02/01/12

MANOVRA 'SALVA ITALIA': L'OPINIONE (DOTTA) DI EVGENY





Caro A.D.,



Il tuo post-lettera al misterioso economista e l’esercizio di economia che hai compiuto mi sono molto piaciuti. Per quel che conta la mia opinione, non erri, e spiego perché.


L’economia sarà pure una scienza-non-scienza, ma quella che Thomas Carlyle rese famosa come the dismal science è anche un utile, utilissimo, esercizio intellettuale. Sembra che nell’Inghilterra Vittoriana, Carlyle (che era scozzese al pari di Adam Smith), avesse coniato il termine riferendosi alle tristi conclusioni del Saggio sul principio della popolazione di Thomas Malthus, pastore anglicano. L’economia è filosofia, anzi è logica. E nel quadro di informazioni note al tempo, Malthus aveva tratto conclusioni coerenti che oggi spesso si sentono ripetere e di cui pure il nostro comune amico Orco ogni tanto si fa promotore. Oggi sappiamo però, che quelle logiche conclusioni sono state “popperianamente” falsificate dai fatti perché eventualmente il Malthus non previde alcuni fattori che avrebbero inciso in misura determinante sulla produttività agricola e industriale nei decenni successivi. Ogni economista “serio”, e per serio intendo empirico, cioè aderente ai fatti, si dovrebbe fermare qui, e non estendere (o far dipendere) le sue analisi, i suoi ragionamenti, da principi morali. E’ quando l’economia si fa politica e si parla di politica economica che inevitabilmente questi principi entrano in gioco ed è qui che torno alla tua missiva.

Qualcuno più bravo e paziente di me ha sviscerato, provvedimento per provvedimento, la Manovra. E’ un’ottima lettura, perfino divertente, aspettando l’ormai mitologica “Fase 2” (qui:

http://www.noisefromamerika.org/articolo/analisi-manovra-monti-parte-1-misure-economiche). La mia opinione, ora che la Finanziaria è legge dello Stato, è identica alla tua impressione di inizio mese. Dirò di più, manca perfino il rigore. In un Paese in cui quasi la metà del Pil (750 Mrd. di spesa pubblica corrente) è intermediata direttamente dal potere politico, il rigore si può solo misurare come risparmi di spesa. Il che, dispiace dirlo, significa licenziare migliaia di dipendenti pubblici inutili, assunti per ragioni clientelari, ridurre gli stipendi a parlamentari, consulenti e burocrati di alto rango, dai dirigenti ministeriali ai generali delle forze armate (a proposito, è normale che il governatore della Banca d’Italia guadagni il triplo del presidente della Fed?), tagliare i circa 30 miliardi di sussidi alle imprese, e via dicendo. Queste sono cose note. Nel Belpaese però non si possono fare, perché tagliare è, secondo i maestri demagoghi, recessivo. Il lettore più attento avrà ormai colto l’assurdità di una tale posizione: l’alternativa ai tagli, infatti, sono le tasse, e vediamo già ora quali effetti esse producano sulla fiducia delle persone, sulla loro voglia di intraprendere, sulla crescita economica e sul dio Mercato come lo chiami tu, il quale non sembra molto contento del lavoro montiano.


I tagli di spesa pubblica (specie se improduttiva) hanno quasi sempre effetti pro-crescita. Per capire perché bisogna leggere l’inchiesta che il New York Times ha fatto nella bella Trinacria (

http://www.nytimes.com/2011/09/15/world/europe/italy-austerity-plan.html?_r=1&scp=1&sq=comitini&st=cse ). Immaginate, per semplicità che il comune di Comitini paghi i propri dipendenti con le tasse che raccoglie fra i suoi abitanti. Supponete quindi di licenziare sette degli otto ausiliari (in un Paese di mille anime un vigile e un ausiliare del traffico sono più che sufficienti). Quello stesso comune, o meglio i suoi 960 cittadini risparmierebbero allora più di 90 mila Euro all’anno (1100 Euro di salario lordo mensile circa per ciascun ausiliare del traffico), quasi 100 Euro pro-capite. Ora il sindaco può decidere di fare due cose: ridurre di pari importo le tasse che raccoglie, o decidere di spendere le stesse in altro modo. Qui si ferma l’economia intesa come contabilità e subentra l’economia politica, ovvero la filosofia morale con i suoi precetti. Se credo che il sindaco sia illuminato ed onesto, posso essere a favore di una redistribuzione della spesa: dagli ausiliari scansafatiche ai giovani paesani che decidono di fare figli, o agli studenti universitari, oppure dare un sussidio di disoccupazione (temporaneo) a chi cerca lavoro, o costruire un asilo nido. Se invece dubito, come dubito, dell’onesta della politica, preferirò una redistribuzione più proporzionale (idealmente preferisco un mix delle due, ma qui stiamo semplificando). Riducendo le imposte, e qui torna l’economia come contabilità, tutti i cittadini potrebbero spendere questo surplus di reddito in consumi oppure risparmiarlo (il risparmio intermediato dalla Cassa di risparmio finanzia gli investimenti). Facciamo un passo ulteriore, necessario ma un po’ tecnico, e immaginiamo che la propensione media al consumo sia 0,5. Allora i sette ausiliari spenderanno il 50% del loro reddito netto: 400 euro per sette, per dodici mesi, fa 33.600 Euro. Se li licenziamo, i 953 taxpayers rimanenti consumando metà del risparmio fiscale spenderebbero in aggregato circa 48.000 Euro (50 per 953). Ora già così 48 è più di 33. Ma è chiaro che questa spesa (in più bistecche, più giornali, più caffè al bar, fate voi) è anche maggior reddito per i cittadini di Comitini i quali oltre a essere consumatori, come noto, sono anche piccoli imprenditori; e maggiori saranno le entrate fiscali per il sindaco.


E i 7 nuovi disoccupati direte voi? Certo soffriranno il trauma della perdita del posto; passare dai bar del paesello a doversi cercare un lavoro dove si lavora è duro per tutti. Ma potrebbero essere fortunati, se il sindaco non li terrà in CIGS per l’eternità, può darsi che il macellaio del Paese abbia bisogno di un commesso in più, il bar di un nuovo cameriere, o che la Cassa di risparmio del Paese sia disposta a finanziare una nuova intrapresa agricola che abbisogna di qualche bracciante che non sia polacco.


L’esempio mi serve per dire che solo con tagli della spesa ridistribuiti in minori imposte si può ridare fiato alla ripresa. E questo vale tanto di più quanto maggiore è la pressione fiscale nel Paese. La tua proposta A.D. è certamente migliore di quella del governo Monti e migliore di quella (inesistente) dei Tre-monti precedenti. Essa è coerente con l’esercizio contabile di cui sopra, ma richiede, al contrario della mia, un giudizio morale che non so dare. Tu infatti chiedi una patrimoniale progressiva dai 500mila Euro in su. Deduco che per te chi detiene un patrimonio di 500mila Euro è da considerarsi “ricco”. Non so dire. So però che vi sono grandi difficoltà pratiche in questa valutazione. Parli di patrimonio al netto dei debiti? Come lo misuriamo? Seguiamo la massima latina (res tantum valet quantum vendi potest), quindi a valore di mercato? E se nessuno compra più case, quanto vale il mio appartamento? Cosa succede se uno non riesce a pagare, si indebita? Includiamo la ricchezza mobiliare, immobiliare o entrambe? Applichiamo la patrimoniale anche alle imprese? Queste appaiono tutte questioni di lana caprina, ma non è così. E’ noto infatti che i grandi patrimoni immobiliari sono custoditi dalle società finanziarie (banche e assicurazioni) e da imprese costituite ad hoc perché normalmente esenti da imposte patrimoniali. E’ ancora più noto che i grandi capitali finanziari hanno le ali, e in genere fanno il nido in Svizzera o alle Cayman. Insomma, i Sapientoni bocconiani sanno benissimo cosa si dovrebbe fare, ma sanno ancora meglio cosa si può fare, e le due cose purtroppo raramente coincidono.


Alex Bernard

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