La responsabilità non è né del governo Prodi né di quello precedente. Il nostro impoverimento dipende da quel meccanismo che si chiama globalizzazione che è, in estrema sintesi, una spietata competizione planetaria. Per rimanere all’altezza tutti gli Stati sono costretti ad investire sempre di più, chiedendo sacrifici sempre più pesanti alle popolazioni, sia in termini di aumento del lavoro che di riduzione dei salari (ottenuta o direttamente o con l’aumento delle tasse o con l’inflazione). Il bello (si fa per dire) è che nessuno esce realmente vincente da questa competizione. Se tutti corrono a una velocità sempre più folle, è come se tutti stessero fermi. E’ però anche vero che chi rallenta è perduto. Della situazione si avvantaggiano, apparentemente, alcuni Paesi che sono partiti più tardi nella corsa del libero mercato internazionale, perché hanno più margini. Ma a costi umani devastanti. In Cina, da quando è iniziato il boom, il suicidio è la prima causa di morte fra i giovani e la terza fra gli adulti. Ha un senso, un senso umano dico, tutto questo? No, non ce l’ha. Tanto più che alla fine della folle corsa, iniziata due secoli e mezzo fa con la Rivoluzione Industriale, non ci può essere che la catastrofe, che sarà o energetica (basta vedere che cosa provoca un semplice sciopero dei Tir) o ecologica (il pianeta non ci sopporterà più) o finanziaria (c’è in giro una colossale quantità di denaro di cui il 99% non corrisponde a nulla se non a scommesse sempre più iperboliche sul futuro). In ogni caso penso che un po’ di povertà ci farà bene. Ci renderà, forse, più solidali e, soprattutto, ci costringerà a riflettere sul modello paranoico che stiamo vivendo e subendo.
M.F.
M.F.
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