Ancora
una volta, l’ultima, la battagliera Giuliana disquisì con sapienza
e puntiglio sulle questioni all’O.d.G. e poi votò con coerenza. La
minoranza ufficiale invece, quella che poco dopo tramutò il suo nome
in Maggioranza, sempre ligia alla sua parte in commedia recitò il
suo solito copione: sbottò e si agitò, ma anziché infine dire sì
o no, si astenne. Nemmeno al capolinea riuscì a spogliarsi dei suoi
consunti abiti pilateschi. Dopo quell’ultima assise, la commozione
del Sindaco, i saluti dei duellanti, seguì l’extra
omnes (l’equivalente
dotto di un
ŝéme
föra dai cojoni)
pronunciato
solennemente dal signor Secretari
che concluse anche formalmente la tredicesima consiliatura di Tesero.
Spente
le luci e chiuse le finestre, il giorno dopo toccò alle maestranze
tutte del Palazzo rinfrescare i locali a dovere, cerare nuovamente i
pavimenti, spolverare gli scranni, dare acqua alle piante d’addobbo
assetate ed arieggiare.
Quindi
entrò in scena il grande fabbriciere
del comune (il pesante signor Ciro) che prima asperse i luoghi con essenze
all' incenso e alla mirra, profumando le arie ancora viziate e poi con
austero ritegno sigillò le stanche stanze consiliari in attesa
dell’arrivo della nuova papessa e la sua corte.
Appena
un anno dopo, forse meno, più nessuno avrebbe ricordato quel
parlare, quegli inutili strepiti, quelle rabbie trattenute,
quell’argomentare sottile e machiavellico, per giustificare
l’ingiustificabile, specialità dei consessi di ogni ordine e grado
ove si disputi di res
publica. Chi
dietro quei banchi tacque, chi parlò. I silenzi, le parole, gli
aliti. Sì, in un qualche scantinato i verbali catturarono ancora per
un po’ la polvere. Ma le carte restarono mute e oscure, nessuno le
cercò più, sinché l’oblio e il tempo le cancellò del tutto.
Ario
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