Han giurato! Li ho visti in Caltresa
convenuti da Tesero e Lago,
han giurato inchinandosi al Mago
cittadini di dodici età.
Han giurato di farla finita
con la gente di dubbia condotta,
giudicata servile e corrotta,
senza fede, né Dio, né virtù.
“Ahi sventura, sventura, sventura”
urla il Capo rivolto agli astanti
“sù, prendete il vessillo, ed avanti,
sù marciate a salvar l’onestà!”
Ed il coro dei dodici eroi
ben schierati nel campo a battaglia
con in mano chi penna o tenaglia
“Sì, sventura, sventura” gridò.
“Già da tempo” riprese il gran Capo
“la DiCì qui comanda il paese,
tutti quanti ne fanno le spese;
finalmente ora è giunto il bel dì
da gran tempo da tutti che è atteso.
Questo giorno novello è già nato
e se il voto a noi sarà dato
tutta Tesero in pugno terrém!
Sù, si chiami la gente a raccolta
nella sala del nostro Comune,
è già ora di accendere il lume
su color che la croce accecò.
La tragedia dei soldi spenduti
grida a tutti – sia fatta vendetta –
la Giustizia da ognuno si aspetta
che ridoni il primiero splendor!”
Per le case, le piazze e le strade
già si spande la lieta novella
e la gente già crede che quella
sia del Cielo la gran volontà.
E concorrono tutti a riunione
nella sala ove un uomo li aspetta:
“Su, venite qui attorno ed in fretta
ai miei detti prestate attenzion!”
“Elettrìci, elettor, che mi udite,
suvvia date la vostra promessa,
che la vostra intenzione sia espressa
senza croce, o partito, o color!”
O spettacol di gioia! I paesani
son concordi serrati a una lega
“c’è chi mangia, chi sciupa, chi frega!”
da ogni parte si sente gridar.
Finalmente arrivato il gran giorno
tutti ai seggi se n' vanno a votare.
e le schede che son da scrutare
poi si mettono tutti a guatàr.
Alla fine vien fatto lo spoglio,
ogni scheda è aperta e guardata
a seconda del voto ammucchiata
da un valente e fedel scrutator.
Quando l’ultimo voto vien letto,
dalla folla alto un grido si leva
“Abbiam vinto! e già noi se l' sapeva
ancor prima del conto final.”
“Noi siam quelli del duro giudizio
ora è fatta giustizia suprema,
e la vile DiCì vinta trema,
noi vittoria cantiamo, cantiam!”
La vittoria cantata e voluta
fu da tutti color celebrata
ed insieme alla mensa addobbata
in quel dì si mangiò e si bevé.
Ben se n’ vide più tardi l’effetto.
Ben si fecero i conti finali
e divenner perfino banali,
quando al seggio ciascun si sedé.
Dopo sol qualche mese di regno
si sfaldò quella lega sì stretta,
tanto viene la rotta di fretta
quando il buono il rio scaccia così.
Uno all’altro invidioso e rivolto
solo al proprio prestigio era intento,
per cui quello che un dì fu contento
brutto e triste trovò l’indoman.
Io mi faccio poeta dei fatti,
io mi sento investito a narrare
quante ore a Tesero amare
la superbia con l’ira donò.
Io mi faccio poeta pei buoni,
raccomando ai più scaltri cervelli:
“Non seguite le orme di quelli
che per loro Tesero odiò”
Sarà forse raccolta la prece
che rivolgo tremante ai paesani?
“Senza tema, sù, diamci le mani;
l’odio scaccia col vero perdon.
Siam fratelli di un’unica schiatta,
siam formati ad imprese più grandi
se vogliam che il Signore ci mandi
ore liete e sorridaci il sol.
Ci sorrida il sol nato nel cielo
dietro l’alta montagna imponente
che sovrasta il paese e si sente
che è nomata da tutti Cornòn.
Non facciamo indignare l’Eccelso
se vogliamo che Lui non sommerga
il paese con frane da terga
che da l’alto Cornòn piomberan!
Pietro Delladio
Tesero, maggio 1964
convenuti da Tesero e Lago,
han giurato inchinandosi al Mago
cittadini di dodici età.
Han giurato di farla finita
con la gente di dubbia condotta,
giudicata servile e corrotta,
senza fede, né Dio, né virtù.
“Ahi sventura, sventura, sventura”
urla il Capo rivolto agli astanti
“sù, prendete il vessillo, ed avanti,
sù marciate a salvar l’onestà!”
Ed il coro dei dodici eroi
ben schierati nel campo a battaglia
con in mano chi penna o tenaglia
“Sì, sventura, sventura” gridò.
“Già da tempo” riprese il gran Capo
“la DiCì qui comanda il paese,
tutti quanti ne fanno le spese;
finalmente ora è giunto il bel dì
da gran tempo da tutti che è atteso.
Questo giorno novello è già nato
e se il voto a noi sarà dato
tutta Tesero in pugno terrém!
Sù, si chiami la gente a raccolta
nella sala del nostro Comune,
è già ora di accendere il lume
su color che la croce accecò.
La tragedia dei soldi spenduti
grida a tutti – sia fatta vendetta –
la Giustizia da ognuno si aspetta
che ridoni il primiero splendor!”
Per le case, le piazze e le strade
già si spande la lieta novella
e la gente già crede che quella
sia del Cielo la gran volontà.
E concorrono tutti a riunione
nella sala ove un uomo li aspetta:
“Su, venite qui attorno ed in fretta
ai miei detti prestate attenzion!”
“Elettrìci, elettor, che mi udite,
suvvia date la vostra promessa,
che la vostra intenzione sia espressa
senza croce, o partito, o color!”
O spettacol di gioia! I paesani
son concordi serrati a una lega
“c’è chi mangia, chi sciupa, chi frega!”
da ogni parte si sente gridar.
Finalmente arrivato il gran giorno
tutti ai seggi se n' vanno a votare.
e le schede che son da scrutare
poi si mettono tutti a guatàr.
Alla fine vien fatto lo spoglio,
ogni scheda è aperta e guardata
a seconda del voto ammucchiata
da un valente e fedel scrutator.
Quando l’ultimo voto vien letto,
dalla folla alto un grido si leva
“Abbiam vinto! e già noi se l' sapeva
ancor prima del conto final.”
“Noi siam quelli del duro giudizio
ora è fatta giustizia suprema,
e la vile DiCì vinta trema,
noi vittoria cantiamo, cantiam!”
La vittoria cantata e voluta
fu da tutti color celebrata
ed insieme alla mensa addobbata
in quel dì si mangiò e si bevé.
Ben se n’ vide più tardi l’effetto.
Ben si fecero i conti finali
e divenner perfino banali,
quando al seggio ciascun si sedé.
Dopo sol qualche mese di regno
si sfaldò quella lega sì stretta,
tanto viene la rotta di fretta
quando il buono il rio scaccia così.
Uno all’altro invidioso e rivolto
solo al proprio prestigio era intento,
per cui quello che un dì fu contento
brutto e triste trovò l’indoman.
Io mi faccio poeta dei fatti,
io mi sento investito a narrare
quante ore a Tesero amare
la superbia con l’ira donò.
Io mi faccio poeta pei buoni,
raccomando ai più scaltri cervelli:
“Non seguite le orme di quelli
che per loro Tesero odiò”
Sarà forse raccolta la prece
che rivolgo tremante ai paesani?
“Senza tema, sù, diamci le mani;
l’odio scaccia col vero perdon.
Siam fratelli di un’unica schiatta,
siam formati ad imprese più grandi
se vogliam che il Signore ci mandi
ore liete e sorridaci il sol.
Ci sorrida il sol nato nel cielo
dietro l’alta montagna imponente
che sovrasta il paese e si sente
che è nomata da tutti Cornòn.
Non facciamo indignare l’Eccelso
se vogliamo che Lui non sommerga
il paese con frane da terga
che da l’alto Cornòn piomberan!
Pietro Delladio
Tesero, maggio 1964
Nessun commento:
Posta un commento