22/12/20

UNA DECISIONE DISCUTIBILE


Gentile Signora
Lidia Canal
Assessore al bilancio e al commercio
del Comune di
38038 T E S E R O (TN)                                              Tesero, 21 dicembre 2020


        Ho preso oggi visione della comunicazione della Sindaca di Tesero allegata al notiziario comunale, alla quale era allegato un buono spesa di 30 Euro, in applicazione di quanto previsto dalla deliberazione giuntale nr. 130 del 9 dicembre 2020. 

Non entro nel merito della legittimità della deliberazione giuntale, sulla quale eventualmente sarà chiamato ad esprimersi l'ente preposto. Consiglierei però a Lei ed ai componenti della Giunta comunale di attentamente valutare la cosa. 

Mi sia permesso comunque avanzarLe alcune osservazioni di opportunità.

Se da una parte si può concordare sul fatto del fornire aiuto agli esercizi comunali economicamente colpiti dalla pandemia Covid 19 rimangono alcune questioni sulle quali non posso essere d'accordo e che propongo alla Sua riflessione:

1. Siete certi che tutti gli esercenti aderenti all'iniziativa “buono spesa emergenza covid 19” abbiano avuto reali danni a seguito dello scoppio dell'epidemia? Se così non fosse si evidenzierebbe, di per sé, una disparità di trattamento che sarebbe stato meglio valutare prima e più attentamente. 

2. Le sembra giusto distribuire a tutti i capofamiglia un buono spesa di 30 Euro, senza distinguere tra nuclei familiari con situazioni patrimoniali di privilegio da quelli che si trovano effettivamente in condizione di necessità? Anche su questo fatto si sono create ulteriori disparità, oltre a quelle generate dalla pandemia. 

3. Ho sempre ritenuto che l'atto solidale sia personale e riservato (per dirla in parole più povere “l'atto solidale non si esibisce”). Perché quindi prevedere una sorta di autocertificazione per devolvere il buono ad altri. 

Con l'occasione Le porgo i miei distinti saluti

Maurizio Zeni

                                                                                 

14/12/20

12/12/20

DIFFICILE, PROBABILMENTE IMPOSSIBILE

Dopo aver lottato contro la Polonia che difendeva il suo inquinante carbone, alla fine si sono messi d’accordo: i leader europei hanno deciso di tagliare entro il 2030 le emissioni di gas serra di almeno il 55% rispetto a quelle del 1990. Lo ha annunciato con soddisfazione il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: “L’Europa è la leader nella lotta contro i cambiamenti climatici”. Su questo ha ragione, nel senso che tra tanti asini al mondo che nulla fanno per ambiente e clima, il mulo europeo che porta il Green Deal è il re. Una strada che “ci pone su un percorso chiaro verso la neutralità climatica nel 2050” ha detto Ursula von der Leyen. La sfida è però enorme e per ora solo sulla carta, e dovrà essere trasformata in realtà fisica (tonnellate di CO2 in meno e chilowattora di energia rinnovabile in più) con un enorme e pressante sforzo comunicativo, normativo e tecnologico.
 
I conti della serva sono questi: nel 1990 l’Europa emetteva 4,9 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (cioè comprensiva anche degli altri gas serra come il metano), nel 2019 grazie agli sforzi di decarbonizzazione effettuati con il Protocollo di Kyoto si era arrivati a 3,7 miliardi di tonnellate, quindi con una riduzione di circa il 24 per cento. Per arrivare a meno 55 per cento al 2030 l’obiettivo emissioni totali è di 2,2 miliardi di tonnellate con una riduzione di 1,5 miliardi di tonnellate in dieci anni. Siccome la parte più facile del lavoro è già stata fatta nei trent’anni precedenti, chiudendo molte centrali a carbone e spostando in Cina e altri Paesi meno verdi le lavorazioni industriali più energivore e inquinanti come la siderurgia, ora resta da fare la parte più difficile, cioè un efficientamento spinto degli edifici, una straordinaria diffusione delle fonti di elettricità solare ed eolica, un massiccio passaggio alla mobilità elettrica, un taglio drastico ai sussidi all’energia fossile (in Italia nel 2018 sono stati di quasi 20 miliardi di euro), e un’economia circolare che senza ipocrisie dovrebbe tradursi in una riduzione dei consumi. 



È un’impresa da far tremare i polsi che va perseguita da tutti, subito, senza tentennamenti e ambiguità. “Dieci anni è domani”, ha detto il presidente francese Macron, “allora applichiamoci per riuscire, subito, tutti insieme. Perché non c’è un piano B”. E l’Europa non è che un tassello che conta per circa il 10% sulle emissioni globali, quindi lo stesso dovrebbero fare anche gli altri Paesi, come ha sottolineato in un’intervista a Le Monde il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: “Dobbiamo costituire una vera e propria coalizione mondiale per raggiungere la neutralità carbonica da adesso al 2050, visto che gli indicatori climatici sono in peggioramento: livelli record di CO2 nell’atmosfera da milioni di anni; il decennio che termina è stato il più caldo mai registrato; formazione del ghiaccio artico mai così lenta in ottobre; alluvioni, incendi, uragani apocalittici che diventano la norma”. Ovviamente la riduzione forzata delle emissioni 2020 a causa della crisi Covid, stimata in meno del 7% a livello mondiale, non fa testo, perché tutti non vedono l’ora di recuperare la crescita perduta; forse rimarrà un’eredità positiva solo sul telelavoro che sostituirà una parte dei trasporti automobilistici e aerei. Eppure la diminuzione che dovremmo ottenere ogni anno in Europa è proprio dello stesso ordine di grandezza di quella che tutti abbiamo vissuto con sofferenza per via della pandemia: muoverci di meno e consumare di meno, sempre. 

Le promesse dell’Unione suonano come l’obeso che dichiara solennemente “da domani faccio dieta”, chiedendola soprattutto ai suoi cittadini, c’è dunque da domandarsi se almeno la dieta viene applicata subito e con più efficacia nei processi interni, ovvero garantendo una coerenza di tutte le scelte dell’Unione verso questo traguardo ambizioso. Non sembrerebbe, a giudicare dall’enorme contraddizione nel finanziamento delle grandi opere cementizie. 

In questi giorni sono ripresi gli scontri al cantiere Tav Torino-Lione in Val di Susa: la gente giustamente protesta contro la violenza sul territorio motivata da dati di trasporto futuri che la stessa Corte dei Conti europea ha riconosciuto irreali, mentre sarebbero reali le emissioni di CO2 in fase di costruzione. Un’opera che viene spacciata come verde dalla stessa Commissione trasporti della Ue, ma che non lo è affatto, portando all’emissione certa di almeno 10 milioni di tonnellate di CO2 nei prossimi 10 anni, proprio quelli nei quali dovremmo drasticamente diminuirle. Si tratta dello 0,7% del taglio richiesto dalla strategia climatica al 2030, una percentuale non trascurabile se si pensa che è concentrata in un solo progetto, e dunque sarebbe facilmente cancellabile dal finanziamento Ue, giudicandola in aperto contrasto con le nuove esigenze climatiche. 

Che la ripartenza dopo la pandemia sia il più possibile “verde” lo auspica anche l’Emissions Gap Report appena diramato dall’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite. Invece no, cocciutamente si va avanti, ricorrendo pure alle forze dell’ordine per difendere un cantiere nocivo al clima, in area definita “di interesse strategico nazionale” e per “preminente interesse pubblico”. È proprio vero che con le parole si può ribaltare qualsiasi realtà fattuale. Interesse di chi? Dei costruttori? Data l’urgenza e la dimensione del problema, che ancora Guterres ha definito “un suicidio” per la specie umana, vorremmo vedere carabinieri e polizia che sanzionano i crimini ambientali, che obbligano la gente a risparmiare energia, a installare pannelli solari e a fare la raccolta differenziata. Non a sparare lacrimogeni per difendere ruspe, perforatrici e betoniere per realizzare a ogni costo – ambientale, economico e sociale – un tunnel di 57 km giudicato superfluo e dannoso. 

Caro ministro dell’ambiente Sergio Costa, per favore batta un colpo su queste contraddizioni, chieda in sede europea se i soldi per il Tav Torino-Lione non sia meglio spenderli per regalare pannelli solari alla gente e sanare il nostro dissesto idrogeologico. E chieda al nostro premier di depennare progetti che non hanno nulla di ambientalmente sostenibile. Vedrà che anche Macron farà lo stesso. 

Non sono tempi nei quali ci si può permettere sprechi ed errori irreversibili, bisogna farlo notare proprio a chi con una mano vuole eliminarli e con l’altra li finanzia con il denaro dei cittadini europei. 

Luca Mercalli F.Q. 12/12/2020 

04/12/20

LA FURBETTA DI PALAZZO FIRMIAN (CHE CONOSCE BENE I SUOI POLLI)

Ci manca solo la letterina a Babbo Natale! La Sindaca Ceschini non perde occasione per cercare consenso a basso prezzo. Con una mielosa letterina ringrazia gli eroi della casa di riposo Giovanelli. Diceva Bertold Brecht "Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi". Mi trovo in perfetta sintonia con il suo pensiero. Non abbiamo bisogno di eroi ma, semplicemente, di persone che, quotidianamente, fanno il loro lavoro. Sarebbe quindi più opportuno chiedersi casomai se il personale sanitario è stato ed è messo nelle condizioni di sicurezza per fare il proprio lavoro. In questo delicato periodo sono molte le persone che rischiano sul posto di lavoro e che comunque, con dedizione e volontà, fanno ciò che c'è da fare. Se vogliamo fare un'eccezione la farei per la Sindaca che, come un'ombra misteriosa, si aggira per i social senza nulla di concludente realizzare. Se ciascuno di noi deve fare il proprio dovere, inizi lei: essendo presente in Comune, facendo il lavoro (perché non si tratta di un hobby) che è stata chiamata a fare. Altro che letterine!



E se vogliamo continuare...

Ammirevoli le dichiarazioni di disponibilità al Confronto della Ceschini nell'illustrare il suo programma di governo. Peccato che, poco più di mezz'ora prima di esternarle, le abbia clamorosamente smentite, negando un dibattito su un tema importantissimo per la comunità teserana, come quello di malga Lagorai. Erano più di 80 le persone collegate, tutte normodotate. Chiedo loro: non trovate una leggerissima contraddizione tra ciò che la Ceschini ha detto e quello che ha praticato nei fatti? Un antico adagio dice di chi "predica bene e razzola male". Beh, in questo caso si deve correggere in "chi predica bene e razzola malissimno". Ah, dimenticavo, siamo nel paese delle favole... Babbo Natale esiste e la Ceschini pure!

Maurizio Zeni


30/11/20

VIA LA MASCHERA!

È un timore che ho visto più volte espresso da utenti che hanno dato il loro contributo a questo blog: la necessità di mantenere l'anonimato per tutelare la propria persona. Da ritorsioni? Rappresaglie?

Pur per metà soltanto teserana, e se frammento questa metà in base all'origine dei miei antenati di teserano rimane ben poco, sono cresciuta anch'io in questo paese e sì, non è estraneo alle tipiche bassezze di ogni comunità umana.

Che sia peggio di altri comuni, Tesero, non saprei dire, dal momento che non ho mai vissuto tempi sufficientemente lunghi altrove per poter fare un razionale confronto.

Molte volte mi è stato detto da amici, conoscenti, parenti: "parli troppo, non è prudente a Tesero, in qualche modo te la faranno pagare", ma finora nessuno mi ha gambizzata, né sciolta nell'acido, né mi è stato inviato un pezzo d'orecchio in una busta con richiesta di riscatto.



Insomma, voglio dire, non posso pretendere che le mie idee siano digerite ed apprezzate da tutti; sarebbe irrealistico aspettarmi d'essere simpatica a chiunque ed a prescindere.

Qualcuno in paese mi ha tolto d'improvviso il saluto senza che io ne capissi il perché in passato, qualcun altro si è inventato qualche diceria, ho subìto ingiustizie di cui non comprendo il motivo.

Come tutti, credo. Nessuno escluso.

Forse, se aprissi una mia attività di massaggi - come tanto spero, finalmente - di fare a pandemia conclusa - tante persone deciderebbero di non diventare mia/mio cliente per antipatia personale indiretta, senza nemmeno mai aver avuto a che fare con me, ma solo per la mia faccia, o per qualcos'altro di irrilevante. Può essere.

Ma davvero tutto ciò è cosi grave da dovermi indurre, in una comunità striminzita come la nostra, a ricorrere all'anonimato nell'esporre le mie opinioni?

E se anche lo fosse, così grave, non è allora giunto il momento di dare una svolta al sistema, non facendosene più vittime?

Non ho avuto un solo tentennamento nell'apporre la mia firma ai commenti che ho lasciato in questo blog. Metterci la faccia mi sembra non solo una regola di buona educazione e rispetto verso gli altri, ma una necessità irrinunciabile se desidero contribuire al miglioramento di qualcosa che rilevo come sbagliato.

Le lamentele anonime sono purtroppo controproducenti, perché non fanno che aumentare il sospetto e la diffidenza reciproci ed a diffondere una percezione esagerata di squilibrio.

Tatiana Deflorian

29/11/20

DABBENAGGINE O MALAFEDE? ENTRAMBE!

Scrive bene - come sempre - Ruggero, che da matematico sopraffino qual è ha il dono dell'astrazione, necessaria per ante-vedere, ma anche della sintesi. E il suo intervento è una sintesi perfetta ed esaustiva della 'questione Malga Lagorai'.

Ci chiediamo perché una maggioranza consiliare che include - oltre, certo, a qualche utile idiota che ha già avuto modo di mettersi in bella mostra - dottori della legge, sociologi, architetti e altri stüdiai di alto livello, nonostante gli appelli lanciati da più parti, fuori e dentro il Palazzo, possa tirare dritta senza la minima incertezza, il minimo dubbio di avere quantomeno sottovalutato le conseguenze, ancorché forse non immediate, della deroga urbanistica che si accinge a concedere.

Che quell'autorizzazione, in un domani più o meno vicino, possa diventare il cavallo di Troia per l'innesco di una progressiva, irreversibile, degradante trasformazione di quei luoghi magnifici e incontaminati ad uso e consumo soprattutto della società Funivie del Cermis.

Ergo, siccome il Comune avrebbe potuto (potrebbe ancora) ribattere alle pressioni della Comunità dicendo semplicemente che per ripristinare le sue tipiche funzioni originarie già ora Malga Lagorai può essere rimessa a nuovo senza doverne cambiare la destinazione d'uso, asseriamo, noi sì senza dubbio alcuno, che la pervicace chiusura all'ascolto da parte di Ceschini & C. nasconde malafede da un canto e dabbenaggine dall'altro.





Ci piacerebbe naturalmente essere smentiti, qui su questo blog, da uno dei nuovi assessori comunali. Da Lidia Canal, da Massimo Cristel o da Fabio Cristel, che nel merito l'altra sera sono stati silenti. Vorremmo controbattessero a quanto scritto da Ruggero, e confutassero le sue argomentazioni, punto su punto. Questo è (sarebbe) confronto democratico! 

Perché, lo ricordiamo, questa maggioranza non è stata plebiscitata, ma governa e decide, purtroppo anche per chi non l'ha votata, in virtù di una legge elettorale discutibile che assegna alla lista vincente (anche per un solo voto!) i 2/3 dei seggi consiliari. Quindi, calma quando si parla di investitura democratica: i 928 voti che avete ricevuto, sono minoranza già rispetto al totale degli aventi diritto e corrispondono addirittura a meno di un terzo della popolazione! 

Temiamo però che questo nostro auspicio non verrà soddisfatto. Conosciamo troppo bene i modi, lo stile (sopire e troncare, troncare e sopire!), gli uomini.

Non c'è un cazzo da fare! La storia lo insegna: le porcate amministrative sono la specialità della casa e tutto lascia intendere che se ne stia confezionando un'altra. Ci toccherà dunque, ahinoi, aggiornare il libro de Le Tieserade, includendovi anche quest'ultima.

Purtroppo, lo abbiamo scritto infinite volte, questo è un paese senza dignità, inverecondamente tafazziano, dove il vassallaggio amministrativo è la regola, sempre pronto a genuflettersi di fronte ai potentati economici.

L'Orco


27/11/20

DA UN GRILLO PARLANTE FORESTO AI COMANDANTI NOSTRANI

Ho assistito, grazie alle moderne tecnologie, alla seduta del Consiglio comunale di Tesero di ieri 26 novembre. Ero interessato al dibattito sulle due petizioni contro la deroga per il cambio d'uso della Malga di Lagorai. Dibattito? Non c'è stato un vero dibattito. C'è stata un'arrogante maggioranza che ha respinto le mozioni e il civile tentativo della minoranza di inserire qualche punto di merito nella discussione. Gli argomenti della maggioranza, quelli che si possono dire, sono pochi e fragilissimi.




Argomento 1. Bisogna che la malga sia ristrutturata, ora è in stato derelitto.
Questo è il già noto "motivo Degodenz": c'è da vergognarsi, la malga fa schifo, bisogna metterla subito a posto! 
È però fuori bersaglio, perché nessuno - tantomeno le petizioni - ha mai obiettato sulla necessità di una ristrutturazione degli edifici. Piuttosto, questa scusa illustra come l'amministrazione (Comunità e Comune) abbia finora trascurato il suo bene, lasciando andare la malga in rovina.

Argomento 2. Stiamo facendo il bene della cittadinanza, in fin dei conti i teserani avranno vantaggio a potersi mangiare la polenta nel ristorante-rifugio Lagorai.
Bene, per far ricavare un po' di reddito al gestore, i teserani sono disposti ad impegnarsi per andare in Lagorai almeno 4 volte all'anno ciascuno? "L'integrazione del reddito del pastore" è una puttanata che un umano normale si vergognerebbe di sostenere come motivo sufficiente per fabbricargli un ristorante-rifugio.

Argomento 3. Il Progetto Translagorai viene da lontano, è stato partecipato da molti soggetti, e della Magnifica Comunità, custode dei nostri valori e della nostra storia, ci dobbiamo fidare. 
Però, se è stato tanto partecipato, perché migliaia di cittadini l'hanno visto fin dalla sua nascita come uno scempio? E sia chiaro, sono i cittadini che il Lagorai lo frequentano, lo conoscono, lo amano. E la Magnifica? Il suo passato garantisce che essa non subisca le pressioni di interessi privati? Mah. Le vergognose, ancora oscure, vicende del "nuovo ospedale", per cui si è perfino dimesso da Scario il più strenuo promotore del ristorante-bivacco-custodito, gettano una luce sinistra anche sulla Comunità. 

Argomento 4. Il progetto è proprio bello, il cambio d'uso a ristorante-rifugio non avrà impatto, perché strade e sentieri resteranno immutati, la frequentazione sarà comunque ridotta. 
Qui casca l'asino, anzi, gli asini! Ma come? Si lascia costruire una struttura turistica ricettiva. Poi da una parte si garantisce che sarà redditizia, potrà "integrare il reddito del pastore", si parla addirittura di un "gestore". E dall'altra si dice che tanto sarà il solito deserto (e quindi gestore/pastore guadagnerà ben poco). 

Il fatto evidente è che da parte di Provincia, Comunità, Comune, c'è una fermissima volontà di fare il rifugio-ristorante. A tutti i costi. Anche di sputtanarsi sciorinando motivazioni spudoratamente contraddittorie e superficiali.

Dei ragionamenti che sono stati ripetuti in interventi, lettere, petizioni, pare che i consiglieri teserani di maggioranza se ne freghino, ripetono come un disco rotto le quattro litanie, votano contro le petizioni senza nemmeno considerare almeno i punti più tecnici: come si fa a dare la deroga se non si sa nemmeno come saranno trattati e smaltiti i liquami biologici? Se non c'è un piano economico che possa giustificare una struttura turistica, che ha bisogno di clientela? Non si teme di venir giudicati? Senza voler offendere alcuno, sarei incerto se scegliere tra malafede e dabbenaggine. Oppure sbaglio, è una terza possibilità.

Delle tante parole di ieri sera, una mi ha colpito profondamente. Quella che non è mai stata pronunciata, ma era sulle labbra di tutti: "Cermìs"!

Quale pudore ha impedito di dirla? Forse perché dietro a tante illogicità, il solo pensarci rimette tutto in ordine, ogni tassello del puzzle va al suo posto, si vede finalmente una logica nello scodinzolare dei fautori del rifugio Lagorai. Il fatto che la società delle funivie se ne sia stata silente, attentissima a non farsi coinvolgere, sia pure solo per dire "a noi non interessa", è segno che il programma viene portato avanti con grande accuratezza. Nessun giornalista ha fatto domande alla società funivie, eppure l'interesse del Cermìs era stato chiamato in causa già nell'autunno 2018, immediatamente dopo la rivelazione del "Progetto Translagorai". Peccato, in Trentino i giornalisti "scomodi" (come dovrebbero essere i giornalisti) sono una rarità. 

Eppure gli indizi ci sono, espliciti. Il precedente amministratore delegato delle Funivie del Cermìs, Silvano Seber, ebbe a dire in un'intervista a L'Avisio del 13 dicembre 2017:"... noi vediamo il Cermis solo come una porta d'accesso verso la natura. La fortuna del Cermis è proprio quella di essere all'interno della catena del Lagorai che non è ancora antropizzata. Posti come la Val Moena sono veri paradisi naturali. Nei nostri intenti il Cermis e questo sentiero saranno una porta d'ingresso verso questo paradiso". 

E ora vorrei cercare di convincere qualche orgoglioso teserano che:

- all'economia della monocultura turistica i teserani hanno già dato e stanno sacrificando molto a Pampeago e dintorni: malghe-ristorante, boschi-pista, silenzio rotto dai megafoni delle "voliere"; quindi è un dovere preservare da questo destino almeno l'altro versante dei territori comunali;

- il ristorante Lagorai è a tutta evidenza un favore ai funiviari (cavalesani!), ma anche una concorrenza a Pampeago, essendo logico e naturale che la Val Lagorai verrà proposta dal Cermìs come meta per passeggiate e biciclettate (assistite);

- chi dice "siamo padroni e decidiamo noi" dovrebbe essere abbastanza intelligente da capire che è una contraddizione sostenere una proposta "che viene da fuori" e che svalorizza le proprie ricchezze naturali (comunque sempre "padroni di rinunciare ad essere padroni"). 

Ruggero Vaia socio SAT Cavalese

DISILLUSIONE

È con ancora maggiore amarezza che oggi mi ritrovo ad osservare il paese di Tesero. E mi rendo conto di essere passata da una sorta di "beata ingenuità" - che indubbiamente mi è stato possibile coltivare causa il mio stile di vita così socialmente defilato - ad una pesante consapevolezza sullo stato democratico del paese. Ho seguito in streaming ieri tutto il Consiglio Comunale, e ne sono rimasta disgustata. Uno spettacolo così misero e meschino, non me lo sarei mai aspettato. Quella squadra capeggiata da una sindaca a cui io ho deciso di dare la mia fiducia, scegliendola nella mia preferenza elettorale, non mi rappresenta in alcun modo nelle pretese che esprime e nella sua implicita incoerenza, nell'infantile atteggiamento di rimprovero, persino in un'aggressività che mi ha lasciata attonita ed offesa e che le credevo estranea. Mi rammarica prendere atto che questa amministrazione manchi evidentemente dell'umiltà che ogni carica pubblica, a mio avviso, richieda. Mettersi al servizio di una comunità comporta inevitabilmente l'esposizione a critiche, contrapposizioni, dubbi che tutti dovrebbero essere conferma di uno stato vitale, e non vegetativo, di uno spirito democratico.




Ma da ciò che ho visto ieri, dagli exploits anche scomposti e prepotenti della maggioranza, la mia impressione oggi è che questa amministrazione comunale non incarni i miei più alti ideali di rispetto, democrazia, trasparenza, maturità istituzionale e politica. La grave situazione sanitaria in cui versa Tesero ha occupato ieri l'ultima porzione del Consiglio Comunale: a mio avviso sarebbe dovuta essere prioritaria rispetto agli altri punti dell'ordine del giorno, ma mi rendo tristemente conto che, per come la sindaca e suoi consiglieri avevano intenzione di trattare l'argomento, ritenendo opportuno in quella sede dare ampio spazio a risentimenti astiosi per le DOVUTE critiche ricevute, avrebbe reso troppo tossico e velenoso il confronto successivo. La sindaca si è dilungata in un interminabile monologo che ha sì fornito informazioni necessarie per aggiungere qualche tassello in più alla conoscenza della confusa, scriteriata ed approssimativa gestione della pandemia nella nostra provincia, e per cui un'amministrazione comunale ha ben pochi strumenti per porvi rimedio, ma che è stato maggiormente incentrato sull'irritazione per essere stata oggetto di critiche. Il consigliere di minoranza Volcan ha avuto tutto il mio virtuale sostegno quando, dopo un'attesa civile e rispettosa che la sindaca finalmente giungesse a conclusione, ha cercato di intervenire per confutare le accuse che alla minoranza erano rivolte, e si è sentito redarguire con un infelice "qui basta lo dico solo io, perché io sono il sindaco!". Dopo questo monologo la minoranza è stata zittita, insultata, messa in un angolo da un fronte compatto di maggioranza evidentemente non aperta al dialogo quando si tratta d'essere contrapposta. In passato ho più volte dissentito sui modi irruenti, ai miei occhi fuori luogo ed eccessivi, anche speculativi, del capo di minoranza di criticare l'operato della maggioranza. Ma nel caso specifico della crisi sanitaria che stiamo attraversando, quanto espresso e richiesto dalla minoranza ha raccolto la mia condivisione e il mio sostegno. E quanto palesato ieri dai Consiglieri di minoranza Volcan e Deflorian, mi ha ulteriormente convinta che qui a Tesero l'amministrazione comunale si sia mossa male in questa seconda ondata.

Concludendo: ciò che ho visto ieri non mi è piaciuto per niente e non mi ha riappacificata con i dubbi che ho dovuto fronteggiare con me stessa in queste ultime settimane per la mia scelta elettorale. Da parte mia un apprezzamento indubbiamente dovuto per ciò che la maggioranza ha fatto, ma ancora viva la critica per tutto ciò che non ha fatto e la delusione per ciò che ho dovuto comprendere ieri. Mi auguro davvero che il clima che si è instaurato ieri tra le due parti opposte non sarà il leit motiv di questa legislatura.

Oltre ad essere controproducente per tutti, sarebbe oltremodo squallido.

Tatiana Deflorian

24/11/20

SCI-MUNITI

Il Covid-19 ci ha regalato due ondate e, se tutto va male, a gennaio arriva la terza. Invece la cosiddetta informazione sforna un’ondata alla settimana. Ma non di virus: di cazzate. C’è la settimana del governo Draghi (la prima di ogni mese), quella del Mes (la seconda), quella del rimpasto, quella delle troppe scarcerazioni (colpa di Bonafede), quella delle troppe carcerazioni (colpa di Bonafede), quella del governo senza “anima”, quella di Conte che decide sempre tutto da solo, quella di Conte che non decide mai niente neanche in compagnia, quella che le scuole che non riapriranno mai (colpa della Azzolina), quella che riaprire le scuole è stato un errore (colpa della Azzolina), quella che devono decidere le Regioni, quella che deve decidere il governo, quella che ci vuole il lockdown, quella che meno male che non s’è fatto il lockdown, quella che i vaccini arrivano troppo tardi (colpa di Arcuri), quella che i vaccini che arrivano troppo presto (colpa di Arcuri), quella di Salvini europeista liberale, quella di B. che è diventato buono. La settimana scorsa era quella del “salviamo il Natale”. Ieri, altro giro di giostra: “Salviamo le vacanze sulla neve”. 



Un’allegra combriccola di buontemponi che si fan chiamare “governatori” e “assessori” di alcune fra le Regioni peggio messe (le zone rosse Lombardia, Piemonte, Alto Adige, Val d’Aosta, l’arancione Friuli-venezia Giulia e le gialle Veneto e Trentino), chiede di riaprire la stagione sciistica. Con 600-700 morti al giorno e molti ospedali in overbooking, gli sci-muniti pensano alle “linee guida per l’utilizzo degli impianti di risalita nelle stazioni e nei comprensori sciistici da parte degli sciatori amatoriali”. 

Gli assessori lombardi Caparini e Sertori, in rappresentanza di una giunta che non riesce nemmeno a comprare i vaccini antinfluenzali per medici, anziani e malati, spiegano spensierati che chiudere gli impianti di sci è stata addirittura “una scelta scriteriata e incomprensibile da parte di un governo disorientato” (loro invece sono lucidi). Intanto i giornaloni raccolgono gli appelli di Alberto Tomba e di altri cervelli in fuga. Tutti a strillare che lo sci “è uno sport all’aperto e individuale” (come se gli assembramenti si verificassero sulle piste e non prima e dopo le discese, cioè negli hotel, negli impianti di risalita, nei rifugi e nei locali serali di “après ski”) e bisogna “dare un segnale positivo” (al Covid-19). È la stessa demenza collettiva che prima voleva “salvare la Pasqua”, poi “il ferragosto”, “la movida”, “le discoteche”. La stessa follia che ancora a metà settembre, mentre i contagi risalivano, portò la Conferenza delle Regioni a chiedere di riaprire gli stadi fino al 25% della capienza. Quando arriva il vaccino contro i cretini? 

Marco Travaglio - Il fatto Quotidiano

20/11/20

'TALIANI!

Quando l'emergenza Covid passerà, «riprenderemo la nostra vita con la foga del drogato per cui è finita l'astinenza», senza aver imparato nulla. E nel frattempo, nonostante una pandemia che fa «200 morti al giorno», continuerà a guidarci «l'individualismo sfrenato» che contraddistingue una società che «non ha mai avuto il senso di comunità». È con sguardo severo e preoccupato, e toni accesi, che Umberto Galimberti, filosofo, psicoanalista e antropologo, descrive l'Italia che vive la seconda ondata di contagi. 



IL GOVERNO CHIUDE I RISTORANTI ALLE 18 E GLI ITALIANI VANNO A CENA A SAN MARINO. COSA RACCONTA QUESTO ATTEGGIAMENTO? 

«Il nostro individualismo. Si deve capire che la città viene prima dell'individuo, ma noi italiani cittadini non lo siamo ancora, siamo solo familiari, anche per ragioni storiche. Fino a 150 anni fa eravamo dominati da potenze straniere e lo Stato veniva percepito come un nemico da fregare. Un'impostazione che è rimasta, lo dimostra l'evasione fiscale. Non c'è senso della collettività, ma questa è una cultura che non si inculca in un anno perché è capitata una disgrazia, si insegna a scuola. E l'Italia le scuole le chiude». 

SE SI TORNASSE ALLA DIDATTICA A DISTANZA OVUNQUE? 

«Chiudere le scuole è la decisione più disgraziata, la più folle. C'è da infuriarsi davvero. Francia e Germania chiudono tutto ma non quello. La scuola a distanza non esiste. Il problema sa qual è? Che all'Italia dell'istruzione non è mai fregato nulla. Basta pensare che, dati Ocse, il 70% degli italiani non capisce quello che legge. Sono i luoghi della movida che andavano chiusi già a giugno: i giovani hanno avuto un atteggiamento irresponsabile». 

LA SCORSA PRIMAVERA C'ERA CHI DICEVA CHE DALLA PANDEMIA SAREMMO USCITI MIGLIORI. CHE SOCIETÀ CREDE CHE TROVEREMO? 

«Il Covid ci ha offerto la possibilità di riflettere su noi stessi, sulla qualità dei nostri affetti, e non lo abbiamo fatto. Vivere a propria insaputa è la cosa peggiore del mondo ma purtroppo non ci interessa. Questa società rammollita va ribaltata dalle fondamenta. La gente si ribella contro il governo quando il nemico è il virus». 

VANDALISMI A PARTE, COSA PENSA DELLA RABBIA E DEL MALCONTENTO ESPRESSI NELLE PIAZZE? 

«Penso che in questo momento, in cui stiamo andando verso un nuovo lockdown, ci sia solo da sopportare. Se ciascuno di noi è potenzialmente portatore del male, come si fa a riunirsi? Le manifestazioni sono luoghi di infezione». 

MOLTI IMPRENDITORI PERÒ SONO IN GINOCCHIO. 

«Se alla nostra economia bastano due mesi di stop per crollare significa che è fragilissima. Questa pandemia deve farci riflettere sul nostro sistema economico: è giusta una società fondata sul denaro? Che calcola solo ciò che è utile? Non possiamo fermarci alla schiuma del mare, dobbiamo guardare gli abissi. Davvero non vogliamo rinunciare ad andare al ristorante? Ma che idea abbiamo dell'umanità?». 

AD APRILE AVEVA DETTO CHE NON SIAMO PIÙ CAPACI DI DARE UNA PAROLA DI CONFORTO A CHI SOFFRE E CHE ABBIAMO PERSO LA RELAZIONE CON LA MORTE. 

«Ed è ancora così. I tanti morti per noi non sono morti ma numeri di morti. Capiamo solo se la tragedia ci tocca personalmente, e a volte neanche in quel caso. Magari alla morte di un anziano c'è chi pensa all'eredità». 


Elisabetta Pagani - La Stampa 




11/11/20

08/11/20

05/11/20

AFFINITÀ


 

16/10/20

SILENZIO ADDIO

Quando si ama fortemente, in questo caso parlo di un territorio, il Lagorai, non si può restare indifferenti a una grande ingiustizia. Chi ama vuole tutelare non trarre profitto. Quello che chiamano "valorizzazione" non è altro che uno sfruttamento per ricavare denaro a beneficio di pochi, per sottrarre ciò che è un tassello del cuore di chi ha radici radicate nel nostro Lagorai; che ci ha sempre dato molto... bosco, acqua, prati. Eppure, nonostante il Lagorai abbia tutto per essere già perfetto arriveranno le "comodità cittadine" per un turismo che si allargherà andando a calpestare anima e silenzio, tanto preziosi a chi cerca un sentimento profondo con la montagna.



La Magnifica Comunità di Fiemme giustifica il cambio d'uso di Malga Lagorai, da ricovero per il pastore a struttura ricettiva, perché dice è l'unico modo per finanziare la ristrutturazione. A questo punto io come Vicina della Magnifica mi vergogno di appartenere ad essa. Rinunci a chiamarsi "Magnifica", perché se in passato ha dato tanto a noi fiammazzi, ora siamo arrivati al limite della nostra dignità.

Al Consiglio dei Regolani ho sentito tra le parole dette dallo Scario, riguardanti la richiesta di deroghe al Comune di Tesero, una frase che mi è rimbalzata nel cuore tutta quella notte; una frase che probabilmente fa da scudo alla coscienza: "Tanto ormai l'inquinamento è arrivato ovunque"... Amministratori, abbassate questo scudo di indifferenza! Solo scelte politiche senza paraocchi potranno salvare ciò che abbiamo sul nostro Lagorai.

Tiziana Vanzo 

12/10/20

A LORO INSAPUTA

Se chiedessimo a un qualsiasi amministratore locale, dall'ultimo dei consiglieri del più piccolo paese di Fiemme su su sino al nostro campione provinciale, del perché ad un certo punto la costruzione di un nuovo ospedale di valle sia divenuta la priorità sulla bocca di tutti, nessuno riuscirebbe probabilmente a rispondere. 'Una necessità', 'un bisogno', arrivati nei palazzi del potere come per magia, portati dal vento. Più o meno come nel Barbiere di Rossini: il bisogno è un venticello, un'auretta assai gentile, che insensibile sottile, leggermente dolcemente incomincia a sussurrar. Piano piano, terra terra, sotto voce sibillando, va scorrendo, va ronzando, nelle orecchie della gente. S'introduce destramente, e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar...

Siamo nelle mani di persone che decidono a loro insaputa. Lo testimonia la recente presa di posizione a mezzo stampa dello Scario della Magnifica. Le sue dichiarazioni sconcerterebbero anche il più avventato dei lettori, se in questa valle ci fosse qualcuno in grado di leggere. Una storia di un'opacità che sbalordisce, degna di luoghi italici d'inferiore latitudine. Lui, lo Scario, al pari di un Don Abbondio manzoniano, contattato dai vertici della PAT, all'insaputa del loro presidente: "Faccia attenzione, Boninsegna, non ne parli con nessuno, riservatezza, riservatezza!... Ne va della sua vita."...



Sindaci e amministratori che fingono di non essere al corrente delle manovre provinciali, ma che invece, proprio in quel di Trento, risultano essere stati informati della proposta già dal gennaio scorso. L'ex ras fiemmese in Provincia, Gilmozzi, all'insaputa a sua volta, che scrive un preoccupato e inquietante articolo su quelle strane voci, udite all'osteria da un consigliere cavalesano di minoranza, che parlano della costruzione di un nuovo ospedale (un terzo? boh) te l'Orto dai Peci...

Da quando il signor Rossi governava, appena tre anni fa, pare sia trascorso un secolo. Era il tempo in cui le donne di Fiemme e Fassa pronte a comprar venivano prelevate nottetempo in elicottero e portate direttamente al Santa Chiara, per partorire in sicurezza. Era il tempo degli anestesisti introvabili. Era il tempo dei reparti dell'Ospedale di Fiemme non più conformi alle normative vigenti. Era il tempo del comitato Giù le mani dall'Ospedale. Era il tempo che non c'erano più soldi e Rossi diceva: Mettetevi il cuore in pace, fatevene una ragione; per curarvi dovrete andare tutti in città nel Nuovo Ospedale di Trento (NOT). Era il tempo in cui il consigliere De Godenz, pure lui a sua insaputa, pretendeva comunque l'eccellenza del vecchio nosocomio fiemmese, almeno per il reparto di ortopedia e traumatologia, ché la valle non poteva permettersi di trasferire decine di feriti da sci ogni volta sino a Trento. Era il tempo in cui ogni santo giorno i giornali locali ci informavano dell'incontro tra Tizio e Caio avvenuto in Provincia, dell'assessore alla sanità provinciale che saliva a Cavalese e del presidente della Comunità di Valle che scendeva a Trento. Una stucchevole commedia durata più di due anni, nella quale ogni piccolo interprete recitava la sua piccola parte, guadagnandosi sulla stampa il suo piccolo spazio e la sua piccola gloria.

Poi, sempre per magia e all'insaputa di tutti, arrivò il tempo dei rendering. Basta NOT. I soldi ci sono! Ed ecco apparire, sulla solita stampa locale, senza spiegarci né il perché né il percome, le belle facce sorridenti e trionfanti dei piccoli politicanti locali, per illustrare ai sempre più confusi lettori i disegni del NOF (Nuovo Ospedale di Fiemme). Lo faremo nuovo, più bello, all'avanguardia! Non servirà aggiornare quello esistente (peraltro ammodernato soltanto una ventina d'anni prima). No. Ne faremo un altro, proprio lì, ai Dossi, vicino a quello 'vecchio'! Bene, bene, bravi, bis.

Poi, nell'autunno 2018 Rossi cade. L'UPT si polverizza e a rappresentarne le rovine resta soltanto il Nostro. Il ras di Fiemme torna a fare il Cavalesano semplice. In Provincia a comandare arrivano i barbari vestiti di verde.

Così, tra un'emergenza (Vaia) e un'altra (Covid), la Lega comincia a comandare. Ci sono le Olimpiadi alle viste. La Zecca stamperà tanta moneta. I soldi arriveranno in grande quantità. Forza, dai, la mangiatoia è pronta: cosa ci si può inventare per fare un po' di business e darla a bere al popolo? Ma certo, come no: serve un altro ospedale in Fiemme. Quello dei rendering? No, un altro ancora.

L'Orco


09/10/20

BELLO E (QUASI) IMPOSSIBILE

Il blog potrebbe essere la casa di formazione del gruppo che a maggio 2025 sfiderà Ceschini, o chi per lei. Così almeno auspica un commentatore anonimo (di nuovo, purtroppo!) che scrive: Cominciamo, chi ci crede, a costruire un'alternativa, ora! Per 5 anni la Ceschini potrà "brillare" nella sua carica. L'importante è che la prossima volta sia smascherata pubblicamente. Perchè non cominciamo, su questo blog a scrivere "IO VOGLIO IL CAMBIAMENTO E MI IMPEGNO PER COSTRUIRLO"?

Va bene, ci sto. L'idea, anonimato a parte, è buona; un po' meno l'humus in cui attecchire, rinvigorirsi, crescere e dar frutto. Già Barbolini ha fatto un mezzo miracolo nel riuscire ad allestire la sua lista. E probabilmente non è un caso se per completarla ha dovuto includervi Teserani d'importazione.

Il vulnus atavico di questo paese è proprio qui. Signori, questo non è Cavalese, non è Predazzo e nemmeno Panchià, che almeno due liste, senza andare a scomodare foresti le mette insieme ogni volta.

No, questo è Tesero, Tesero, scarpette e zoccole. Proprio così. Qui le tue idee possono essere buone, buonissime, ma le abbraccio, le sostengo, e soprattutto, le voto solo sei dei nostri, altrimenti ciàvete! Di chi ti puoi fidare? Di nessuno! Annusando l'aria prima del 20 settembre scorso, pareva fosse preponderante la parte contraria a una Ceschini bis, e invece, ben nascosto dentro la cabina elettorale, ecco materializzarsi puntuale il tradimento.



In sessant'anni di storia amministrativa soltanto in tre sono riusciti a rompere le uova nel paniere del blocco egemone paesano. Due, quando ancora vigeva il sistema proporzionale: il socialdemocratico Remigio Braito nel 1975 (che però venne disarcionato appena due anni dopo dalle solite trame fedeline) e Maurizio Zeni, socialista, nel 1990 dopo un' estenuante mediazione durata oltre tre mesi. Ultimo, con il sistema elettorale vigente, Francesco Zanon, che nel 2010 riuscì a sovvertire la tradizione grazie ad una lista di peso e al cambio generazionale in atto dentro al gruppo dominante, dopo i 15 anni ininterrotti del regno Delladio. Insomma le ciave de l'olto, rare e fortuite eccezioni a parte, sono una prerogativa di chi intorno alla parrocchiale fa o ha fatto il troso, su questo non ci piove. Così dice la storia.

E allora la domanda da cui partire è la seguente, senza metterci la faccia, un nome e un cognome, come si fa? Risolto il rompicapo si potrà anche tentare di tracciare un percorso. Ai solutori (più che abili) del quesito, il blog farà omaggio di una copia del pamphlet le Tieserade.

L'Orco


03/10/20

'L PIERIN GIAZINTÈL

Classe 1921, Pietro Longo, per quelli di Tesero di una certa età 'l Pierin Giazintèl, compirà 99 anni tra pochi giorni. Stava salendo l'altra mattina lungo la erta de le scöle come fa ogni giorno per tornare a casa, col suo solito passo. Gli abbiamo chiesto di concederci uno scatto fotografico. Ha sorriso e si è gentilmente fermato un momento. Poi ha proseguito.

Uomo tranquillo, silenzioso, di poche parole e di convinta fede. Mai un'imprecazione, mai un gesto di stizza, mai dentro le istituzioni locali. Nonostante l'età 'l Pierin Giazintèl si reca quotidianamente in chiesa, ma non è (e non è mai stato) un 'fedelìn' nell'accezione esatta del termine.¹

È l'uomo residente più anziano del paese. E, di Tesero, quello che può vantare un primato davvero particolare: aver portato la croce a un santo. Proprio così. Accadde il 17 luglio 1988 in occasione della visita di papa Wojtyla a Tesero. Il Pierin, forse per intercessione divina, si trovò a sorreggere la croce di ferro a Giovanni Paolo II, durante la commemorazione celebrata quel giorno a Stava dal pontefice.

A noi, che per ragioni anagrafiche dagli anni Sessanta in poi abbiamo potuto osservare soltanto il graduale ma veloce passaggio dalla società a preminente vocazione contadina del paese - ove il territorio, sacralmente curato e custodito, era fonte primaria ed esclusiva di vita e dove le persone si dovevano confrontare ogni giorno col concetto di finitezza delle risorse - a quella odierna a trazione turistico-commerciale, rattrista non poco dover constatare che 'l Pierin, data l'inesorabilità del tempo, è uno degli ultimi testimoni rimasti di quell'epoca e di quel paese.



In meno di 100 anni siamo dunque passati da quella società agricola patriarcale ancorata nei secoli a valori immutabili, nella quale i nuclei familiari si costituivano intorno al padre del padre, depositario per anzianità del sapere e della saggezza e perciò, sino alla fine, in quanto capo riconosciuto di quel nucleo, premurosamente accudito dai figli, dalle nuore e dai nipoti, all'attuale società del divertimento e dello spettacolo: leggera, frivola, liquida, giovanilista, iper tecnologica, ove il concetto di saggezza è del tutto scomparso, i padri e i figli si confondono e si scambiano di ruolo e dalla quale l'anziano non più utile e ingombrante, spesso, a 'fine carriera'  viene espulso e scaricato, come un pacco, dentro asettiche e lussuose RSA.

Meno di cent'anni, ma una distanza siderale. Da quel vivere semplice, sobrio, limpido, rispettoso - perché consapevole - dei valori fondamentali da cui dipendeva, a questa sopravvivenza dorata, disgregata, inconsapevole, confusa, che per inedia si trastulla e si bea immergendosi nei disvalori contemporanei.

Meno di cent'anni, la vita di un uomo, per perdere il senso del tutto, rinnegare l'identità originaria e giungere sull'orlo dell'abisso. Un procedere insostenibile, da ogni punto di vista. Tra non molto ne faremo le spese tutti.

A.D.


¹ Fedelìn (agg. e sost. maschile)

Di persona che mostra zelo esagerato più nelle pratiche esterne che nello spirito della religione, osservando con ostentazione e pignoleria tutte le regole del culto, aggiungendovi, a dosi variabili, falsità, fideistica e acritica sottomissione al capo, ostracismo nei confronti del 'diverso', dabbenaggine.

01/10/20

IL LOGORO REFRAIN DELLA 'CULTURA' TESERANA

Giunta nuova, solfa vecchia. Questo si deduce dal racconto autocelebrativo d'insediamento della lista vincitrice, consegnato alla stampa locale dalla neo/ vecchia sindaca ed elaborato dalla pubblicista di servizio. Con l'enfasi al solito sopra le righe, sono state spartite le competenze tra i dieci bravi ragazzi/e, dal primo della classe all'ultimo somaro, che sino al 2025 si terranno ben stretta la ciave de l'olto



Soprassediamo per il momento alle investiture degli assessorati tecnici, perché, in partenza, c'è ben poco da dire, col tempo vedremo. Ci piace invece qui riflettere brevemente sulle motivazioni che hanno fatto ricadere su Massimo Cristel le competenze alla cultura. Dice a tal proposito l'articolista de L'Adige: "Doverosa la competenza alla cultura a Massimo Cristel, presidente della banda comunale e componente attivo delle associazioni di Fiemme. A lui anche la competenza al turismo, per la diretta affinità tra i due mondi, nel paese della musica e del presepe". 

Conveniamo che Massimo, per formazione di studio e impegno diretto, tra i dieci della compagine di maggioranza sia il più indicato ad assumersi quell'assessorato. A nostro parere non è però accettabile che, direttamente o indirettamente, per cultura qui s'intenda (quasi esclusivamente) sempre e comunque banda e presepi. Questa è la prova provata del provincialismo irriformabile di questo paese, incapace di emanciparsi e aprirsi al mondo. Dall'autoreferenzialità non si esce. E non per caso, visto che a Tesero  rimanere aggrappati a questi due luoghi comuni fa comodo a molti. 

Per noi cultura significa qualcosa di più ampio e, se vogliamo, anche di meno celebrativo. Vorremmo che come a Milano annualmente, il 7 dicembre, si conferisce l'Ambrogino d'oro, a Tesero il 14 giugno di ogni anno si conferisse l'Eliseino di legno non solo (e non sempre) agli amici degli amici, non solo (e non sempre) per un presepe o per la vittoria in una gara, ma anche a chi e per chi la cultura la intende e la declina in altro modo. Fuori dal solito circuito delle persone gradite e/o vicine al principe, che in qualche modo ne celebra i fasti e quindi, di conseguenza, vicine a chi pro tempore ci amministra. 

La cultura spiega la Treccani è (anche) l'insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio. 

Capacità di giudizio, appunto. Ciò che a questo paese, ai suoi abitanti in genere, pare manchi del tutto, perché il pensiero unico uccide il pensiero critico. Dunque, ci piacerebbe che il neo assessore cominciasse ad affrancarsi dalla cultura sinora qui intesa e si avvicinasse a quella testé citata. Perché Tesero ha estremo bisogno, per emanciparsi e uscire dall'oscurantismo imperante, di far propria quella cultura.

L'Orco

28/09/20

S.O.S. PICCOLO COMMERCIO: APPELLO AI SINDACI


Da ex esercente voglio fare una mia considerazione personale su ciò che più mi ha delusa in questo periodo di scelta difficile della mia vita. Quando un'attività economica chiude c'è sempre un perché: può trattarsi di un sopraggiunto insormontabile problema, o, appunto, di una scelta di vita, o di altro ancora. I nostri sono paesi piccoli, dove purtroppo il piccolo commerciante si trova a lottare ogni giorno con la sempre più insostenibile concorrenza dei grossi centri commerciali e delle vendite on line in genere. Perciò faccio appello a tutti i Sindaci della valle: occupatevi e preoccupatevi anche delle piccole attività di paese, fate una telefonata ai loro gestori se non avete tempo di passare direttamente, chiedete loro cosa si potrebbe fare per migliorare qualcosa di sbagliato o di incerto. Ascoltateli, sono loro che meglio di chiunque altro conoscono i problemi commerciali di un paese. Non fate come se non esistessero, perché così facendo, saranno costretti a chiudere e senza il piccolo commercio i paesi diventeranno fantasmi!
 


Volete i fiori belli, volete le panchine belle, volete le strade belle, volete ciò che è normale ci sia nei paesi turistici, ma senza curarvi del commercio, che pure fa parte della vita del paesano e del turista. 
In ragione di queste considerazioni mi permetto di esprimere tutta la mia delusione per la mancanza di interesse da parte della Sindaca per la recente chiusura della mia attività. Una sua telefonata per comprendere i motivi del perché chiudi bottega e te ne vai e magari anche per complimentarsi per l'attività svolta, visto che il mio lavoro, come quello di tutti gli esercenti, ha avuto un'importante funzione sociale nel dar vita al paese, me la sarei aspettata. 

Claudia Gilmozzi

26/09/20

TESERO E I SUOI ABITANTI

Come volevasi dimostrare, dopo la pubblicazione dell'ultimo post "Coraggio, la Stasi non c'è più", il profluvio di commenti anonimi che intasava i nostri server si è miracolosamente interrotto. Di ciò, noi che la storia di questo paese la conosciamo abbastanza bene, sia per averla direttamente vissuta che indirettamente 'studiata' frequentando gli archivi di casa, non ce ne stupiamo. Questo è lo stile di codesta Comunità, forgiatosi nel tempo e introiettato via via dalla stragrande maggioranza dei residenti. 

La storia e lo stile, dicevamo. Non tutto è casuale in quel che accade nella storia di un popolo. Pesa, eccome, anche la componente genetica, che affonda le sue radici nella notte dei tempi. Seguendo questo fiume carsico, quindi, ci perderemmo di certo. Dello stile abbiamo invece contezza. La sua data di formazione risale a tempi meno remoti. Più o meno un'ottantina di anni fa. Ma le conseguenze puntuali di questo costume diffuso iniziarono a manifestarsi una ventina d'anni dopo. A dirla tutta, il libro delle Tiéserade (cioè delle malefatte pubbliche conseguenti a quello stile) registra la prima porcata già nel 1947: si trattava però di una questione tutto sommato di poco conto. Dal 1956 in avanti, a passo di carica, le malefatte amministrative si susseguono con continuità culminando, senza peraltro interrompersi, con la tragedia di Stava. Insomma, è tutto scritto. E, passando dalla storia alla cronaca di questi giorni, possiamo ribadire che, se Barbolini, per divina intercessione, questi nostri archivi li avesse bazzicati e studiati qualche mese fa, avrebbe capito che la sua squadra elettorale, come il Titanic, stava per schiantarsi contro l'iceberg ceschiniano e forse avrebbe potuto correggerla in tempo per evitare la disfatta del 22 settembre scorso. 
Ma riavvolgiamo il nastro...




Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, a Tesero bastava alzare lo scudocrociato per avere ragione di un gregge ubbidiente, senza necessità di cani pastori. Paese agricolo, comunità chiusa, contatti föravia praticamente inesistenti. Si viveva dentro le cinta comunali, senza porsi domande su cosa stesse succedendo non diciamo a Roma, non diciamo a Trento, ma nemmeno a Cavalese o a Predazzo. L'artigianato, in lenta fase espansiva, permetteva ai soli 'capitani d'industria' di avere contatti con le realtà più lontane. 

Le persone parlavano di questioni basilari e concrete, del morbio e del secco, de l' aisüda e de l' altógno, de filò, de maridamenti, de nati e de morti, del tempo, de vacche e de pascoli, de campi e patate, de legna e de bosco. E poco altro. L'unica distrazione settimanale era rappresentata dalla partecipazione coatta (pena l'Inferno) ai riti religiosi della domenica.



Agli studi superiori venivano avviati soltanto i bravi macéi delle famiglie vicine al campanile. Lo stratagemma, ancorché involontario, era semplice. Ai familiari del prescelto, individuato di solito dal parroco, veniva prospettata l'opportunità di andare in Seminario per farsi sacerdote. I genitori, seppur con qualche titubanza iniziale, quasi sempre accettavano la proposta, anche per alleggerire i costi di sopravvivenza (una bocca in meno da sfamare). Al ragazzo, poi, si richiedevano 'soltanto' disciplina, applicazione allo studio, morigeratezza. La cosiddetta vocazione altro non era che uno sforzo di fantasia successivo all'investitura del prevosto. I giovani prescelti, presi tel trabichèl di parroco e famiglia, quasi sempre non opponevano resistenza e i neva 'n zo. Così, dopo il difficile ambientamento dentro la Fabbrica dei preti di Trento, per non recar danno alla famiglia e reprimendo a fatica i naturali istinti, con somma pena terminavano gli anni di studio e si consacravano; non a caso infatti il paese, intorno alla metà degli anni Cinquanta, fu una delle fucine di preti più importanti del Trentino. Non pochi però, giunti sin quasi al termine della formazione teologica, si ritiravano per sopravvenuti 'mal di testa', ovvero, usando un eufemismo, voglia di matrimonio. Furono questi i primi 'stüdiai' laici del paese, senza un titolo preciso, ma con un bagaglio culturale di tutto rispetto, acquisito peraltro gratuitamente. Nel 1960 in paese non c'era praticamente famiglia che non avesse al suo interno uno zio prete o un prete mancato diventato genitore, e conseguentemente i componenti di quei nuclei familiari, chi più chi meno, assorbivano per vicinanza, e non poteva essere altrimenti, quello stile ibrido un po' sfuggente che il termine fedelin rappresenta con efficacia, caratterizzato dalla doppiezza nei rapporti interpersonali che da seminaristi, per autodifesa, il genitore o lo zio avevano dovuto far proprio. 

In quell'epoca dunque la classe dirigente teserana si formò poco alla volta per cooptazione di mancati preti divenuti rispettabili, istruiti capifamiglia e successivamente, per 'diritto dinastico', dalle loro discendenze. Era pertanto del tutto ovvio, data la preponderanza numerica dei fedelini che il paese non contemplasse, né, conseguentemente, accettasse il pluralismo. Quelli al di fuori del gregge privi di quel calco originario e di quelle incombenti presenze familiari erano reprobi senza speranza, inascoltati dalla comunità e non ammessi a entrare dentro le stanze del comando. In quegli anni il riferimento politico era ovviamente la Democrazia Cristiana e il popolo, come un sol uomo, chiamato alle urne, votava compatto D.C. Punto e basta. Rare le eccezioni: qualche socialista, qualche socialdemocratico, un paio di comunisti, l'Anselmo Tisi e il Varisto Longo e alcuni nostalgici del Ventennio. 

Sono passati decenni. Di preti neanche più l'ombra. I seminari sono vuoti. La D.C. scomparsa da trent'anni, per i più è una sigla insignificante. Eppure quel meccanismo di selezione della classe dirigente è ancora intatto, la tara paesana non è affatto sparita. A Tesero i nipoti di quelle famiglie, un tempo in odor di sacrestia, sono ancora qui a comandare, per 'diritto dinastico'. Con quella doppiezza ereditata, alla quale con l'emancipazione hanno aggiunto la spocchia. Il Comune è Cosa Nostra. Con le buone o con le cattive nessuno si azzardi a togliercelo. 

Continuerà così. In saecula saeculorum. Amen. 

Ario Dannati 


25/09/20

CORAGGIO, LA STASI NON C'È PIÙ

Cari lettori, ho l’impressione che l’inconsistente battibeccare a commento degli articoli che appaiono su questo blog, in poco si distingua dalla pochezza della discussione che è emersa in campagna elettorale sui temi importanti dell’amministrare. Anzi, come è accaduto durante quell'occasione, anche voi lettori evitate quasi sempre di entrare nel merito delle questioni di rilievo e vi limitate a sparare brevi commenti, spesso denigratori, ben ben nascosti dietro il cespuglio dell’anonimato.


In cosa vi distinguete dunque da quelli che criticate se, ancora nel 2020, non avete il coraggio di esprimere un’opinione dichiarando la vostra identità? Ma, anonimato a parte, mi piacerebbe che i vostri commenti analizzassero un problema o descrivessero in modo chiaro la vostra posizione su una delle questioni importanti della cosa pubblica. Per esempio, quale tipo di turismo vi augurate per il futuro: quello del bosco digitalizzato, delle piste da skiroll, delle voliere con gli impianti hi-fi, o quello che considera l’integrità dell’ambiente naturale il suo punto qualificante? O ancora, cosa pensate del progetto di ristrutturazione di malga Lagorai, così come è stato proposto dalla Magnifica Comunità di Fiemme? Cosa pensate della legge Gilmozzi sulle seconde case, della vivibilità dei centri storici, della gestione del verde pubblico o del problema, che ormai da anni affligge il nostro paese, delle emissioni nauseabonde e venefiche della ditta Misconel? 

Su almeno una di questi argomenti mi piacerebbe che qualcuno entrasse nel merito, superando finalmente il cianciare gratuito sulle cazzate residuali.

Per dare forza alla discussione e far capire a chi comanda che c'è attenzione.

Lucilla Delladio

22/09/20

LA DISFATTA

Questa volta Barbolini è caduto male. Difficilmente si rialzerà. Ora che i giochi sono fatti, lo possiamo anche dire. Qualcuno l'aveva avvertito in tempo, ma non ha voluto dargli ascolto. Se l'intento era quello di cambiare le priorità e le sorti del paese, per tentare di giocarsela alla pari, c'era bisogno per prima cosa di mettere l'orgoglio nel cassetto e individuare un candidato sindaco alternativo. Perché, se dopo vent'anni di frequentazione del palazzo comunale i meccanismi che sottendono i giochi di potere non sono ancora chiari, meglio lasciar perdere. Da tredici anni in qua, su queste pagine ci pare di averli ben analizzati. Bastava leggere! Strategia, cazzo! A Tesero, i passi falsi senza pagare dazio se li può permettere soltanto chi ha il privilegio della rete di protezione, gli altri no.



E quindi, scrive bene l'ultimo anonimo arrivato:

"Se il terzo candidato si fosse chiamato Anarchia, sarei andato a votare e lo avrei votato. Avrebbe causato meno conati di vomito. Ma tra i due, meglio non nel mio nome. Questo comune è una tribù. Auguri."

L'Orco

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
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