Meraviglia, è arrivata la neve! Una volta, tanti anni fa, quando gli abitatori della nostra valle erano ancora montanari e non ricchi lacchè, la neve svolgeva funzioni importanti ed era da tutti rispettata. Serviva, addirittura – pensate un po’ – a ricaricare le falde acquifere. Ma non solo. La sua coltre ricopriva le campagne, allora intensamente coltivate, proteggeva il terreno dal gelo e lo faceva riposare. A primavera il suo graduale scioglimento permetteva alla terra di assorbire lentamente l’acqua e con essa, negli incolti e nei boschi, il sostrato vegetale ceduto dalle piante e sparso al suolo durante l’autunno precedente. Per alcune fondamentali attività economiche aveva anche una funzione coadiuvante. Favoriva, con le slitte trainate a cavallo, il trasporto del letame dalle stalle ai campi e alleggeriva il lavoro di strafenamento delle bóre dalle alture boschive al fondovalle. Era la risposta stagionale alle imprescindibili necessità ludiche della popolazione più giovane. I bambini vi giocavano, felici e spensierati. A Tesero le strade restavano bianche ed essi potevano scivolare gratis con le slitte e le pitòte, lungo le erte, senza recare il minimo intralcio a chicchessia. I più grandi invece battevano con gli sci le piste naturali, costituite dai prati sovrastanti l’abitato (La Pala a est e Le Tombole a ovest), per trascorrervi, altrettanto gratuitamente, interminabili pomeriggi di sana e disinteressata competizione. Il piöo comunale, di legno e a trazione animale prima, di ferro trattato con antiruggine grigia e trainato da autocarri privati (Giorgio Bortolas, Toni Fassan) poi, faceva il giro del paese soltanto se e quando l’innevamento raggiungeva un’altezza considerevole. A quel tempo c’era la consapevolezza che quel servizio rappresentava un costo per il Comune e l’amministrazione moderava la spesa con oculatezza. Vederlo passare era raro e per ciò emozionante. Gli uomini seduti sulla panca di quello strano attrezzo a V (Natale Girolamo, Rosario Marècol, Giovanni Lazerin, Narciso Giacoléta, Giovanni Tiburzio e forse qualcun altro) avvolti in un nero mantello cerato, ne allargavano e ne stringevano l’apertura manualmente, a seconda dell’ampiezza della carreggiata: “ ’N pressa, Natale strenŝe, strenŝe, che ne ’ncapón te ’l paracàr de quela casa… Ooo, Ooo ,Orrait! Bòn, bòn, slarga püra adesso…”
Tutto in quella comunità era sinergico e conciliante: neve, natura, lavoro, gioco. Nessuno si permetteva di telefonare al sindaco per pretendere l’immediato intervento di un mezzo qui e di un altro là, perché il montanaro capiva la situazione, aveva buonsenso, e non era ancora un ricco lacchè. C’era pazienza, e l’inverno era la stagione ad essa dedicata.
Oggi le cose cono cambiate. Cessate, nelle menti impauperite degli ex montanari, le funzioni anzidette, la neve è un disturbo. Crea disagio. Impedisce la libera circolazione delle auto. Intralcia per qualche breve momento le febbrili e schizofreniche attività quotidiane: la mamma-terribile che deve trasportare in tutta fretta il pargolo all’asilo, o l’aitante baby-pensionato che a mezzogiorno in punto deve recarsi in piazza in auto per l’aperitivo… In paese la neve è detestata e combattuta con ogni mezzo, come fosse la peste. Non a caso gli unici a far gran conto del suo arrivo, da novembre a febbraio, sono gli uomini del Comune, dato che la loro preponderante attività invernale a questo è finalizzata. Le strade bianche sono un ricordo lontano. Non ci sono più bambini che slizolano lungo le erte paesane. La neve naturale non è più necessaria nemmeno per sciare sulle piste di sci, visto che la si programma e la si produce con macchine e additivi. Per i cervelli all’ammasso di cui sopra essa residua ancora un’ultima lieve valenza, quella di dare al fotografo l’opportunità di immortalarne l’immagine da usare poi per la pubblicità (pardon, promozione) di questi luoghi, non più abitati da saggi montanari, ma soltanto da danarosi lacchè.
Ario Dannati
Tutto in quella comunità era sinergico e conciliante: neve, natura, lavoro, gioco. Nessuno si permetteva di telefonare al sindaco per pretendere l’immediato intervento di un mezzo qui e di un altro là, perché il montanaro capiva la situazione, aveva buonsenso, e non era ancora un ricco lacchè. C’era pazienza, e l’inverno era la stagione ad essa dedicata.
Oggi le cose cono cambiate. Cessate, nelle menti impauperite degli ex montanari, le funzioni anzidette, la neve è un disturbo. Crea disagio. Impedisce la libera circolazione delle auto. Intralcia per qualche breve momento le febbrili e schizofreniche attività quotidiane: la mamma-terribile che deve trasportare in tutta fretta il pargolo all’asilo, o l’aitante baby-pensionato che a mezzogiorno in punto deve recarsi in piazza in auto per l’aperitivo… In paese la neve è detestata e combattuta con ogni mezzo, come fosse la peste. Non a caso gli unici a far gran conto del suo arrivo, da novembre a febbraio, sono gli uomini del Comune, dato che la loro preponderante attività invernale a questo è finalizzata. Le strade bianche sono un ricordo lontano. Non ci sono più bambini che slizolano lungo le erte paesane. La neve naturale non è più necessaria nemmeno per sciare sulle piste di sci, visto che la si programma e la si produce con macchine e additivi. Per i cervelli all’ammasso di cui sopra essa residua ancora un’ultima lieve valenza, quella di dare al fotografo l’opportunità di immortalarne l’immagine da usare poi per la pubblicità (pardon, promozione) di questi luoghi, non più abitati da saggi montanari, ma soltanto da danarosi lacchè.
Ario Dannati
Nessun commento:
Posta un commento