Stiamo affondando, in sala macchine lo sanno, ma non lo dicono. La lunga belle époque, pericolosamente vissuta in quest’ultima quarantina d’anni, è al capolinea. A niente serviranno le inique sanzioni governative recentemente approvate dal parlamento italiano. E per quanto taluni si ostinino a non credere, quest’economia ha il destino segnato, esattamente come un dead man walking. Potrà ancora avere qualche improvviso scatto nervoso e magari dare per breve tempo l’illusione di un’uscita dal tunnel, ma senza una forte re-distribuzione delle risorse finanziarie disponibili (cosa assai improbabile), la comunque inevitabile conclusione del processo economico, semplicemente accelererà. Il problema è irrisolvibile in quanto composto da quattro questioni inconciliabili: la prima oggettiva, comune a tutti i sistemi economici del cosiddetto primo mondo, le altre più specifiche della nostra Italietta.
1) Il limite fisico dell’espansione economica, così come l’abbiamo conosciuta, che ci ha garantito per quasi mezzo secolo la piena occupazione, che ha generato il consumismo di massa e provocato – conseguenza niente affatto secondaria – il degrado ambientale del territorio e quello morale dei suoi abitatori.
2) L’abnorme aumento del debito pubblico nazionale, reso possibile dalla sovranità monetaria, il cui nodo è venuto al pettine (ed è recentemente esploso) soltanto con l’adesione alla moneta unica europea.
3) L’insostenibile peso del carico previdenziale nazionale, conseguenza della scellerata gestione del sistema pensionistico, portata avanti dagli anni Settanta in poi del Novecento dalla nostra sempre più inetta e predatoria classe politica.
4) L’impossibilità di restare, semmai oggi lo siamo, stabilmente competitivi a livello globale allorquando le economie emergenti dall’impressionante capacità numerica e quindi anche produttiva (Cina, India, Brasile) saranno “pienamente a regime”. Quattro punti che non si possono affrontare e risolvere disgiuntamente, ma che lo stato delle cose impedisce oggi e impedirà anche domani di affrontare congiuntamente. La coperta è troppo corta, e la piena occupazione sarà d’ora in poi pura illusione. La produzione di beni troverà sempre meno mercato interno per essere assorbita e le dinamiche non potranno che continuare a peggiorare. Esse funzionano infatti solo se tutto gira nel rispetto di una progressione auto-esaltante: maggior produzione, maggior consumo, maggior consumo, maggior produzione, in un’impossibile, ma necessaria infinita coazione. Che fare? Non è facile inventarsi qualcosa che sopperisca a questa ineluttabile prossima generale condizione. Oggi quest’Italia eccelle soprattutto nell’entertainment cioè nell’ ‘arte’ di vendere l’immeritata eredità del Passato. Data la situazione, per non ritornare troppo velocemente alle aborrite origini dovremo per forza giocare questa ultima carta a disposizione, sacrificando ciò che rimane della nostra cultura, del nostro patrimonio artistico e degli ultimi scampoli di territorio intatto. Per fortuna non faremo fatica! Noi Italiani siamo geneticamente avvezzi agli inchini e alla deferenza e ridare fasto diffusamente al più antico mestiere del mondo non sarà un gran problema. Già al tempo di Dante l’italica propensione alla prostituzione era ben nota: Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! Quell'anima gentil fu così presta, sol per lo dolce suon de la sua terra, di fare al cittadin suo quivi festa; e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode di quei ch'un muro e una fossa serra. Bisognerà soltanto decidere quali ruoli sarà più opportuno prendere in commedia e togliere quel poco di dignità che ancora ci resta. Il campionario delle maschere e dei caratteristi è vasto e permette ampia scelta. Faremo i dottori, gli avvocati, i lacchè, gli schiavi, i lustrascarpe, gli albergatori, gli allestitori di vetrine, i recitanti, i saltimbanchi e aspetteremo che chi ancora può venga a divertirsi e a scoreggiarci addosso.
A.D.
1) Il limite fisico dell’espansione economica, così come l’abbiamo conosciuta, che ci ha garantito per quasi mezzo secolo la piena occupazione, che ha generato il consumismo di massa e provocato – conseguenza niente affatto secondaria – il degrado ambientale del territorio e quello morale dei suoi abitatori.
2) L’abnorme aumento del debito pubblico nazionale, reso possibile dalla sovranità monetaria, il cui nodo è venuto al pettine (ed è recentemente esploso) soltanto con l’adesione alla moneta unica europea.
3) L’insostenibile peso del carico previdenziale nazionale, conseguenza della scellerata gestione del sistema pensionistico, portata avanti dagli anni Settanta in poi del Novecento dalla nostra sempre più inetta e predatoria classe politica.
4) L’impossibilità di restare, semmai oggi lo siamo, stabilmente competitivi a livello globale allorquando le economie emergenti dall’impressionante capacità numerica e quindi anche produttiva (Cina, India, Brasile) saranno “pienamente a regime”. Quattro punti che non si possono affrontare e risolvere disgiuntamente, ma che lo stato delle cose impedisce oggi e impedirà anche domani di affrontare congiuntamente. La coperta è troppo corta, e la piena occupazione sarà d’ora in poi pura illusione. La produzione di beni troverà sempre meno mercato interno per essere assorbita e le dinamiche non potranno che continuare a peggiorare. Esse funzionano infatti solo se tutto gira nel rispetto di una progressione auto-esaltante: maggior produzione, maggior consumo, maggior consumo, maggior produzione, in un’impossibile, ma necessaria infinita coazione. Che fare? Non è facile inventarsi qualcosa che sopperisca a questa ineluttabile prossima generale condizione. Oggi quest’Italia eccelle soprattutto nell’entertainment cioè nell’ ‘arte’ di vendere l’immeritata eredità del Passato. Data la situazione, per non ritornare troppo velocemente alle aborrite origini dovremo per forza giocare questa ultima carta a disposizione, sacrificando ciò che rimane della nostra cultura, del nostro patrimonio artistico e degli ultimi scampoli di territorio intatto. Per fortuna non faremo fatica! Noi Italiani siamo geneticamente avvezzi agli inchini e alla deferenza e ridare fasto diffusamente al più antico mestiere del mondo non sarà un gran problema. Già al tempo di Dante l’italica propensione alla prostituzione era ben nota: Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! Quell'anima gentil fu così presta, sol per lo dolce suon de la sua terra, di fare al cittadin suo quivi festa; e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode di quei ch'un muro e una fossa serra. Bisognerà soltanto decidere quali ruoli sarà più opportuno prendere in commedia e togliere quel poco di dignità che ancora ci resta. Il campionario delle maschere e dei caratteristi è vasto e permette ampia scelta. Faremo i dottori, gli avvocati, i lacchè, gli schiavi, i lustrascarpe, gli albergatori, gli allestitori di vetrine, i recitanti, i saltimbanchi e aspetteremo che chi ancora può venga a divertirsi e a scoreggiarci addosso.
A.D.
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