Quanto
conta quello che ascoltiamo fuori, prima di entrare in sala da
concerto? Quanto le nostre orecchie e il nostro cuore sono
influenzati dai suoni e dai rumori che incontriamo prima di penetrare
in un luogo musicale? Secondo me tantissimo. Al punto che una volta
l'evento concertistico aveva la funzione di occupare un silenzio
della nostra vita, rendendolo eccitante, mentre ora lo stare chiusi
in un auditorium o in un teatro d'opera sta diventando un modo per
essere a contatto con meno stimoli sonori rispetto a quelli che ci
circondano normalmente. Un concerto, ormai, prima di dare
qualche cosa serve innanzitutto a togliere: niente suonerie,
niente traffico. Soprattutto: niente musica di sottofondo.
Perché
è nel sottofondo che il mondo che non ascolta musica dal vivo si è
preso la propria rivalsa: la musica non abita più in luoghi deputati
ad ascoltarla, la musica abita ovunque. Certo, è sostanzialmente
sempre altra musica, non musica classica. Ma è comunque
musica, che invade le nostre orecchie e occupa (un po') il nostro
cervello, anche perché raramente si sceglie di diffondere quella
nata per essere ascoltata in sottofondo (esiste, e ha caratteristiche
ben precise): di norma si presuppone che qualunque oggetto sonoro
possa andare bene per «rallegrare l'ambiente».
Fino
a poco tempo fa c'erano luoghi pubblici nei quali era usuale
incontrare musica di sottofondo: al supermercato o in certe stazioni
della metropolitana nessuno si stupiva dell'opportunità che aveva di
ascoltare un po' di musica. Anche perché quello era sottofondo
costruito ad arte - tecnicamente si chiama muzak. Ora, da
qualche tempo, musica varia erroneamente usata per una funzione di
sottofondo è penetrata in luoghi prima protetti, luoghi nei quali ci
piaceva ascoltare il suono della nostra voce, il rumore degli oggetti
che ci circondavano, o semplicemente il silenzio che a tratti ci
costringeva a pensare, a guardarci negli occhi, a inventare qualcosa.
Sono luoghi ormai violati ed è inutile citarli - l'elenco sarebbe
lunghissimo. Mi preme però segnalare con rammarico la fine del
silenzio in un luogo speciale: il ristorante.
Mangiare
senza musica di sottofondo sta diventando un privilegio. Le proteste
di solito servono a poco. Anche perché noi che frequentiamo i luoghi
destinati alla musica, noi che ci sediamo su una poltroncina e per
qualche ora stiamo fermi ad ascoltare, abbiamo fiducia nella musica.
Prestiamo attenzione, ci emozioniamo, esprimiamo giudizi perché
della musica ci fidiamo e vogliamo fidarci. Ogni suo istante è
prezioso, ci piace seguirne le evoluzioni, non siano capaci di
rimanere impassibili in sua presenza, mentre chi si circonda di
musica perenne, chi non bada più a ciò che gli passa davanti alle
orecchie, nella musica non ha invece nessuna fiducia. Non pensa che
sia una ricchezza, che vada dosata, che sappia offrire istanti unici
e speciali. La usa, la sfrutta, se ne circonda; ma non vi si affida
con l'abbandono e l'entusiasmo che noi conosciamo. Per cui la
discussione è immediatamente sterile, le posizioni sono troppo
lontane. Così mi è venuta in mente questa idea: chiediamo ai cinici
ristoratori con sottofondo obbligatorio di venderci un po' di
silenzio. Come usando un juke-box al rovescio. Stabiliscano una
tariffa, una percentuale del conto finale: io sarei il primo a pagare
qualche euro in più per mangiare tranquillo e poi entrare in sala da
concerto a sentire musica, quando ne ho voglia. E so che qualche
amico fedele mi seguirebbe.
Non
solo: forse si dovrebbe andare oltre, utilizzando un po' di
preveggenza.
Conoscete
di certo anche voi la saggia definizione di Jon Elster: «La
Costituzione è quella cosa che ci si dà quando si è sobri per
poterla utilizzare nel momento in cui si è ubriachi». Ho
l'impressione che la si debba aver presente anche nel ragionare sul
fenomeno della musica di sottofondo e mi domando se chi ha un potere
legislativo, anche a livello locale, non debba rapidamente concepire
una legge che preservi dalla musica obbligatoria alcuni luoghi. Gli
ospedali, ad esempio. O le scuole, i tribunali, i cimiteri, i
sentieri di montagna, le rive del mare, tanto per cominciare. Badate:
ora ci sembrerebbe follia trovare musica di sottofondo in un'aula
scolastica, ma anche per i ristoranti, solo qualche anno fa,
l'ipotesi sembrava remota.
Ovviamente
- serve dirlo? - sarebbe un gesto d'amore per il mondo dei suoni, non
certo una censura. Perché la musica vive se si alterna al silenzio,
così come il pranzo è gustoso se preceduto dall'appetito e
l'autunno ha la sua poesia perché porta via il caldo dell'estate.
Consiglieri, assessori, parlamentari: vogliamo occuparci delle nostre
orecchie ora, prima che sia irrimediabilmente troppo tardi?
Anche
perché uno dei nefasti effetti della diffusione di musica ovunque è
che ormai consideriamo cantanti e pianoforti (registrati) come parte
dell'ambiente e non ci accorgiamo più di loro. Se non siamo
musicisti o melomani attenti o soggetti particolarmente sensibili (il
che, nello specifico, diventa una fortuna), non sappiamo più
distinguere tra il silenzio, il rumore del traffico, il
chiacchiericcio o la musica che esce da altoparlanti attivati a
tradimento. Per risvegliare la nostra attenzione, per farci capire
che le nostre orecchie stanno ascoltando musica, la dobbiamo veder
suonare: di solito lì scatta l'attenzione, la curiosità, persino il
rispetto per chi sta usando il linguaggio sonoro. Paradossalmente mi
viene da dire che ormai se non vedo non ascolto, con buona pace dei
produttori di dischi.
Quello
che mi sembra interessante è che ciò accade non perché viviamo
nella civiltà dell'immagine ma perché siamo immersi nella civiltà
della sonorizzazione. Attività fino a pochi anni fa destinate a
svolgersi nel silenzio, come fare il bagno al mare, mangiare in un
ristorante, viaggiare su un traghetto, ora si devono affrontare nella
palude della musica obbligata; persino i modelli di ebook più
recenti si possono acquistare in una versione con colonna sonora,
così che anche l'attività silenziosa per eccellenza, la lettura, é
stata stanata e raggiunta dalla musica coatta. E allora, intontiti da
stimoli sonori inesauribili, per ascoltare ora abbiamo bisogno
(anche) degli occhi.
tratto
da Occhio alle orecchie
Condivido pienamente quanto detto e scritto da Nicola Campogrande ( oltre ad essere scrittore e musicologo anche ottimo conduttore radiofonico). Segnalo il libro di Mario Brunello edito da il Mulino con titolo " SILENZIO".
RispondiEliminaSchubert considerava il silenzio come l'ottava nota.
Il grande Claudio Abbado nelle sue direzioni "mature" terminava i suoi concerti con dei lunghi silenzi; momento di pausa ma soprattutto di riflessione sia per gli esecutori che per il pubblico. Purtroppo, nella frenesia della vita moderna, sono sempre più rari i momenti privi di rumore. E, se questo è assente, l'uomo è maestro nel riempirlo con ogni tipo di marchingegno, più o meno tecnologico. Sarebbe bene riscoprire il valore del silenzio e riempirlo con della musica, della vera musica. In fondo il Musicista riesce a farlo senza disturbarlo, anzi, regalando emozioni per lo spirito, per la mente e, perché no, anche per il corpo. ( C.D.)