che Roma sia ladrona, che Palermo sia mafiosa, che Milano sia tangentara, che Napoli sia sporca... Ma non riusciamo a vedere che tutto è ormai metastasi. Non riusciamo a vedere il filo che tutto lega, da Roma a Palermo, da Milano a Napoli, da Trento… a Tesero!
Tutto si tiene, anche perché siamo privi di coerenza. Nel nostro piccolo dobbiamo essere contrari alla nuova impattante bretella Valena dal Morto - Milón, ma allora dovremmo esserlo anche all’irresponsabile nuovo piano di fabbrica comunale; possiamo pretendere meno traffico e meno inquinamento (e quindi più salute), ma allora dovremmo sforzarci di praticare di più l’uso del naturale mezzo di locomozione umana; possiamo indignarci nel vedere un’unica lista pronta a farsi eleggere, ma allora dovremmo capire che se alle Corte de Tieser o alla Sagra di San Bartolomeo il 100% della popolazione partecipa all’ “evento” giuliva e inconsapevole, evidentemente, in questo conformismo contagioso, non c’è diversità di pensiero e neppure capacità di esprimere una proposta alternativa.
Franco ha lanciato l’allarme: “Paesani svegliamoci… non facciamoci rubare la terra da sotto i piedi…”
Giustissimo! Ma credo, purtroppo, che alla fine, anche stavolta, ce la ruberanno.
Dico di più, e vi anticipo come, verosimilmente, andrà a finire. Il mormorio di popolo si farà un po’ più consistente (non molto, in verità). Nel Palazzo, qualcuno, un po’ allarmato, farà una telefonata a Trento. Gli risponderanno: “Tèi, calma, calma! No vé lasseré miga ‘mpressionar da ‘n póc de zènt che parla, no? Sté tranquilli, vegnim su noi, ghe fem ‘n’assemblea ‘n teatro, e tut se ‘ngiusta…”
Dunque si farà un’assemblea pubblica. Sul palco siederanno gli emissari del Principe, il signor Gilmozzi (sì, proprio lui, quello dei treni sulla 48 riconvertiti, ancor prima di materializzarsi, in semplici bus a idrogeno) e qualche altro capetto locale. Saranno vestiti bene, in giacca e cravatta e scarpe lucide impeccabili (l’abito, di questi tempi, fa il monaco, altro ché!). Diranno banalità, che tutti potrebbero contestare, ma le diranno con il piglio giusto, intimidatorio e convincente al tempo stesso. Si dirà che la nuova strada è necessaria per liberare la 48. Si dirà che poi sulla 48 si potrà finalmente respirare. Si dirà che l’impatto ambientale sarà minimo. Si dirà che ne beneficeremo tutti. A quel punto la zènt sarà rassicurata e non dirà naturalmente nulla. Le ruspe cominceranno lo stupro e i flussi di denaro pubblico inizieranno ad affluire sui conti correnti del Comitato d’affari. I connotati di quel nostro territorio verranno definitivamente cambiati…
Purtroppo non siamo un Popolo, e probabilmente non lo diventeremo mai. Tra noi e una Nazione civile ci sta la stessa differenza che c’è tra la musica di Rossini, di Verdi o Donizetti, o di un qualsiasi altro italiano e quella di Bach, di Schubert o di Mahler, o di un qualsiasi altro pantedesco: la superficialità spumeggiante, leggera e vanesia, contro la profondità introspettiva, rigorosa e consapevole (Settembrini docet). Siamo degli anarcoidi da tarantella, senza schiena, pronti a vincere qualsiasi gara approfittando dell’errore altrui o della scorciatoia. Nessuna lezione riesce a correggerci. Va sempre tutto bene, sino al disastro prossimo venturo. Siamo gente che si crede furba e che invece sta segandosi il ramo su cui è seduta. Da Roma a Palermo, da Milano a Napoli, da Trento a Tesero…
Faccio appello alle sensibilità di quelli, come Evgeny, o Lorenzo, o Michele, che per loro somma fortuna hanno una capacità ormai rara, quella di intendere e di volere: fatevi sentire! Cercate di spiegare a chi non ha ancora capito dove stiamo precipitando, qui, ora, a Tesero, non a Palermo. Voi che avete parlato con competenza di nucleare ed energie alternative adesso, in questo drammatico momento, parafrasando Nanni Moretti, dite anche qualcosa di locale! Altrimenti, quando ritornerete al vostro paesello natio, rischierete davvero di non riconoscere più questi luoghi.
Ario