Possiamo rinunciare, una volta, alla solita messa? Certo che sì. Possiamo rinunciare, una volta, alla verbosa sequenza dei saluti ufficiali? Certo che sì. E allora, se vogliamo che (una volta) il contenitore non prevarichi il contenuto, tacciamo la stentorea e radiofonica Voce del Padrone. Riduciamo la melassa dei luoghi comuni, delle celebrazioni del nulla. Anzi, rinunciamoci! Aborriamo le inutili benedizioni! Gli aspersori pagani, le incensate campestri! Basta, basta, basta! Cambiamo. Al di là del protocollo, al di là dei gonfaloni, al di là dei “nazionalismi” trudneriani. Al di là di tutto. Ma perdio, ciò che conta è la musica! Sopra-tutto e prima di tutto!! Ogni senso ha le sue irrinunciabili necessità. E passi pure il concertone, grande, grosso e cacofone, con la multicromatica chiazza di bandisti, ché anche l’occhio vuole la sua parte. Ma diversamente – sia chiaro – ne gode l’udito, ché alle orecchie, della quantità, gliene importa pochino. E allora, se uno più uno non fa tre, la sintesi sensorialmente perfetta non può che essere la sfilata! Però attenzione, che anch’essa non sia… cacofonia. Mancano ancora dieci giorni. C’è tempo. C’è tempo. Si studino bene le sequenze d’entrata delle marce e le distanze tra corpo e corpo. E poi si suoni, si suoni, si suoni! Dispiegando gli aerofoni e diffondendo con gusto e precisione, per gli scorci e le vie, le ritmiche binarie e le marziali armonie. Ne va della festa. Ne va della musica. E che per una volta almeno, i grigi tromboni… di tricolor fasciati, ascoltino muti!
La mosca cocchiera
La mosca cocchiera
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