Cicerone definiva “bona consuetudo” la prudenza e il buon gusto nell’accogliere elementi stranieri nella lingua latina. Presso i romani i grecismi erano di norma fedelmente traslitterati, declinati alla greca nei casi retti e di preferenza alla latina negli obliqui; oppure se ne traeva un calco, specie dai nomi personali. Vigilius e Vincentius rendevano Gregórios e Nikásios, dapprima sgraditi ma poi accolti nella bassa romanità.
Questo eclettismo di buona consuetudine è del tutto estraneo al parlar quotidiano della gente comune. L’italiano allevato in batteria ha un’espressione sempre più povera e sciatta, con frequente ricorso ai vari big, job, shop, set, flash e ad altri insulsi monosillabi fastidiosi come mosche. A queste assunzioni per “libera scelta” vanno aggiunte le voci straniere imposte dall’alto, come ad esempio ticket, fixing, intercity.
A suo tempo furono accolti, con saggia parsimonia, singoli anglismi di bassa utenza quali sport, ring, club, film, preferibili ai riscontri nostrani agonistica, quadrato, consociazione, pellicola, meno denotati o meno accessibili agli indotti. E assai prima, per buon istinto selettivo, erano entrati nella lingua nostra spagnolismi come lindo, premura, creanza, maniglia, puntiglio, cadauno e molti altri ancora, pregnanti e gradevoli all’orecchio latino. Ben altro istinto ha lasciato supinamente penetrare certi nessi telegrafici anglosassoni quali black-out “oscuramento”, week-end “fine settimana”, green-back “verdone” ossia “banconota” per metonimia, part-time “a tempo ridotto”, full-time “a tempo pieno”, case-work “inchiesta attitudinale”. Per tacere di certi mostri tautologici tipo gazebo “chiosco” (da ingl. to gaze “scrutare” + lat. videbo).
Che le scelte lessicali siano ispirate dal “genio della lingua” o piuttosto dal “genio della società”,come si va disputando da anni, poco importa. Nel nostro caso, se di genio si tratta, è di certo un genio perverso.
da “Povera lingua nostra, dove vai?" di Silvano Valenti
Questo eclettismo di buona consuetudine è del tutto estraneo al parlar quotidiano della gente comune. L’italiano allevato in batteria ha un’espressione sempre più povera e sciatta, con frequente ricorso ai vari big, job, shop, set, flash e ad altri insulsi monosillabi fastidiosi come mosche. A queste assunzioni per “libera scelta” vanno aggiunte le voci straniere imposte dall’alto, come ad esempio ticket, fixing, intercity.
A suo tempo furono accolti, con saggia parsimonia, singoli anglismi di bassa utenza quali sport, ring, club, film, preferibili ai riscontri nostrani agonistica, quadrato, consociazione, pellicola, meno denotati o meno accessibili agli indotti. E assai prima, per buon istinto selettivo, erano entrati nella lingua nostra spagnolismi come lindo, premura, creanza, maniglia, puntiglio, cadauno e molti altri ancora, pregnanti e gradevoli all’orecchio latino. Ben altro istinto ha lasciato supinamente penetrare certi nessi telegrafici anglosassoni quali black-out “oscuramento”, week-end “fine settimana”, green-back “verdone” ossia “banconota” per metonimia, part-time “a tempo ridotto”, full-time “a tempo pieno”, case-work “inchiesta attitudinale”. Per tacere di certi mostri tautologici tipo gazebo “chiosco” (da ingl. to gaze “scrutare” + lat. videbo).
Che le scelte lessicali siano ispirate dal “genio della lingua” o piuttosto dal “genio della società”,come si va disputando da anni, poco importa. Nel nostro caso, se di genio si tratta, è di certo un genio perverso.
da “Povera lingua nostra, dove vai?" di Silvano Valenti
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