Ed è subito sera. Vero. Quasimodo aveva ragione. In gennaio poi… alle cinque è già notte. Leopardi invece ricordava che la donzelletta vien da la campagna, in sul calar del sole. Vero anche questo. Di solito dai lavori campestri si ritorna a casa proprio a quell’ora. Più prosaicamente, ma altrettanto indubitabilmente, l’Epifania tutte le feste si porta via. E però dove le porta? E perché poi, puntualmente ritornano? Ma perché la vita è una sequenza di infiniti circolari passaggi di tempo. La ciclicità è alla base di tutto.
Ed oggi per l’appunto, nel nuovo Tempio di Lago, sono tornate anche le grandi manifestazioni sportive di fondo. Tutto è stato preparato a puntino. La bella figura, tanto cara alla nossa ŝente, è assicurata. Assisteremo ancora una volta all’apologia dell’atleta e della sua forza corporea. Gli appassionati di questo mito immortale si spelleranno le mani nell’ applaudire il passaggio dei corridori lungo le piste. Si sprecheranno gli op, op, op e i dai, dai, dai. Qualcuno forse addirittura si commuoverà al cospetto di cotanta dimostrazione di forza e di bellezza fisica. Ma per essere giusti, liberandoci per un momento dalla suggestione del mito, quegli atleti non meriterebbero alcun applauso. Perché lungi ormai anni luce dall’ideale decoubertiniano, per essi conta soltanto vincere. Perché nel fantasmagorico mondo dello spettacolo, al quale a pieno titolo appartengono, solo la superiorità e la vittoria (meglio se ripetuta) garantiscono gloria e denaro a profusione. Perché la prospettiva di un veloce arricchimento li porta a sottoporsi a pratiche di allenamento e di potenziamento fisico spesso illecite e moralmente riprovevoli. Perché soprattutto il fondamento oggettivo della loro forza non è affatto ad essi attribuibile. Nel ritrovarsi ‘dotati’ e prestanti non c’è alcun merito personale. È semplicemente frutto del caso, della più o meno favorevole combinazione genetica.
Noi preferiamo idealmente applaudire le tante persone che per ragioni indipendenti dalla loro volontà, per quel caso che a volte l’indovina e a volte no, si sono ritrovate per sventura infelici. Fisicamente o psichicamente menomate. Obbligate a vivere con difficoltà, privazioni, dolore. Senza incitamenti né plausi. Spesso in solitudine e nell’emarginazione sociale. Loro malgrado iscritte ad una gara di resistenza e di sofferenza, dalla lunghezza indefinita, senza preparatori atletici, senza ingaggi, senza allori, senza speranza. Gara estenuante dall’esito scontato, con una sola e definitiva vincitrice. A questi atleti veri, lottatori per forza, i cui meriti e la cui dignità, quando va bene, vengono riconosciuti solo a posteriori con un piccolo e sommesso battimani in quell’ultimo estremo passaggio di tempo, va la nostra ammirazione.
A.D.
Ed oggi per l’appunto, nel nuovo Tempio di Lago, sono tornate anche le grandi manifestazioni sportive di fondo. Tutto è stato preparato a puntino. La bella figura, tanto cara alla nossa ŝente, è assicurata. Assisteremo ancora una volta all’apologia dell’atleta e della sua forza corporea. Gli appassionati di questo mito immortale si spelleranno le mani nell’ applaudire il passaggio dei corridori lungo le piste. Si sprecheranno gli op, op, op e i dai, dai, dai. Qualcuno forse addirittura si commuoverà al cospetto di cotanta dimostrazione di forza e di bellezza fisica. Ma per essere giusti, liberandoci per un momento dalla suggestione del mito, quegli atleti non meriterebbero alcun applauso. Perché lungi ormai anni luce dall’ideale decoubertiniano, per essi conta soltanto vincere. Perché nel fantasmagorico mondo dello spettacolo, al quale a pieno titolo appartengono, solo la superiorità e la vittoria (meglio se ripetuta) garantiscono gloria e denaro a profusione. Perché la prospettiva di un veloce arricchimento li porta a sottoporsi a pratiche di allenamento e di potenziamento fisico spesso illecite e moralmente riprovevoli. Perché soprattutto il fondamento oggettivo della loro forza non è affatto ad essi attribuibile. Nel ritrovarsi ‘dotati’ e prestanti non c’è alcun merito personale. È semplicemente frutto del caso, della più o meno favorevole combinazione genetica.
Noi preferiamo idealmente applaudire le tante persone che per ragioni indipendenti dalla loro volontà, per quel caso che a volte l’indovina e a volte no, si sono ritrovate per sventura infelici. Fisicamente o psichicamente menomate. Obbligate a vivere con difficoltà, privazioni, dolore. Senza incitamenti né plausi. Spesso in solitudine e nell’emarginazione sociale. Loro malgrado iscritte ad una gara di resistenza e di sofferenza, dalla lunghezza indefinita, senza preparatori atletici, senza ingaggi, senza allori, senza speranza. Gara estenuante dall’esito scontato, con una sola e definitiva vincitrice. A questi atleti veri, lottatori per forza, i cui meriti e la cui dignità, quando va bene, vengono riconosciuti solo a posteriori con un piccolo e sommesso battimani in quell’ultimo estremo passaggio di tempo, va la nostra ammirazione.
A.D.
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