18/01/12

INTO LE BOCCE E FÖRA LE FACÉRE



Et voilà, è passato anche il Natale. Era ora. Non se ne poteva più di quel po’ po’ di inautentico, di scontato, di pletorico, di visto e rivisto, di quasi lugubre. Adesso possiamo immergerci nella trasgressione carnevalesca. In quell’unico periodo dell’anno espressamente dedicato alla licenziosità e al peccato. Tutto l’osceno e il proibito, compresso per undici lunghi mesi nel più profondo della nostra psiche, sarà ‘autorizzato’ per i prossimi 35 giorni circa ad emergere e annichilire l’ipocrita buonista messinscena della natività. Scherzi, sbornie, inganni, adulteri, faranno da contrappasso al logoro immaginario natalizio. “Into le bocce e föra le facére” soddisfatto annunciava puntualmente a sé stesso, ogni anno la sera dell’Epifania il buon Güstele Pressa (Gustavo Dondio / Tesero 1912 – Tesero 1986), anch’egli stufo de spinada e presepi.
Carnevale, ovvero Tempo di libertà: una volta ‘assoluta’, cioè capace di interpretare il moto animale più nascosto di ognuno di noi senza farsi dirigere da modelli esteriori, oggigiorno soltanto ‘relativa’. Anche il “Tempo della Carne” infatti ha scontato il tentativo di assoggettamento al commercialmente corretto. Tuttavia, grazie al suo evidente polimorfismo è riuscito a mantenere una sua autonomia e a non piegarsi completamente al volere consumistico, ma pagandone per questo un alto prezzo. Lo prova il paradosso che mentre Natale e Pasqua, feste di un giorno solo, si sono dilatate a dismisura, l’originaria veemenza sabbatica del carnevale si è via via depotenziata e l’ampio, seppur variabile, periodo che gli appartiene (dall’Epifania alla Quaresima) s’è ridotto sostanzialmente al solo pomeriggio del martedì grasso.
Sino ai ’70 del secolo scorso, il proibito e l’eccesso ‘affioravano’ esclusivamente durante quel periodo. In un crescendo che ad iniziare dalla seconda domenica di gennaio raggiungeva il suo culmine nei giorni della cosiddetta settimana grassa.
Maschere, coriandoli, tortié de pomo, frati ’mbriaghi, canederli, cene delle associazioni con relativi balli e bale. Era il tripudio della fantasia, della sensualità e degli incontri ‘peccaminosi’. Lo sfogo quasi fisiologico, giocato nel mezzo della lunga stagione invernale, che i montanari trascorrevano per lo più tra stalla, cambra e tabià. Trasgredire per sopravvivere al giogo immutabile del duro lavoro di un tempo e al repressivo controllo sul costume perpetrato da Santa Romana Chiesa, dalla notte dei tempi sino al Concilio Vaticano II, fatta salva quell’unica annuale eccezione.

A.D.

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