12/12/20

DIFFICILE, PROBABILMENTE IMPOSSIBILE

Dopo aver lottato contro la Polonia che difendeva il suo inquinante carbone, alla fine si sono messi d’accordo: i leader europei hanno deciso di tagliare entro il 2030 le emissioni di gas serra di almeno il 55% rispetto a quelle del 1990. Lo ha annunciato con soddisfazione il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: “L’Europa è la leader nella lotta contro i cambiamenti climatici”. Su questo ha ragione, nel senso che tra tanti asini al mondo che nulla fanno per ambiente e clima, il mulo europeo che porta il Green Deal è il re. Una strada che “ci pone su un percorso chiaro verso la neutralità climatica nel 2050” ha detto Ursula von der Leyen. La sfida è però enorme e per ora solo sulla carta, e dovrà essere trasformata in realtà fisica (tonnellate di CO2 in meno e chilowattora di energia rinnovabile in più) con un enorme e pressante sforzo comunicativo, normativo e tecnologico.
 
I conti della serva sono questi: nel 1990 l’Europa emetteva 4,9 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (cioè comprensiva anche degli altri gas serra come il metano), nel 2019 grazie agli sforzi di decarbonizzazione effettuati con il Protocollo di Kyoto si era arrivati a 3,7 miliardi di tonnellate, quindi con una riduzione di circa il 24 per cento. Per arrivare a meno 55 per cento al 2030 l’obiettivo emissioni totali è di 2,2 miliardi di tonnellate con una riduzione di 1,5 miliardi di tonnellate in dieci anni. Siccome la parte più facile del lavoro è già stata fatta nei trent’anni precedenti, chiudendo molte centrali a carbone e spostando in Cina e altri Paesi meno verdi le lavorazioni industriali più energivore e inquinanti come la siderurgia, ora resta da fare la parte più difficile, cioè un efficientamento spinto degli edifici, una straordinaria diffusione delle fonti di elettricità solare ed eolica, un massiccio passaggio alla mobilità elettrica, un taglio drastico ai sussidi all’energia fossile (in Italia nel 2018 sono stati di quasi 20 miliardi di euro), e un’economia circolare che senza ipocrisie dovrebbe tradursi in una riduzione dei consumi. 



È un’impresa da far tremare i polsi che va perseguita da tutti, subito, senza tentennamenti e ambiguità. “Dieci anni è domani”, ha detto il presidente francese Macron, “allora applichiamoci per riuscire, subito, tutti insieme. Perché non c’è un piano B”. E l’Europa non è che un tassello che conta per circa il 10% sulle emissioni globali, quindi lo stesso dovrebbero fare anche gli altri Paesi, come ha sottolineato in un’intervista a Le Monde il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: “Dobbiamo costituire una vera e propria coalizione mondiale per raggiungere la neutralità carbonica da adesso al 2050, visto che gli indicatori climatici sono in peggioramento: livelli record di CO2 nell’atmosfera da milioni di anni; il decennio che termina è stato il più caldo mai registrato; formazione del ghiaccio artico mai così lenta in ottobre; alluvioni, incendi, uragani apocalittici che diventano la norma”. Ovviamente la riduzione forzata delle emissioni 2020 a causa della crisi Covid, stimata in meno del 7% a livello mondiale, non fa testo, perché tutti non vedono l’ora di recuperare la crescita perduta; forse rimarrà un’eredità positiva solo sul telelavoro che sostituirà una parte dei trasporti automobilistici e aerei. Eppure la diminuzione che dovremmo ottenere ogni anno in Europa è proprio dello stesso ordine di grandezza di quella che tutti abbiamo vissuto con sofferenza per via della pandemia: muoverci di meno e consumare di meno, sempre. 

Le promesse dell’Unione suonano come l’obeso che dichiara solennemente “da domani faccio dieta”, chiedendola soprattutto ai suoi cittadini, c’è dunque da domandarsi se almeno la dieta viene applicata subito e con più efficacia nei processi interni, ovvero garantendo una coerenza di tutte le scelte dell’Unione verso questo traguardo ambizioso. Non sembrerebbe, a giudicare dall’enorme contraddizione nel finanziamento delle grandi opere cementizie. 

In questi giorni sono ripresi gli scontri al cantiere Tav Torino-Lione in Val di Susa: la gente giustamente protesta contro la violenza sul territorio motivata da dati di trasporto futuri che la stessa Corte dei Conti europea ha riconosciuto irreali, mentre sarebbero reali le emissioni di CO2 in fase di costruzione. Un’opera che viene spacciata come verde dalla stessa Commissione trasporti della Ue, ma che non lo è affatto, portando all’emissione certa di almeno 10 milioni di tonnellate di CO2 nei prossimi 10 anni, proprio quelli nei quali dovremmo drasticamente diminuirle. Si tratta dello 0,7% del taglio richiesto dalla strategia climatica al 2030, una percentuale non trascurabile se si pensa che è concentrata in un solo progetto, e dunque sarebbe facilmente cancellabile dal finanziamento Ue, giudicandola in aperto contrasto con le nuove esigenze climatiche. 

Che la ripartenza dopo la pandemia sia il più possibile “verde” lo auspica anche l’Emissions Gap Report appena diramato dall’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite. Invece no, cocciutamente si va avanti, ricorrendo pure alle forze dell’ordine per difendere un cantiere nocivo al clima, in area definita “di interesse strategico nazionale” e per “preminente interesse pubblico”. È proprio vero che con le parole si può ribaltare qualsiasi realtà fattuale. Interesse di chi? Dei costruttori? Data l’urgenza e la dimensione del problema, che ancora Guterres ha definito “un suicidio” per la specie umana, vorremmo vedere carabinieri e polizia che sanzionano i crimini ambientali, che obbligano la gente a risparmiare energia, a installare pannelli solari e a fare la raccolta differenziata. Non a sparare lacrimogeni per difendere ruspe, perforatrici e betoniere per realizzare a ogni costo – ambientale, economico e sociale – un tunnel di 57 km giudicato superfluo e dannoso. 

Caro ministro dell’ambiente Sergio Costa, per favore batta un colpo su queste contraddizioni, chieda in sede europea se i soldi per il Tav Torino-Lione non sia meglio spenderli per regalare pannelli solari alla gente e sanare il nostro dissesto idrogeologico. E chieda al nostro premier di depennare progetti che non hanno nulla di ambientalmente sostenibile. Vedrà che anche Macron farà lo stesso. 

Non sono tempi nei quali ci si può permettere sprechi ed errori irreversibili, bisogna farlo notare proprio a chi con una mano vuole eliminarli e con l’altra li finanzia con il denaro dei cittadini europei. 

Luca Mercalli F.Q. 12/12/2020 

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