La
mattinata dell’undici maggio 2015 fu incredibilmente uggiosa. Il
cielo di un grigio torbido, non consono alla stagione, avvolse e
oscurò il paese per lunghe ore. Piovve a tratti così intensamente
che avresti pensato a novembre. Verso mezzogiorno, a scrutinio
terminato, un pallido e intirizzito sole fece capolino tra le nubi
illuminando di sghimbescio il campanile della parrocchiale. La
perpetua Giuliana quel giorno era assente e il reverendo per il
pranzo avrebbe dovuto arrangiarsi. Alle dodici meno cinque il
campanello della canonica suonò. Un'improvvisa tachicardìa con
brividi allegati e sudorini fece imbiancare la faccia normalmente
rosa scuro del parroco: "Dio santo, no sarà miga ancora la...
(omissis)." Qualche istante dopo si udì il rombo di un'auto che
stava allontanandosi. Don Daprà trepidando si accostò alla finestra
di cucina e sbirciò fugace attraverso i vetri la piazzetta
sottostante. Non c'era nessuno. Tutto tranquillo... Alzò gli occhi
al crocefisso appeso alla parete, tirò un sospiro di sollievo ed
iniziò a cucinare.
La
notizia, certificata dalla Commissione elettorale presieduta
dall'ingegner F.V., già nell'aria da tempo, uscì dal palazzo
comunale verso mezzogiorno e quaranta, facendo rapidamente il giro
delle osterie. L’ha
vinto la Laghèra, la vinto la Laghèra…
E dalle osterie, di bocca in bocca, in breve fu cosa di pubblico
dominio. In quel supremo istante Tesero capì che per la prima volta
nella sua storia millenaria, sarebbe stato governato, almeno per i
successivi 1826 giorni, da una donna, una Laghèra appunto. In verità
la prescelta, laghèra lo era solo per un quarto, per un altro quarto
era in effetti tiesera e per una buona metà, derivata dal padre,
foresta. Il punto rischioso, peraltro ponderato attentamente al
momento della sua candidatura, che avrebbe potuto offendere la
suscettibilità dei campanilisti del paese più oltranzisti e farle
quindi perdere qualche prezioso voto stava proprio in quella sua
metà 'straniera'.
Un inedito cognome da
föra
avrebbe avuto l’onore
del Comando a Tesero? Oddio, no, no! avrebbero di sicuro sospirato
intolleranti i più viscerali tradizionalisti. Ma tutto filò liscio.
Quando le cose devono
andare in un certo modo, vanno! Fu un trionfo. Ad ogni modo, come
sempre era accaduto in quel dannato paese, cotanta novità, per
atavica propensione all'austerità e all'indifferrenza dei suoi
abitanti, non suscitò pubblicamente chissà quale particolare
scalmana. Nemmeno la parte che determinò la vittoria della nuova
sindaca e che giocoforza doveva essere preponderante si dimostrò
entusiasta. Almeno così parve sulle prime. Piuttosto, qualche
bertoldo linguacciuto non perse l’occasione per fare della facile e
triviale ironia sulla nuova prima cittadina e sulle sue qualità
amorose delle quali un po' per vizio e un po' per gioco già si
vociferava in giro: (omissis). Ma insomma il cambio epocale avvenuto
con quel voto birichino non lo si percepiva ancora.
Dal
muto coro generale una sola voce si alzò stentorea. Quella
dell’infermiere Angelo Deflorian, residuo veterocomunista ed ex
consigliere comunale (nelle fila socialiste) dei bei tempi andati,
che dopo una notte insonne ed agitata si era concesso un inusuale
giro di birre mattutino all’Ancora. All’annuncio di quella
vittoria che
lo colse proprio mentre stava accomiatandosi per recarsi a marena
imprecò con
veemenza tra lo stupore degli altri avventori: “(omissis) ! Con tüti
quei santini che hae dato föra,
varda quel che i è nai a votar. Peggio par lori. Mi ghe l’aveva
ben dito de votar ‘l Barbo, i vederà ben adesso sti (omissis)
tieseri…”. Ma
ormai il popolo aveva deciso e c’era ben poco da fare.
In
quel mentre, due chilometri più a valle, nella frazione di Lago, la
signorina Elena, già informata del franco successo ottenuto da un
infiltrato del suo comitato elettorale nel seggio n° 1 di via 4
Novembre, stava preparandosi a salire in paese per testare,
attraverso gli sguardi dei paesani, di quanto la sua popolarità
fosse aumentata in sole ventiquattro ore. Che ebbrezza! Sulla sua
minuta ma armoniosa figura il tailleurino color carta da zucchero, che
decise di indossare per l'occasione, le stava da dio. Il Comune,
perlomeno riguardo alla rappresentanza pura e semplice, ne avrebbe
senz'altro guadagnato. Si guardò un'ultima volta allo specchio, fece
un ammicco d'intesa con l'occhio destro al suo viso riflesso,
un'ultima spruzzata di Chanel n°10 sui polsi e via. Scesce in
strada, salì sull'auto, avviò il motore e partì. "Il mio
primo viaggio Lago-Tesero da sindaca! Wow!!" pensò soddisfatta.
La sua vanità in quegli istanti raggiunse picchi mai prima neppure
sfiorati. Il miracolo dell'improvvisa metamorfosi che talvolta
scompiglia e confonde la sorte di chi, senza arte nè parte, ne viene
fatto oggetto, si era compiuto un'altra volta ancora. Da ex speaker
della banda a sindaca del più antico paese di Fiemme… Da muta e
insignificante consigliera di minoranza a raggiante e riverita first
lady. Sarebbe stata lei, pensò orgogliosa in quel breve tragitto, a
sfilare durante la processione del Corpus Domini dietro al parroco,
in veste di capo popolo, al centro del manipolo delle autorità
paesane, tra il Corrado e il Giovanni, nel ruolo che sempre, per
secoli e secoli, fu esclusiva prerogativa maschile! Lei, proprio a
Tesero, con quel suo cognome foresto! Chi l’avrebbe potuto
immaginare soltanto qualche mese prima? Sicuramente in pochi. Forse
due. Uno certamente! Il suo tutore e mentore, certo che sì. Chi
altri? Lui sì se l’immaginava… E infatti - ma la cosa trapelò
molto più tardi - proprio lui, il grande Burattinaio, fu il primo a
complimentarsi con la sua
Elena in collegamento Skype
dal suo ufficio in
Provincia. Era appena passato mezzogiorno: "Ciao Elena, i m'ha
apena telefonà da Tieser (omissis)... Aòn vinto! Te l'aveva ben
dito... Mi, quanche me meto e vöi
'na roba, no ghè santi, me basto e me n' vanzo... e po' a Tieser,
con quei Conchi... l'è talmente facile... Godete sto bel momento e
no te preoccupar, 'l me numero te l'has e mi hae tütti
i altri numeri che serve. Scuseme cogno scampar. Hae 'na riunion a
momenti con i albergadori de Fassa e dapo' con i impiantisti de
Madonna de Campiglio... Complimenti de nöo,
ne vedòn."
Era
ormai l'una di quel così particolare lunedì, feriale solo a metà.
La fame, passato da un'ora il mezzodì, cominciava a battere e così,
al riparo da occhi indiscreti e dunque liberi di esternare i loro
veri sentimenti, i teserani (la stragran maggioranza di essi) a
tavola liberarono finalmente la loro gioia. Durante la marena
in molte case del
paese non si parlò d'altro che della nuova sindaca:
(Aveo
sentü? aveo sentü, l'è
deventada sindaca la fiöla de l'idraulico. Elo da Cavales? Creso de
sì, ma no son següra. L'è quel che l'ha tonto la Cornacci.
Aì, quel. L'è 'n foresto de sì? Sì, ma so mare no elo 'na
Ciassana? So mare l'è na fiöla
del Pino Ciassan e de la Carmen del Ponte... Che sarìa la fiöla
del Giovanni de la Todora. Sì, ma adesso basta! Che, che pöco
pöco se ariva ben
all'Antico Testamento... I
dis che l'è brava, nó?
L'è
vera, ae sentü an mi.
I ha dito che la è laureada... Ohhh) Finito il pranzo, per parare
giù il tradizionale
piatto delle feste
grane a base di
polenta e lüganeghe,
si tirarono fuori dagli òlti
le bottiglie di spumante avanzate dai cinque natali precedenti e si
brindò, 15 giorni dopo quella ufficiale, a quella nuova Liberazione.
In qualche casa, dove il tifo per la Laghèra raggiunse il
parossismo, massaie solerti recuperarono in fretta e furia
il panaöl
e ipso facto iniziarono
a far grostoli. Adesso,
passata quella grigia e indisponente mattina di maggio vestita d'
autunno si respirava un'aria leggera, si percepiva gaiezza, insieme
al sole la serenità era tornata. L'onta subita cinque anni prima ad
opera di quella lista antagonista così lontana dal sentire paesano
nonché i tanti rospi inghiottiti, con quel voto erano stati
finalmente cancellati.
Anche
il maestro banda volle partecipare a quella giornata feriale ma
festosa e dopo un consulto telefonico con la direzione convocò i
bandisti per una festicciola serale nella sede di via Fia. Il
direttore e i musicanti accorsi numerosi fecero un liberatorio
brindisi collegiale ed inviarono una salva di sms
di felicitazioni alla loro ex valletta. Alle 21 e 30 precise il
maestro salutò e si avviò verso casa. Fu forse l'aria della sera
maggiolina, o forse lo spumante e l'allegria che ancora si portava
addosso, fatto sta che all'improvviso l'ispirazione gli balenò nel
cervello. S'affrettò. Giunto a casa si precipitò nel suo studio e,
messosi al pianoforte, compose in poco più di un'oretta una marcia
brillante d'occasione in 6/8 in stile americano. Pensò brevemente
al titolo. Gli venne subito l'idea: "Elena
the first". Con
dedica speciale e da lui diretta in modo impeccabile venne eseguita
dalla Strepitosa
in prima assoluta un mese dopo in occasione del concerto di San
Liseo.
E
i vinti? Che fecero i vinti in quel per loro tragico 11 maggio? Il
povero Barbolini stette tutta la giornata tappato in casa. Anch’egli
domiciliato nella frazione di Lago, non se la sentì proprio di
salire in paese. Spense il cellulare, cosa per lui di una gravità assoluta, restando attonito sulla poltrona del salotto per lungo tempo. Sfinito si mise a letto poco dopo le quattordici, ma non
gli riuscì di chiuder occhio. Remenò a lungo cercando invano di
capire dove avesse sbagliato. Forse avrebbe dovuto anche lui
allestire un gazebo in piazza Battisti e dare
fuori qualcosa.
Chissà. Aveva investito molto in quel suo tentativo di raggiungere
l’agognato traguardo. Dieci anni dieci passati correndo avanti e
indietro a controllar lavori, a sovrintendere maestranze sui tanti
grandi e piccoli cantieri del Comune, a presenziare eventi, giornate
senz'auto, raduni dei pompieri, processioni, feste, sbaldorgiae.
Lui la faccia e le energie ce le aveva messe davvero, ma quella cazzo
di metamorfosi su di lui non aveva proprio voluto agire. Colse in
quell’inappellabile verdetto popolare tutta l’ingratitudine dei
suoi compaesani. Neppure il suo estremo tentativo rivolto alla
nazione via WhatsApp
sullo
sfondo bucolico del Cucal
era riuscito a far
cambiare idea a quella masnada di bigotti. Ah, maledetti, maledetti.
Stava meditando vendetta.
Poco
lontano, in località Val il suo promesso vice, l'allevatore di
conigli Michele Pessèla aveva appena finito di allestire un barbecue
nei prati antistanti
il mangiamerda comunale per far regalia dopo l'eventuale vittoria
con
i colleghi di lista quando gli arrivò la fatale notizia.
Tutto era pronto, tartine, spiedini, paste vino, aranciate. Poi, come
un fulmine a ciel sereno, lo squillo ferale. Drin, drin: Michele,
laga perder, l'ha vinto la Laghèra. Bestemmiò e imprecò il giusto.
Disfece con furia i vettovagliamenti e ritirò le pietanze. Rientrò
in casa buio in volto. La moglie lo guardò interrogativa ma il buon
Pesse senza proferire parola si rimise il toni blu e tornò dabbasso
a spalar grassa. Degli altri compagni d'avventura nessuno seppe più
nulla. Nè di Emma, assessora alla cultura in pectore, se la sorte
fosse stata diversa. Né di Enza, pronta per le finanze, né della Jo
che avrebbe forse suggerito qualche novità estetica in paese.
Nemmeno dei due medici si seppe più niente. Il pediatra terminò lì
la sua avventura politica, cinque anni dopo la sua entrata a palazzo.
L'oculista non la assaporò nemmeno, stroncato da quel voto ancor
prima di iniziare. Entrambi mestamente tornarono alle loro
professioni. Era finita. Era davvero finita.
Ario Dannati
Ario sei GRANDE!
RispondiEliminaNon so se la profezia si avvererà ma certamente il tuo resoconto del giorno dopo merita un applauso: da parte di ambedue i contendenti a prescindere dalle rispettive posizioni e dalle tue preferenze o meglio dalle tue preclusioni.
E comunque il risultato della partita non è così scontato.
Bellissimo romanzo! Colta alla perfezione l'insufficienza dei partecipanti (a parte una).
RispondiEliminaBentornato anche da parte mia.
Godot
Bravo Euro, vedremo se a Tesero i più ragionano con la pancia ( vedi gazebo in piazza) o con la testa o se magari preferiscono essere telecomandati da Trento !!
RispondiEliminaIo credo di no , sono quasi sicuro che i più ragioneranno con la loro testa. Non saranno soprannominati “sapienti “ per niente .