Con un’iniziativa che non ha precedenti ma avrà, c’è da scommetterlo, parecchi imitatori, un detenuto è evaso per rilasciare un’intervista alla tv. L’autore dell’impresa è il finanziere Danilo Coppola, noto alle masse per la pettinatura parabolica da paggio rinascimentale con riporto «cabriolet» dietro le orecchie. Ricoverato agli arresti domiciliari nell’ospedale di Frascati, ha staccato i tubi delle flebo ed è fuggito in tuta verso un albergo di Roma poco distante dal Palazzo di Giustizia. Giunto in quella «location» emblematica, ha convocato le telecamere di Sky per riproporre un vecchio classico della tragicommedia all'italiana, la vittima del Complotto Universale, e solo alla fine dell'intervista ha deciso di consegnarsi alla polizia. Non cercava la libertà. E neanche l'ora d'aria in un prato, magari con qualche bella ragazza. A spingere Coppola verso il gesto che gli costerà un supplemento di galera è stato il desiderio di tornare a esistere. Perché il rito del lamento gli sembrava patetico, fin quando si consumava fra le quattro pareti di una cella o nei colloqui saltuari con l'avvocato. Soltanto la tv, regno dell'inconsistenza, era in grado di dare al suo tramestio interiore un'illusione di autenticità. Non sostengono i sociologi che la gente sogna di andare in video per evadere dalle gabbie incolori della vita vera? Coppola li ha presi talmente in parola che ha trasformato la metafora in realtà.
M.G. - La Stampa 07/12/2007
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