Cosa
si nasconda dietro al Nuovo
Ospedale
di Trento
i comuni mortali della periferia provinciale non lo sanno e non lo
possono sapere. È cosa per gli addetti ai lavori, o, tuttalpiù, per
i cittadini del capoluogo. Si sa solo che anche in questo caso, un
po' di anni fa, improvvisamente, il Santa
Chiara
risultò inadeguato e non più ristrutturabile e iniziò a circolare
il tormentone della necessità
di buttare all’aria la “vecchia” struttura per edificarne una
nuova di maggiori dimensioni e, perché no, addirittura di interesse
extra regionale. Potremmo chiederci: perché
si scartò l’opzione ristrutturazione,
ove fosse davvero servita? Perché (con leggerezza) si decise di
sacrificare una nuova vasta area verde a sud della città
(Mattarello) per trasformarla nell’ennesima colata di cemento? Era
davvero necessaria quella necessità?
Potremmo
stuzzicare la nostra curiosità soltanto azzardando un’ipotesi.
Probabilmente un nuovo super ospedale non era necessario. Il
'vecchio' Santa
Chiara
si poteva riammodernare ancora ed impiegare parte del fiume di denaro
pubblico investito nella nuova struttura per ottimizzare la già
buona qualità del sistema sanitario provinciale periferico. Ma dare
il via all'Operazione
N.O.T.
avrebbe però solleticato interessi economici rilevantissimi (un
fiume di denaro, appunto, che dai forzieri dell'ente pubblico
esonderà prossimamente nei conti correnti di consulenti, urbanisti,
architetti, geologi, ingegneri, costruttori, notai, avvocati, etc.)
e inoltre – almeno nell’immaginario collettivo – avrebbe
accostato la P.A.T all’eccellenza
sanitaria
nazionale,
permettendole di appuntarsi al petto l’ennesima medaglia al
valor amministrativo.
Di più: l'impressione che da osservatori esterni se ne ricava
leggendo qua e là è che il N.O.T. sia in realtà anche il pretesto per un
ripensamento urbanistico complessivo della località Gocciadoro e non
già il fondamento della ristrutturazione sanitaria trentina.
Intanto
però, mentre nel capoluogo la Giunta provinciale è al lavoro per
accelerare la marcia del complesso iter tecnico-burocratico
precedente l'avvio dei lavori del nuovo super ospedale, in periferia
soffia uno strano vento di decadenza. L’antica vera eccellenza
della sanità trentina, quella dei nosocomi periferici comprensoriali
"a misura di paziente", che dal dopoguerra in poi garantì
ai bisognosi e ai loro familiari un più che decoroso servizio
ospedaliero, senza l'obbligo di lontane e disagevoli trasferte, sta
smobilitando.
In
val di Fiemme, stando alle solite voci alimentate dal tormentone, si
dice che l'ospedale dei Dòssi, malgrado i recenti e recentissimi
interventi di straordinaria manutenzione, non sarebbe più
all’altezza delle attuali esigenze... Che manchino medici
anestesisti... Che le nascite non raggiungano il numero sufficiente
per mantenere attivo il reparto di ostetricia... Che il
pendolarismo del personale medico costi un'esagerazione...
Insomma,
sul sistema ospedaliero periferico la revisione della spesa che il
tempo, il governo e questa economia in recessione pretendono, incombe
come la morte sul letto del moribondo.
Costi,
costi e ancora costi che, conti alla mano, i numeri dei potenziali
locali fruitori dei servizi sanitari non permettono di sostenere. La
spending
review
è però un concetto ineffabile, oseremmo dire a geometria variabile.
A Cavalese, a Tione o a Mezzolombardo risparmiare e dunque
dequalificare è tassativo, a Mattarello no!
Così,
mentre si prepara la grande mangiata del nuovo super-ospedale e
l’altrettanto appetitosa trasformazione dell'area Santa
Chiara,
in periferia si risparmia sull'essenziale sospendendo, per esempio,
il servizio di pronto soccorso notturno. Perché? Ma perché costa,
naturalmente. Ergo, penseremmo, per esempio, che nel caso qualcuno
fosse còlto da un improvviso attacco di diarrea infettiva provocata
dal casuale inquinamento dell'acquedotto di Varena il recupero del
malcapitato dovrebbe essere fatto con un carro a trazione animale dal
costo irrisorio: una sforcata di biava al cavallo e un bicchiere di
rosso al caradór.
Macché, niente affatto! Né carro, né caradór.
La biava costa troppo e quanto al rosso non parliamone nemmeno. La
spending
review in
Trentino
è
cosa seria:
il bisognoso di ricovero, còlto dal suddetto attacco un po' dopo
Carosello,
verrebbe recuperato e trasportato in ospedale nientemeno che in
aeromobile! Da qualche tempo infatti l’elicottero – mezzo di
soccorso estremo per antonomasia – è stato trasformato in un'ordinaria
ambulanza volante, che s’alza in volo e scorrazza in cielo nelle
notti trentine ad ogni peto d’infante. A queste latitudini così
viene tradotto il verbo risparmiare!
L'Orco
Eh sì e non dimentichiamo che il precedente appalto dell'ospedale di Trento è stato annullato per irregolarità nella procedura e sono stati spesi ulteriori fondi pubblici..........
RispondiEliminaMusica per le mie orecchie...
RispondiEliminaOrmai la gente è stufa , eppure vota sempre le stesse persone chissà come mai????
RispondiEliminaIl mondo è bello perché è vario, ed alla stupidità non c'è mai fine.... Chissà...
RispondiEliminaSî ,è vero .
RispondiEliminaMi fa piacere che il blog apra una discussione sulla sanità trentina. Mi scuso se sarò lungo, ma un argomento così importante merita un’analisi approfondita. A parer mio, tutto nasce negli ormai “lontani” anni 2006/07 quando la P.A.T decise di investire una vagonata di milioni di euro per riammodernare la flotta degli elicotteri con la conseguente necessità di adeguare tutte le piazzole per l’atterraggio, anche quello notturno, presenti sia nei presidi ospedalieri che nelle zone più limitrofi, vedi Canazei. Non solo, visto che gli hangar e la struttura che accoglieva tutto lo staff del nucleo elicotteri di Mattarello risultavano ormai non più conforme ai nuovi standard previsti per l’utilizzo dei mega velivoli, vengono costruite delle nuove strutture con dei costi che sarebbe interessante poter sapere nel dettaglio ma che purtroppo non sono in grado di quantificare ma, a spanne, sicuramente una seconda vagonata di milioni di euro. In quel periodo però nessuno ha mai accennato al fatto che tutto l’investimento aveva come finalità quella di accentrare su Trento tutte le emergenze sanitarie a scapito dell’utilizzo delle strutture ospedaliere periferiche. Anche la scelta dei velivoli fu molto mal digerita dai tecnici del soccorso in montagna, per le dimensioni degli stessi e per la difficoltà di manovra in zone impervie. Punto a favore dei nuovi mezzi, la velocità negli spostamenti da e verso la città. Mi sembra chiaro che in questo frangente ( forse uno dei pochi) la politica ha avuto lungimiranza, in negativo però. Non si è mai espressa pubblicamente relazionando su queste scelte, anzi ha sempre cercato di bypassare l’ostacolo. Ora che questo passo è stato fatto, emergono tutte le problematiche che fanno incazzare la popolazione. Forse la manovra avrebbe avuto un senso se il S.Chiara fosse già stata una struttura moderna, efficiente e pronta ad accogliere tutti i pazienti qui dirottati dalle periferie. Adesso si parla di N.O.T. con tempi biblici e con un profumo-puzza di speculazione nell'aria. Non sarebbe stato più utile utilizzare si tante risorse per ottimizzare i servizi sul territorio? Ed i nostri rappresentanti cosa fanno? Ovviamente danno ragione alla massa! Ma negli anni delle decisioni sulle macchine volanti dov’erano? Molti di loro erano in consiglio o addirittura in giunta!! Rossi era addirittura assessore alla sanità! ( segue nel post successivo )
RispondiEliminaUn secondo punto che mi sembra importante è l’analisi del perché si è arrivati alla scelta di trasformare l’ospedale di Fiemme in un nosocomio ad ore o par time se si preferisce. Infatti una struttura ospedaliera senza alcune figure basilari ( anestesisti ) non si può definire tale. Per assurdo nelle ore di assenza di questo personale bisognerebbe togliere la scritta Ospedale. La ormai famosa norma europea del lontano 2003 e sottolineo 2003 che stabilisce i riposi dei camici bianchi, anestesisti, ecc… entrata in vigore in Italia ed anche in Trentino il 24/11/2015 ha, di fatto, portato al collasso il sistema. Ma è una norma del 2003!!! Non c’era forse tutto il tempo per organizzarsi? Analizzando il problema del reparto maternità, già nel 2002 su richiesta dell’assessorato e dell’azienda sanitaria, il dipartimento materno-infantile ha elaborato un documento sulla riorganizzazione dei punti nascita dell’ azienda sanitaria della P.A.T. L’elaborato condiviso dai direttori delle Unità operative, sulla base di rigorose premesse scientifiche, con adeguate misure compensative ed organizzative, proponeva la chiusura motivata da ragioni di sicurezza di alcuni punti nascita. Questo documento è stato dimenticato e 13 anni dopo si è arrivati praticamente a conclusioni analoghe. In assenza di un percorso serio, analitico e, perché no, anche contraddittorio dell’analisi di cui sopra. Conclusioni frettolose ed applicate dal giorno alla notte! Dimostrazione del fatto che la politica provinciale è più preoccupata al consenso che al risolvere le problematiche che si trova di fronte utilizzando il metodo del rimando! Penso che qualsiasi persona ragionevole poteva, dopo tutti questi fatti, prevedere una conclusione simile. Purtroppo il vizio di rimandare rimane ma rimane anche il vizio di far fare ad altri le scelte che, secondo alcuni, creano un danno d’immagine. Infatti siamo in attesa della decisione del Ministro Lorenzin sul destino dei reparti di neonatologia periferici. Alla faccia dell’autonomia, tanto rivendicata e sbrodolata dai nostri rappresentanti. “ Su questo anche gli amministratori territoriali ( scriveva Pierangelo Giovanetti su l’Adige il 29/11/2015) dovrebbero dare dimostrazione di sguardo lontano, non di semplice piccolo cabotaggio, contrattando pure con la Provincia l’eventuale contropartita da ricevere in cambio della chiusura dei punti nascita. Aizzare o capitanare le folle, esasperando la rabbia che è già forte, non ha grande prospettiva. Forse gli amministratori avrebbero il compito di spiegare e far capire alla gente la situazione, anche economica , in cui ci troviamo, e il quadro generale che motiva le singole scelte. Ma anche per i sindaci e presidenti di comunità di valle, come per gli amministratori provinciali, ci vuole il coraggio e il saper guardar lontano, caratteristiche sempre più rare di questi tempi”
RispondiEliminaCi sarebbe da aprire un dibattito anche sulla situazione della “mega” protonterapia di Trento dove si stanno dannando per cercare pazienti in giro per il mondo, ma questo è un altro capitolo, anzi è un fiore all’occhiello della sanità e della politica trentina che fa molta “fatica” a sbocciare. ( C.D.)