No. Questa era impossibile prevederla. Tutto sin qui
era filato liscio. Fin troppo. Un inverno coi… fiocchi. E che fiocchi! Freddo a
sufficienza per produrre neve da ricoprire l’intero deserto del Sahara.
Volontari entusiasti. Tutta l’intellighenzia
locale disposta a falange. Rompicoglioni assenti. Poi, nel breve volgere di
sessanta giorni o poco più, ecco ripresentarsi la terribile Maledizione degli Intralci Mediatici. Com’era già accaduto in una precedente edizione,
quella del 2003. Allora erano stati i venti della seconda guerra del Golfo a
mortificare gli entusiasmi e a rendere tutto più incerto, silenziando per così
dire la manifestazione. Il mondo stava col fiato sospeso, la gente faceva scorte
di alimentari, inquietamente sintonizzata su radio Baghdad per cercar di capire
se gli ispettori ONU sarebbero riusciti a convincere i falchi di Washington
dell’inesistenza della cosiddetta pistola fumante a carico di Saddam. Sui
balconi delle case sventolavano non già le bandierine crociate scandinave,
bensì gli scongiuranti vessilli arcobaleno… Insomma, non eravamo nella miglior
condizione psicologica per goderci appieno l’Evento. Ora però l’inaspettata
escalation di fatti rilevanti concatenati diabolicamente tra di loro, non sembra casuale, come certamente fu nel
2003, ma anzi subodora eccome di sabotaggio. Il 24 e il 25 febbraio prossimi come è noto si voterà, in anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura, per
il rinnovo del parlamento nazionale. Nulla di strano, siamo in Italia. Strano,
molto strano invece aver deciso di far cadere la data della elezioni nel pieno
dell’inverno, cosa mai accaduta prima nella storia ultra sessantennale della
Repubblica! Ma tant’è, di ciò ci eravamo ormai messi il cuore in pace. In fondo
due soli giorni di interferenza televisiva si sarebbero potuti anche sopportare.
L’incredibile doveva però ancora accadere. Ed ecco
che lunedì 11/02/2013, anniversario dei Patti Lateranensi, alle 11 e 24 precise, la Maledizione degli Intralci Mediatici, si rifà viva in maniera sconvolgente. Come un
fulmine a ciel sereno, papa Benedetto annuncia le sue dimissioni. Di più, fissa
la data della loro formalizzazione per il 28 di febbraio! Così i dieci
giorni più importanti per la nostra bella valle, attesi e calendarizzati da
almeno quattro anni, sono inceneriti ipso facto dalla decisione papale. Se questo non è sabotaggio, ditemi voi cos’è. E’ possibile
che due eventi di portata storica, mai in questi termini verificatisi prima, si
concretizzino contemporaneamente proprio adesso? Passino
le elezioni nazionali il 24 e 25, ma che il papa si dimetta il 28...
L’allarme rosso nei piani alti
dell’organizzaziòn scatta immediatamente. Il capo diplomatico del grande evento
contatta la Santa Sede per cercar di mediare una soluzione utile a entrambe le
cause. Al segretario di stato, cardinal Bertone, propone di anticipare la data delle
dimissioni papali al 19 prossimo o di posticiparla al 4 di marzo. La risposta
del segretario è perentoria ed immediata: il papa è troppo stanco, non ha più voglia di
scherzare.
A questo punto solo un miracolo potrà salvare l’evento da un’inutile bella
figura, perché è certo che dal 24 febbraio prossimo venturo sino almeno a
domenica 3 marzo il mondo avrà gli occhi puntati sui fatti romani e vaticani anziché
sui prati laghèri, e le immagini della nostra bella frazione, pur continuando a
passare sugli schermi delle televisioni saranno sterilizzate. I telespettatori fisseranno sì le piste immacolate,
ma i loro pensieri vagheranno altrove: ubi maior, minor cessat e il rischio che
in quegli attesissimi, agognati otto giorni a cavallo tra febbraio e marzo il
peso dei famosi ottocento milioni di contatti televisivi si alleggerisca a tal
punto da divenire del tutto inconsistente sarà più che concreto.
Tu quoque, Benedictus.
Bello scherzetto ci hai fatto. Dopo che con devota commozione e la speranza di
intercessione ai santi la nostra delegazione addetta alla promoziòn ti aveva
regalato un costosissimo presepio di non so quale nostro bravo scultore.
Ecco… Fa’ ti, e po’ tòh. A che al giovà, tüto sto
danarse? E sto còrer navante e ‘ndrio, e šü e ŝo da Tiéser a Roma, e da Roma a Tiéser, e canta e šóna, e méte föra presepi e töli into e rimeteli föra…, se po’
basta ‘na dimission de ‘n papa par far nar tüto ‘n vacca. No
la è miga giüsta però, porca madonega… L’è tütte le olte quela.
A.D.
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