
Caro Ario, lascia che te lo dica, sei un illuso. Ma come fai a credere che si possa davvero fondere la cultura dei freschèri con quella di noi villani di monte? Non c’è niente da fondere, è già fusa. Ormai noi siamo come i freschèri, in tutto e per tutto.
Ragiona: che cosa distingue i nostri paesi, le nostre abitudini, il nostro modo di vivere la giornata dalle città, dalle abitudini dei Milanesi, dal loro modo di vivere? Di quale cultura diversa da quella di un qualsiasi abitante di città siamo depositari? Osserva il nostro paese. Osservalo in un qualsiasi momento dell’anno, fatti una tonda. Che cosa vedi? Fai mente locale. Pensa a una città, una a caso. Non vedi qui le stesse cose che “vedi” là? Non ti pare che la gente di qui parli la stessa lingua alienata di quel luogo? Che i miti di quella città siano gli stessi che sono da tempo i nostri miti? Francamente io non riesco a trovare alcuna differenza. Sì, tu sei ottimista! È una tua caratteristica. Pensi che in fondo in fondo un qualcosa di impercettibile, di diverso, comunque ci sia. Che questi luoghi, per meglio dire, gli spiriti di questi luoghi, abbiano lasciato un quid di autenticità anche in quei compaesani che, oltre ogni concessione di fiducia, non si potrebbero certo definire dei nossi.
Ma purtroppo ti sbagli, non è così. Siamo, in tutto e per tutto, uguali. La moneta cattiva scaccia sempre quella buona. La contaminazione turistica degli ultimi quarant’anni ci ha “regalato” soltanto cattivi modelli. L’interscambio c’è stato, ma a nostro svantaggio. L’unica cosa che abbiamo ceduto ai turisti, a carissimo prezzo, è stato il nostro territorio. Cultura, proprio per niente. Noi sì invece abbiamo assorbito la loro cultura fatta di alienazione, di ritmi sbagliati, di artificiosità, trasformando così i nostri paesi in “succursali” della città.
Mi ritornano in mente gli auspici fasulli di Malossini, politico in auge verso la fine degli anni 80 del secolo scorso. Il Nostro sosteneva che i mondiali (fu lui uno dei promotori della prima edizione di quella bella trovata) avrebbero portato opportunità di interscambio culturale a iosa, dalle quali avremmo tutti tratto gran beneficio. Se qualcuno quel gran beneficio riesce a vederlo, batta un colpo.
Certo l’ex golden boy della politica trentina, caduto poi presto in disgrazia, non poteva immaginare che l’onda pestilenziale della globalizzazione avrebbe omogeneizzato velocemente tutto quanto.
Ragiona: che cosa distingue i nostri paesi, le nostre abitudini, il nostro modo di vivere la giornata dalle città, dalle abitudini dei Milanesi, dal loro modo di vivere? Di quale cultura diversa da quella di un qualsiasi abitante di città siamo depositari? Osserva il nostro paese. Osservalo in un qualsiasi momento dell’anno, fatti una tonda. Che cosa vedi? Fai mente locale. Pensa a una città, una a caso. Non vedi qui le stesse cose che “vedi” là? Non ti pare che la gente di qui parli la stessa lingua alienata di quel luogo? Che i miti di quella città siano gli stessi che sono da tempo i nostri miti? Francamente io non riesco a trovare alcuna differenza. Sì, tu sei ottimista! È una tua caratteristica. Pensi che in fondo in fondo un qualcosa di impercettibile, di diverso, comunque ci sia. Che questi luoghi, per meglio dire, gli spiriti di questi luoghi, abbiano lasciato un quid di autenticità anche in quei compaesani che, oltre ogni concessione di fiducia, non si potrebbero certo definire dei nossi.
Ma purtroppo ti sbagli, non è così. Siamo, in tutto e per tutto, uguali. La moneta cattiva scaccia sempre quella buona. La contaminazione turistica degli ultimi quarant’anni ci ha “regalato” soltanto cattivi modelli. L’interscambio c’è stato, ma a nostro svantaggio. L’unica cosa che abbiamo ceduto ai turisti, a carissimo prezzo, è stato il nostro territorio. Cultura, proprio per niente. Noi sì invece abbiamo assorbito la loro cultura fatta di alienazione, di ritmi sbagliati, di artificiosità, trasformando così i nostri paesi in “succursali” della città.
Mi ritornano in mente gli auspici fasulli di Malossini, politico in auge verso la fine degli anni 80 del secolo scorso. Il Nostro sosteneva che i mondiali (fu lui uno dei promotori della prima edizione di quella bella trovata) avrebbero portato opportunità di interscambio culturale a iosa, dalle quali avremmo tutti tratto gran beneficio. Se qualcuno quel gran beneficio riesce a vederlo, batta un colpo.
Certo l’ex golden boy della politica trentina, caduto poi presto in disgrazia, non poteva immaginare che l’onda pestilenziale della globalizzazione avrebbe omogeneizzato velocemente tutto quanto.
La situazione è così compromessa che a questo punto penso non ci sia più niente da fare. E allora meglio toglierci questa veste ipocrita e posticcia di “diversi”. La diversità è reale se la si pratica sempre, ogni giorno, non un giorno all’anno (e nemmeno 15 come tu suggerisci). Nello specifico, soltanto se le tradizioni sono vive e sono dentro la vita di tutti i giorni. Se si ha rispetto dei luoghi e della gente che li abita, se quel rispetto lo si pretende e lo si impone anche a chi quei luoghi vuole frequentare o abitare. Diversamente, se il sentire di chi da sempre qui ha abitato non è profondamente in sintonia col suo passato e altre culture hanno soppiantato quel sentire, non si può avere la pretesa di inculcare ad altri ciò che non fa più parte del proprio DNA.
Mentre tu quella sera te ne stavi a Capriana ad ascoltare il recital di Paolo Morelli e di Costanza Maestranzi, in quel paese che tu ami perché ha ancora il ritmo dei paesi di un tempo, io ero qui, nascosto tra la folla. E li guardavo, li ascoltato, freschèri e valligiani, mentre girovagavano “spaesati” di corte in corte. Non c’era stupore nei loro occhi, non c’era piacere vero per quel rispolvero. Facevano parte di una recita, erano comparse in una delle tante manifestazioni pseudo rievocative che ovunque gli si sbrodolano davanti in questo periodo. Parlavano di euro da spendere, di quale sequenza della gozzoviglia fosse più opportuno adottare, per non vomitare prima della fine del giro. Per loro, freschèri e valligiani insieme, quella tonda rappresentava soltanto un passatempo di qualche ora, così tanto per lenire appena appena la noia.
Mentre tu quella sera te ne stavi a Capriana ad ascoltare il recital di Paolo Morelli e di Costanza Maestranzi, in quel paese che tu ami perché ha ancora il ritmo dei paesi di un tempo, io ero qui, nascosto tra la folla. E li guardavo, li ascoltato, freschèri e valligiani, mentre girovagavano “spaesati” di corte in corte. Non c’era stupore nei loro occhi, non c’era piacere vero per quel rispolvero. Facevano parte di una recita, erano comparse in una delle tante manifestazioni pseudo rievocative che ovunque gli si sbrodolano davanti in questo periodo. Parlavano di euro da spendere, di quale sequenza della gozzoviglia fosse più opportuno adottare, per non vomitare prima della fine del giro. Per loro, freschèri e valligiani insieme, quella tonda rappresentava soltanto un passatempo di qualche ora, così tanto per lenire appena appena la noia.
Ti do un consiglio. Anche se la questione ti sta a cuore, non insistere, lascia perdere. Come si dice, non c'è più sordo di chi non vuol sentire. Stammi bene. Ciao.
L’Orco
L’Orco