
Trent’anni o giù di lì non sono uno scherzo. Era stato il buon Fabio Caràn (classe 1928) a “inventarsele” le Corte. Lui era un appassionato miniaturista. Spettacolare ed indimenticabile la sua ricostruzione della stazione ferroviaria di Lago. Un giorno, fantasticando, decise di cambiar scala, passando dalla 1:100 alla 1:1, e di allestire in grandezza naturale e con personaggi autentici uno scorcio del tempo che fu, riproducendo un tipico momento di convivialità. Così, tanto per trascorrere in maniera diversa una serata di mezza estate con gli amici. Detto, fatto. Riassettò lo spazio antistante un tabià, lo addobbò con qualche vaso di fiori, raggruppò alcuni “veci” contradaioli, (all’epoca più o meno sessantenni: ’l Pierin Margétta, l’Onorio Bàmbol, ’l Rosario Marècol, ’l Güstele Prèssa) attorno ad una tavola imbandita di polenta, lüganeghe e vino rosso. E, al passaggio della gara serale, denominata impropriamente le Corte de Tieser, mentre gli astanti banchettavano e il Bàmbol con il bicchiere alzato incitava i corridori, in un cantone della scena il Güstele iniziava a dilettarsi con la sua inseparabile fisarmonica. Nacquero in questo modo, semplicemente, nel 1983, le Corte. Senza alcuna pretenziosità. Poi, nel pieno rispetto dello stile teserano, vi fu la rielaborazione ad uso e consumo turistico. La spontaneità originaria fu soppiantata dalla voglia di primazia. A quell’estemporaneo virtuoso ritrovo di via Peròs si aggiunsero altri scorci con altri personaggi viepiù meno autentici. La gara podistica passò in secondo piano a beneficio di quella tra gli allestitori: “Turista, turista cortese dimmi chi è la “Corte” più bella di questo paese?...” L’Organizzazione (oggi costituita in Comitato) prevaricò la semplice improvvisazione e la fama, ben promozionata, di quell’iniziativa oltrepassò i confini del borgo. Insomma quelle corte che in realtà non erano corte, ma semplicemente scorci di paese antico allestiti con dubbia filologia, divennero per antonomasia “Le Corte”.
Trent’anni, dicevamo. Il tempo è il tempo, non lo si ferma. Il buon Fabio Caràn “da agnorus” non c’è più e, come qui scrivevamo qualche anno fa, la riproposizione segna il passo, sa di stantio, di rancido. Ci vorrebbe un colpo di genio, che riabilitasse la messinscena e sconfessasse il malevolo giudizio di chi scrive che non da oggi considera insincero, posticcio e plastificato l’attuale fervore organizzativo. Che fare, dunque? Orbene, visto che allestire una “corte” costa denaro, tempo, finanche fantasia, perché non approfittarne? Perché già alle 7 dell’indomani di quella studiata rappresentazione disfare il bello predisposto la sera innanzi? Perché trasformare ipso facto in legna da ardere betulle e abeti sistemati nelle “corte” la mattina precedente? Vogliamo rivitalizzare il nucleo storico del nostro paese? A chiacchiere sì. Forza allora! Ecco la proposta. Chiudiamo al traffico per 15 giorni il Centro. Dal 1° agosto a Ferragosto al suo interno autorizziamo la mobilità motorizzata ai soli autoveicoli di servizio e di rifornimento a negozi ed esercizi pubblici. Riserviamo lo spazio ai pedoni, locali e forestieri. Uniamoci ai turisti a caccia di sapori veri, di odori di fieno e di latte appena munto, di paesani in grembiule blu col bavaröl e di donne col fazzoletto al brenzo. Facciamo sì che la promiscuità culturale possa davvero agire e permeare di saperi antichi anche i giovani del paese. Che lo speziale Fortunato con il suo cappello di feltro e la sua inseparabile sigaretta possa incontrare i curiosi e confidargli le ricette di liquori d’erbe e i medicamenti naturali de la nona Checa per qualche giorno almeno. Che quel miscuglio “bastardo” di paesani e freschèri possa far bene ad entrambi disintossicandoli per qualche giorno dal logorio della vita moderna come una sana e prolungata sorsata di Cynar. Finalmente senza rumori d’auto, a spasso per il paese, senza l’assillo o la ressa per la consumazione di una fortagia o di un piatto di canederli. Semplicemente a spasso, accompagnati dalla sola colonna sonora prodotta dalle parole della gente di nuovo assennate, guarite dal ritrovato ritmo naturale, dalle campane e dal calpestio delle scarpe sui bolognini. Quindici giorni e quindici notti non sono un’era geologica. Si può fare! Se qualcuno di quei giovani zelanti del Comitato ci crede veramente che si metta d’impegno e cerchi di allungare questo “tuffo” per un po’ più di una misera sera d’agosto.
Ario Dannati
Trent’anni, dicevamo. Il tempo è il tempo, non lo si ferma. Il buon Fabio Caràn “da agnorus” non c’è più e, come qui scrivevamo qualche anno fa, la riproposizione segna il passo, sa di stantio, di rancido. Ci vorrebbe un colpo di genio, che riabilitasse la messinscena e sconfessasse il malevolo giudizio di chi scrive che non da oggi considera insincero, posticcio e plastificato l’attuale fervore organizzativo. Che fare, dunque? Orbene, visto che allestire una “corte” costa denaro, tempo, finanche fantasia, perché non approfittarne? Perché già alle 7 dell’indomani di quella studiata rappresentazione disfare il bello predisposto la sera innanzi? Perché trasformare ipso facto in legna da ardere betulle e abeti sistemati nelle “corte” la mattina precedente? Vogliamo rivitalizzare il nucleo storico del nostro paese? A chiacchiere sì. Forza allora! Ecco la proposta. Chiudiamo al traffico per 15 giorni il Centro. Dal 1° agosto a Ferragosto al suo interno autorizziamo la mobilità motorizzata ai soli autoveicoli di servizio e di rifornimento a negozi ed esercizi pubblici. Riserviamo lo spazio ai pedoni, locali e forestieri. Uniamoci ai turisti a caccia di sapori veri, di odori di fieno e di latte appena munto, di paesani in grembiule blu col bavaröl e di donne col fazzoletto al brenzo. Facciamo sì che la promiscuità culturale possa davvero agire e permeare di saperi antichi anche i giovani del paese. Che lo speziale Fortunato con il suo cappello di feltro e la sua inseparabile sigaretta possa incontrare i curiosi e confidargli le ricette di liquori d’erbe e i medicamenti naturali de la nona Checa per qualche giorno almeno. Che quel miscuglio “bastardo” di paesani e freschèri possa far bene ad entrambi disintossicandoli per qualche giorno dal logorio della vita moderna come una sana e prolungata sorsata di Cynar. Finalmente senza rumori d’auto, a spasso per il paese, senza l’assillo o la ressa per la consumazione di una fortagia o di un piatto di canederli. Semplicemente a spasso, accompagnati dalla sola colonna sonora prodotta dalle parole della gente di nuovo assennate, guarite dal ritrovato ritmo naturale, dalle campane e dal calpestio delle scarpe sui bolognini. Quindici giorni e quindici notti non sono un’era geologica. Si può fare! Se qualcuno di quei giovani zelanti del Comitato ci crede veramente che si metta d’impegno e cerchi di allungare questo “tuffo” per un po’ più di una misera sera d’agosto.
Ario Dannati