Fu la somma contemporanea e sconvolgente di 268 lutti individuali. Ma per la comunità paesana, eccezion fatta per quella parte direttamente coinvolta, fu soltanto emozione. Che durò poco. Poi l’istinto predatorio e animale, presente anche nella natura dell’uomo, riprese il suo corso, più famelico e brutale di prima. Proprio il profitto, attraverso l’alienazione del territorio, nelle sue varie forme, divenne la principale ragion d’essere di questa comunità. Per capire è bastato osservare le cose, giorno dopo giorno, in questo passaggio di tempo: i fatti, contraddicono palesemente i ripetuti “mai più…!”, le lapidi e i monumenti. Tolta l’ipocrisia, la verità è trasparente. Se ci fosse stata una traccia, ancorché minima, del dolore collettivo e di essa ne esistesse ancora una parvenza, oggi, in questo anniversario, ma anche nei ventidue precedenti, si sarebbe dovuto fare soltanto una cosa: tacere. Dopo ventitré anni, per un insperato riflusso di decenza, la recita potrebbe anche finire.
Ario Dannati
Ario Dannati
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