12/02/13

SABOTAGGIO PAPALE



No. Questa era impossibile prevederla. Tutto sin qui era filato liscio. Fin troppo. Un inverno coi… fiocchi. E che fiocchi! Freddo a sufficienza per produrre neve da ricoprire l’intero deserto del Sahara. Volontari entusiasti. Tutta l’intellighenzia  locale disposta a falange. Rompicoglioni assenti. Poi, nel breve volgere di sessanta giorni o poco più, ecco ripresentarsi  la terribile Maledizione degli Intralci Mediatici.  Com’era già accaduto in una precedente edizione, quella del 2003. Allora erano stati i venti della seconda guerra del Golfo a mortificare gli entusiasmi e a rendere tutto più incerto, silenziando per così dire la manifestazione. Il mondo stava col fiato sospeso, la gente faceva scorte di alimentari, inquietamente sintonizzata su radio Baghdad per cercar di capire se gli ispettori ONU sarebbero riusciti a convincere i falchi di Washington dell’inesistenza della cosiddetta pistola fumante a carico di Saddam. Sui balconi delle case sventolavano non già le bandierine crociate scandinave, bensì gli scongiuranti vessilli arcobaleno… Insomma, non eravamo nella miglior condizione psicologica per goderci appieno l’Evento. Ora però l’inaspettata escalation di fatti rilevanti concatenati diabolicamente tra di loro,  non sembra casuale, come certamente fu nel 2003, ma anzi subodora eccome di sabotaggio. Il 24 e il 25 febbraio prossimi come è noto si voterà, in anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura, per il rinnovo del parlamento nazionale. Nulla di strano, siamo in Italia. Strano, molto strano invece aver deciso di far cadere la data della elezioni nel pieno dell’inverno, cosa mai accaduta prima nella storia ultra sessantennale della Repubblica! Ma tant’è, di ciò ci eravamo ormai messi il cuore in pace. In fondo due soli giorni di interferenza televisiva si sarebbero potuti anche sopportare.

L’incredibile doveva però ancora accadere. Ed ecco che lunedì 11/02/2013, anniversario dei Patti Lateranensi,  alle 11 e 24 precise, la Maledizione degli Intralci Mediatici, si rifà viva in maniera sconvolgente. Come un fulmine a ciel sereno, papa Benedetto annuncia le sue dimissioni. Di più, fissa la data della loro formalizzazione per il 28 di febbraio! Così i dieci giorni più importanti per la nostra bella valle, attesi e calendarizzati da almeno quattro anni, sono inceneriti ipso facto dalla decisione papale. Se questo non è sabotaggio, ditemi voi cos’è. E’ possibile che due eventi di portata storica, mai in questi termini verificatisi prima, si concretizzino contemporaneamente proprio adesso?  Passino le elezioni nazionali il 24 e 25, ma che  il papa si dimetta il 28...

L’allarme rosso nei piani alti dell’organizzaziòn scatta immediatamente. Il capo diplomatico del grande evento contatta la Santa Sede per cercar di mediare una soluzione utile a entrambe le cause. Al segretario di stato, cardinal Bertone, propone di anticipare la data delle dimissioni papali al 19 prossimo o di posticiparla al 4 di marzo. La risposta del segretario è perentoria ed immediata: il papa è troppo stanco, non ha più voglia di scherzare.

A questo punto solo un miracolo potrà salvare l’evento da un’inutile bella figura, perché è certo che dal 24 febbraio prossimo venturo sino almeno a domenica 3 marzo il mondo avrà gli occhi puntati sui fatti romani e vaticani anziché sui prati laghèri, e le immagini della nostra bella frazione, pur continuando a passare sugli schermi delle televisioni saranno sterilizzate. I telespettatori fisseranno sì le piste immacolate, ma i loro pensieri vagheranno altroveubi maior, minor cessat e il  rischio che in quegli attesissimi, agognati otto giorni a cavallo tra febbraio e marzo il peso dei famosi ottocento milioni di contatti televisivi si alleggerisca a tal punto da divenire del tutto inconsistente sarà più che concreto.

Tu quoque, Benedictus. Bello scherzetto ci hai fatto. Dopo che con devota commozione e la speranza di intercessione ai santi la nostra delegazione addetta alla promoziòn ti aveva regalato un costosissimo presepio di non so quale nostro bravo scultore.

Ecco… Fa’ ti, e po’ tòh. A che al giovà, tüto sto danarse? E sto còrer navante e ‘ndrio, e šü e ŝo da Tiéser a Roma, e da Roma a Tiéser, e canta e šóna, e méte föra presepi e töli into e rimeteli föra…, se po’ basta ‘na dimission de ‘n papa par far nar tüto ‘n vacca. No la è miga giüsta però, porca madonega… L’è tütte le olte quela.

A.D.

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