03/06/16

MANIFESTO IN DIFESA DEI PICCOLI COMUNI ITALIANI

Riceviamo da un gentile lettore il documento che qui di seguito pubblichiamo. Vuole essere un contributo al dibattito ancora caldo sul recente voto referendario comunale e una lezione di educazione civica ad uso e consumo di quei nostri rappresentanti che senza arte né parte, né, tantomeno, prescrizione medica, decisero di mettersi al servizio della comunità, privi – fatti alla mano – delle conoscenze e delle competenze minime di base per poter assolvere degnamente l’incarico ricevuto (o estorto) col voto del 10 maggio 2015.





I piccoli comuni rappresentano la grande maggioranza degli 8.000 comuni italiani. Piccoli rispetto al numero di abitanti delle realtà cittadine e metropolitane, ma spesso grandi sia nella loro estensione geografica, sia in riferimento alle risorse economiche, sociali e culturali che sono conservate nei loro confini.

I nostri padri costituenti, con chiara in mente la lunga tradizione civica dei comuni, inclusero tra i principi fondamentali a cui avrebbero dovuto ispirarsi le politiche della Repubblica il riconoscimento del ruolo delle autonomie locali, attraverso l'adeguamento dei principi e dei metodi della legislazione “alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” (art. 5 della Costituzione).



Il Comune è l’elemento centrale di una solida tradizione civica italiana che dal Medioevo giunge fino alla Costituzione repubblicana.

In Italia, più che altrove, i territori locali fondano il loro profilo istituzionale sul Comune, che rappresenta il livello primario della democrazia e della rappresentanza politica.



Specialmente nei piccoli comuni, il Municipio e il Sindaco sono un punto di riferimento insostituibile per i cittadini e simbolicamente il Gonfalone rappresenta un importante riferimento identitario in una società sempre più priva di punti di riferimento collettivi.



In una fase storica come quella che stiamo vivendo, caratterizzata dal progressivo allontanamento dai cittadini dai luoghi decisionali, dall’irruzione dei poteri economico-finanziari nei processi di governo, dal diffondersi di sentimenti diffusi di antipolitica che alimentano i populismi, è necessario un rafforzamento del ruolo dei comuni, cioè l’esatto contrario del loro smantellamento.



Bisogna adoperarsi per il mantenimento di un presidio democratico dentro le comunità locali, per il rispetto e la valorizzazione delle identità locali e per il rilancio del ruolo dei Consigli Comunali come luogo di partecipazione politica.

Dobbiamo sostenere i piccoli comuni nella loro attività di erogazione di quei servizi fondamentali ai cittadini che, per caratteristiche intrinseche, enti di più grandi dimensioni non riuscirebbero a fornire con altrettanta efficacia e puntualità. Un buon governo locale non riproducibile su dimensioni troppo vaste.
Se i piccoli comuni sono in difficoltà dobbiamo aiutarli a vivere, non a morire.



Purtroppo invece il modo in cui oggi molta parte della classe politica italiana affronta il tema delle fusioni dei comuni, proponendone in alcuni casi l’obbligatorietà per legge, in altri promuovendo processi che ne sanciscono l’obbligatorietà di fatto, segna un insostenibile attacco alle autonomie locali ed all’esistenza stessa dei piccoli comuni.



Un attacco condotto sulla base di un approccio contabile-amministrativo che, non solo non tiene conto di altre dimensioni, ma soprattutto non si fonda su alcuna evidenza oggettiva di dati economici e finanziari. I quali dati mostrano come in realtà l’impatto dei costi dei piccoli comuni nella spesa pubblica nazionale sia del tutto marginale, sia in valore assoluto che percentuale. Altri sono i centri di spesa improduttivi nel nostro Paese.

Assistiamo ad analisi fondate solo sul parametro del numero degli abitanti, che impediscono di comprendere come i processi di fusione, soprattutto nelle zone rurali, possano creare, o aggravare, le criticità connesse all'estensione territoriale dei comuni, la cui eccessiva ampiezza incide negativamente sull'efficienza nell'erogazione dei servizi ai cittadini.

Ci troviamo di fronte a proposte che non tengono conto delle profonde differenze tra le aree del Paese, che conta Regioni come la Lombardia con un numero di comuni pari a 1.500 con una media di 6.500 abitanti o il Piemonte con i suoi 1.200 comuni con una media di 3.600 abitanti, ed altre come la Toscana che invece ne conta 279 con una media di 13.450.



Oppure ad attacchi strumentali condotti utilizzando numeri per creare sensazione, facendo ritenere che gli 8.000 comuni italiani, circa uno ogni 7.500 abitanti, siano un’insostenibile anomalia, quando ad esempio la Francia, Stato tradizionalmente centralizzatore, ne ha 36.000, cioè uno ogni 1.700 abitanti, e non si sogna di mettere in discussione l’esistenza dei piccoli Comuni, pur pretendendo un’organizzazione sovracomunale dei servizi. Le politiche di razionalizzazione devono infatti riguardare la gestione dei servizi comunali, dai quali derivano i costi e dipende l’efficienza dell’azione amministrativa, e non gli organi di rappresentanza politica. Sui costi dei quali organi politici si alimentano demagogie, nascondendone la loro reale portata, spesso così esigua da configurarli nella sostanza come un’attività condotta localmente per mero spirito di volontariato. Le necessarie e improrogabili politiche di razionalizzazione, valorizzazione e coordinamento di territori e comunità debbano essere perseguite, con convinzione e determinazione, utilizzando gli strumenti delle associazioni dei servizi, attraverso convenzioni e soprattutto nelle Unioni dei Comuni. Le unioni e le convenzioni vanno considerati un modello istituzionale stabile - non qualcosa di propedeutico alla fusione – e devono assicurare servizi efficienti con minori costi. Laddove non si raggiungano questi obiettivi ciò non può essere pretestuosamente imputato al modello associativo in quanto tale, ma semmai alla mancanza di convinzione negli Amministratori o alla inadeguatezza delle relative previsioni normative nazionali e regionali, e non può dunque costituire un alibi per invocare fusioni. Le fusioni tra comuni, invece, devono essere portate avanti solo dove esista una chiara,inequivocabile ed esplicita volontà, espressa direttamente dalle singole popolazioni interessate, conseguente a situazioni di reale marginalità abitativa e ad una riconosciuta perdita di coesione sociale e del senso di comunità.



3 febbraio 2016



Firmato
Piero Pii, Sindaco del Comune di Casole d'Elsa

Claudio Galletti, Sindaco del Comune di Castiglione d’Orcia

Eva Barbanera, Sindaco del Comune di Cetona

Andrea Marchetti, Sindaco del Comune di Chianciano Terme

Luciana Bartaletti, Sindaco del Comune di Chiusdino

Raffaella Senesi, Sindaco del Comune di Monteriggioni

Luigi Vagaggini, Sindaco del Comune di Piancastagnaio

Fabrizio Fè, Sindaco del Comune di Pienza

Francesco Fabbrizzi, Sindaco del Comune di Radicofani

Emiliano Bravi, Sindaco del Comune di Radicondoli

Paolo Morelli, Sindaco del Comune di San Casciano dei Bagni

Giacomo Bassi, Sindaco del Comune di San Gimignano






31/05/16

CLASSE DIRIGENTE

E bravo il consigliere. Finalmente s’è accorto che la democrazia non esiste. Alla buon’ora… Meglio tardi, che mai. Sapeva però, ah se lo sapeva, dell’esistenza dei pecorai, che (anche per sua fortuna) di solito riescono a far fare ai loro greggi ciò che serve: stare a casa o correre a votare. Dal 1990 in poi, per i referendum ci sono spesso riusciti.

Questa volta invece, forse per la prima volta, non è andata come volevano andasse. Certo, a causa della cattiva informazione dei giornali, della televisione, di facebook e di alcuni (non meglio precisati) siti.

Ad ogni modo c’è stata un’inaspettata disubbidienza. Troppa, per i palati fini di Lago. Questa volta la maggioranza ha dato un calcio in culo al Padrino, concedendosi addirittura lo sfizio di pensare e agire con la propria testa. E al signor consigliere comunale questa cosa non è proprio andata giù. Che a tradimento le pecore istruite a puntino e allettate dalla promessa di una sicura ricompensa si trasformassero in esseri pensanti, questa davvero non se l’aspettava.
Caro consigliere, che vuoi farci. Quando il trucco è marchianamente evidente e le argomentazione a sostegno della tesi insufficienti o a senso unico, anche a Tesero (ed è tutto dire), seppur molto, molto raramente, può capitare di non raccogliere quanto seminato. Dormi tranquillo, avrai altre occasioni di riscatto.
Riguardo al dietro front della minoranza, del cui cambio d'idea non ti capaciti, ti suggeriamo una spiegazione. Forse dalla primavera del 2015 a quella del 2016 i suoi componenti hanno avuto modo di ragionare, ascoltando altre campane e altri pareri (per esempio quello del sindaco di Ziano), e capire che per risparmiare e amministrare meglio questo sgangherato paese si poteva anche fare a meno della fusione.
Noi invece, caro consigliere di maggioranza, ci chiediamo perché sin’ora non ti sei mai indignato per la scarsissima partecipazione al voto dei tuoi concittadini ai tanti referendum che dal 1990 in avanti non sono passati per non aver superato la soglia minima stabilita.

Al referendum del 17 aprile scorso a Tesero votarono in 518 il 23,5% degli aventi diritto. 426 Sì (84%), 81 No(16%), 6 bianche e 5 nulle. I Sì prevalsero, ma il referendum, grazie ad altri pecorai che invitarono all’astensione, non passò. Tu hai votato, o no? E se sì, quante lettere di sdegno hai inviato ai giornali per stigmatizzare l’indolenza dei tuoi compaesani e la mancanza di democrazia, dopo il flop di quella consultazione? Successe così per molti altri e più importanti quesiti referendari: quello sull' abrogazione della caccia (92,2% Sì), sul divieto d’uso di pesticidi in agricoltura (93,5% Sì), sull'obiezione di coscienza (71,7% Sì), sull'eliminazione del rimborso spese elettorali (71,1% Sì), sull'abrogazione delle servitù di elettrodotto (85,6% Sì), eccetera. Stravinsero i Sì, ma non ne passò uno! Come mai solo ora noti l’ ‘ingiustizia’ del quorum?

E’ vero, salire in massa da Lago a Tesero per votare, in una luminosa giornata maggiolina, sicuri di farla franca ancora una volta e accorgersi poi che quello sforzo collettivo non è servito a nulla, brucia. Col senno di poi, caro consigliere di maggioranza, avreste dovuto allestire dei gazebo con fiaschi di teroldego, pane e speck… Oppure organizzare una sagra straordinaria sabato 21 maggio e a suon di grostoli, rossi e grappini ammaestrare un maggior numero di elettori, perché è così che qui, da trent’anni a questa parte, coltivate la vostra 'democrazia'. Magari vi sarebbe riuscito il bis dell’anno prima.
Purtroppo (per voi) non è andata così. Prosit!

L’Orco

P.S.

'I contributi e gli altri vantaggi' di cui parli sarebbero stati eventualmente erogati dalla Provincia, non dalla Regione.

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
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MINU

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