04/12/07

DELL'IMBECILLITA'


(...) L’intuizione poetica, che tanto spesso anticipa la conoscenza scientifica, ci suggerisce quindi di individuare l’ignavia come il difetto più grave, la caduta più profonda, l’allontanamento più totale da un ideale umano. E mediante il contrasto tra le figure singole, sbalzate a tutto tondo, degli altri peccatori, e lo stuolo innumerevole degli ignavi, non individui ma replicanti confusi in una massa, ci suggerisce un primo carattere dell’Imbecillità: il suo essere un fallimento rispetto al fine della nostra specie, quello di produrre individui capaci di porsi come soggetti attivi di fronte al mondo, pronti a rifarlo almeno un po’, se non a propria immagine e somiglianza, a modo loro. Perciò, ogni essere umano pienamente realizzato, come un’opera d’arte, è un unicum, nel bene come nel male, mentre gl’imbecilli, come gli ignavi, sono uniformi, universalmente ed eternamente uguali sotto la scorza delle innumerevoli maschere di cui rivestono la loro inanità. E per la stessa ragione, mentre i primi sono il prodotto di un lungo e faticoso lavoro artigianale, i secondi si possono purtroppo produrre e replicare facilmente e rapidamente su vasta scala, in quantità e modi industriali. (…)
In primo luogo, va precisato che l’Imbecillità non ha alcuna correlazione con il livello di istruzione o di scolarizzazione o erudizione. Un imbecille può essere (anzi spesso è) almeno mediamente se non altamente scolarizzato, e magari laureato. Perché ciò non accadesse occorrerebbe che la scuola, e soprattutto l'istruzione secondaria e l’università, sviluppassero e misurassero realmente capacità umane rilevanti per la produzione e riproduzione di cultura: cosa che raramente accade. In secondo luogo, l’Imbecillità ha una delle sue radici nella stessa forma di vita della nostra specie, che è quella dell’aggregato, del gruppo, della tribù, della società. Sistemi tutti che, mentre garantiscono la sopravvivenza dei singoli, sviluppano una non minore tendenza a garantire la propria, e a richiedere ai propri membri un grado di adattamento passivo non inferiore all’acquisizione di capacità creativa e critica. Infine, la tendenza di ogni sistema sociale all’auto-conservazione spinge verso il mantenimento di equilibri che si producono spesso in tempi brevi o brevissimi, e quindi sono espressione di rapporti di potere e interessi storicamente determinati e perfino contingenti di qualche gruppo, anziché di istanze emerse nei tempi lunghi in cui si sono affinate le capacità tipiche degli esseri umani in generale. Se perfino in vista di un radicale mutamento rivoluzionario c’è bisogno anche e soprattutto di quelli che un politico ferocemente pragmatico come Lenin chiamava “utili idioti”, a maggior ragione individui perfettamente socializzati, che sono poi i nostri imbecilli, come vedremo, sono necessari al normale funzionamento di una società, per il semplice fatto che essi non possono diventare né pazzi, né disadattati, né innovatori.
L’utilità dell’imbecille in contesti sia di stabilità sia di mutamento, dipende dal fatto che egli si muove solo sulla base di istanze immediatamente emergenti dal suo interno o di spinte provenienti dal mondo circostante; è quindi capace di perseguire i suoi scopi momentanei e contingenti entro i confini del mondo dato, o di condividere senza rielaborazione critica quelli proposti di volta in volta dagli altri, assumendoli come verità indiscutibili e assolute. Di conseguenza, è facilmente controllabile e manipolabile con azioni dall’esterno sia in difesa dello status quo sia a sostegno dell’ultima novità del momento. L’unica alternativa per lui è tra il suo privato momentaneo e urgente e il pubblico della massa che segue acriticamente un capo “carismatico” o semplicemente il “così fan tutti”. (…)


di Piero Paolicchi tratto da "IL FATTORE I"

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