10/01/09

OBOE MERAVIGLIOSO


Classe 1965 è uno dei migliori oboisti in circolazione. Tecnica sopraffina, ma, soprattutto, un suono davvero meraviglioso. Una delle più belle “voci” che abbia mai ascoltato. Capace di passare con apparente semplicità dall’oboe all’oboe d’amore e al corno inglese (strumenti questi ultimi molto più duri), mantenendo sempre una qualità sonora eccezionale.
Discografia parziale:
New Seasons - trascrizioni di musiche di Händel per oboe e orchestra (Deutsche Grammophon 4760472);
Lieder ohne Worte (romanze senza parole) - trascrizioni di musiche di J. S. Bach (Deutsche Grammophon 4760472);
Auf Mozarts Spuren (In cerca di Mozart) Agosto 2004, con Claudio Abbado e la Mahler Chamber Orchestr (Deutsche Grammophon 6231046);
Music for Oboe, Oboe d'amore, Cor anglais, and Piano - chamber music from the 19th century, with Markus Becker on piano (EMI Classics 5731672);
J.S. Bach's Double concerto for oboe und violin with Mayer on oboe and Nigel Kennedy on violin with the Berlin Philharmonic (EMI Classics 5570162).

09/01/09

COSE MAI VISTE (IN TV)

Berlusconi (presidente di turno) dà del Kapo all' europarlamentare tedesco Schulz

08/01/09

GUERRA DOPO GUERRA


In un aspetto la crisi israelo-palestinese è uguale a tutti i conflitti di tutto il mondo: le cause, le motivazioni, le responsabilità sono plurime, si rimandano e si rafforzano l'una con l'altra. I razzi Qassam non spiegano da soli la guerra d'Israele contro Gaza: se si può chiamare guerra uno scontro così sproporzionato non solo per la tecnologia militare dei due contendenti ma per il fatto che da una parte combatte uno stato in piena regola, persino troppo «sovrano» visto che a Israele, a dispetto dell'opinione dei più, sono permesse violazioni delle regole non ammissibili in genere per nessuno (salvo le superpotenze), e dall'altra una larva priva di qualsiasi personalità (tanto che spesso si paragona la lotta di Hamas a una guerriglia benché le analogie con le guerre di liberazione o le insorgenze siano davvero scarse se non per le vicende delle Intifada, che però si sono svolte nella West Bank più che a Gaza). Le provocazioni di Hamas sono una mezza verità. Non si capisce del resto perché le condizioni di vita degli abitanti di Israele a ridosso della Striscia e sotto il tiro dei missili artigianali sparati da Gaza dovrebbero essere più insopportabili delle condizioni di chi è rinchiuso in una specie di prigione, in perenne embargo, senza collegamenti esterni, oggetto di periodiche incursioni e omicidi mirati. Per essere seri si deve partire dall'eccezionalità, per non dire unicità, della fattispecie arabo-israeliana e poi israelo-palestinese e dalla sostanziale circolarità degli scambi. Non ci sono azioni e reazioni singole. C'è una storia a più facce che si trascina da un secolo. Anche in Israele-Palestina valgono le questioni legate allo stato e alla nazione, al potere, alle classi, alla terra e alla formazione sociale, ma sopra o sotto questi fattori c'è l'intreccio di due realtà concrete e simboliche che nessuna divisione è riuscita veramente a separare. La stessa guerra è il modo d'essere di questa interazione un po' perversa. Guerra dopo guerra, lo spazio fra israeliani e palestinesi è diventato sempre più comune, anche se via via più sbilanciato a favore di Israele quanto a capacità di gestirsi e ad autonomia effettiva e protetta. Israele, come stato e come soggetto collettivo di cui fanno parte, oltre alle decisioni delle autorità, un'opinione pubblica informata e un discorso politico-culturale che si presume libero, fa torto a se stesso se cerca di far credere che senza i deprecati e deprecabili razzi non ci sarebbe stato bisogno di una guerra. Dov'è finita la coscienza critica che si è soliti attribuire alla sua sofisticata intellettualità? Si aveva ragione di ritenere che al centro del confronto in vista delle elezioni di febbraio - in una fase obiettivamente cruciale per le obbligazioni dell'ordine globale, la crisi finanziaria, il cambio alla Casa Bianca, la (forse) crescente ambizione dell'Europa - non ci fossero i Qassam ma temi come la natura dello stato ebraico oggi e domani, la conciliabilità fra democrazia e demografia, le vie per integrarsi convenientemente nel Medio Oriente (altro che Unione europea). In gioco fra Israele e Palestina c'è l'ingombro fatale del disegno che ha portato alla nascita e all'affermazione dello stato ebraico con la grandezza dell'utopia e le sue insanabili contraddizioni. Allo stesso modo, e lo si dice non solo per equidistanza, i dirigenti di Hamas e al limite l'intero movimento palestinese non possono ridurre tutto alle colpe di Israele (l'assedio della Striscia, gli insediamenti nei territori, il muro, ecc.), perché l'applicazione degli accordi o degli schemi di accordo messi a punto a tutt'oggi si è dimostrata o inadeguata o effimera o impossibile. La questione israelo-palestinese può essere affrontata in due modi diversi e alternativi: o con la violenza o con la politica. Si può sostenere che anche la violenza è un'espressione della politica: è vero, ma la distinzione è fra la violenza come fine e la violenza come mezzo. Non si ripeta la solita solfa del «processo di pace» e dei «due stati per due popoli». Questi obiettivi possono essere raggiunti sia come sbocco della violenza (sopraffazione anche nelle eventuali concessioni) che per una scelta politica (equità nel riconoscimento dei diritti degli uni e degli altri). Finora ha prevalso l'uso sistematico della violenza. Israele ha in mente una soluzione - la sicurezza come dogma, la pace come possibilità, lo stato palestinese solo come necessità - che presuppone lo squilibrio, la supremazia, un dominio acclarato come unico pegno di sicurezza dando per scontato che i rapporti con i palestinesi, gli arabi e l'ambiente mediorientale nel suo insieme saranno sempre e comunque di ostilità se non di belligeranza. Fatah e Hamas soffrono anche a distanza per la mancanza di una strategia attendibile. Arafat ebbe almeno il merito di tenere in vita un'idea unica di Palestina quando la Palestina era smembrata e negata da tutti. In ogni caso, nessuna componente del movimento palestinese ha mai immaginato di imporre una soluzione che implicasse un'egemonia a senso unico. La fase storica del «rifiuto arabo», quale che fosse il suo significato reale, è chiusa. Sono altre le minacce che incombono su Israele (provenienti anche dall'interno). Determinante, pur nella lunga durata, è il contesto in cui il contrasto si colloca di volta in volta. C'è una bella differenza fra Nasser e Mubarak. Ai tempi di Nasser l'impegno arabo e panarabo aveva come riferimento il sovvertimento dei rapporti di origine coloniale. Il Rais vinceva politicamente anche quando usciva sconfitto da una guerra perché cavalcava l'onda ascendente. Si supponeva che l'ordine mondiale potesse e dovesse essere forzato per adattarsi alle aspettative del Terzo mondo. Il 1956 a Suez fu il clou esaltante di quell'impegno: non servì a nulla a Francia e Inghilterra sbaragliare l'Egitto in una guerra sbagliata e anacronistica. Israele allora credette utile mettersi al servizio dell'ultima fiammata del colonialismo europeo e subì più umiliazioni che gratificazioni scontrandosi con la politica decisamente post-coloniale degli Stati Uniti. Il declino della causa araba cominciò nel 1967 con la guerra dei sei giorni e si precisò nel 1977 quando Sadat andò alla Knesset a concordare i termini della resa. Il bipolarismo Est-Ovest non dava nessuna copertura alla causa araba. L'errore strategico di Israele è di non aver colto le diverse opportunità dei vari passaggi adottando lo stesso schema dell'autodifesa preventiva per esibire sempre e solo la forza militare. L'invasione del Libano nel 1982 lo dimostra in modo fin troppo evidente. Invece di rompersi la testa sui «piccoli problemi» delle «piccole patrie», che appartengono al passato (la prima rivolta araba esplose nella Palestina mandataria nei lontani anni Trenta), Israele, palestinesi e arabi farebbero bene a misurarsi con le sfide che riguardano le loro posizioni relative nel sistema globalizzato. La globalizzazione, si sa, si occupa dell'ordine, non delle vittime. Le novità non mancano. Potrebbe essere imminente il superamento dell'era degli idrocarburi da cui dipende l'economia di quasi tutti i paesi arabi della regione. La Palestina ha il vantaggio di non doversi sottoporre a questo tipo di riconversione. Il suo interlocutore obbligato nella transizione è e resterà Israele. E qui si apprezza meglio la differenza fra la guerra e la politica. Le alternative diventano: esclusione o inclusione. Demarcare i confini era il compito del colonialismo. In futuro, con o senza Hamas, conteranno i diritti della cittadinanza (più della sovranità), le funzioni e le specialità (più dell'origine etnica). Se Israele è la forza vincente, incombono su Israele le responsabilità maggiori. Deve scegliere molto semplicemente se accanirsi contro i vinti (i palestinesi) o contribuire al loro riscatto.


Giampaolo Calchi Novati

07/01/09

CAPITALISMO E PACIFISMO


Non sappiamo ancora se l’attuale crisi economica sia paragonabile a quella devastante del 1929-32 o se si tratti di una normale crisi ciclica destinata a risolversi presto. Se la prima ipotesi dovesse rivelarsi fondata, è utile riflettere su quanto accadde in quegli Anni Trenta, non perché la storia si ripeta tale e quale ma perché esistono comunque delle costanti che chi ragiona di politica non può ignorare. La vulgata propinata nelle scuole afferma che dalla crisi si uscì grazie alle misure prese dal New Deal di Roosevelt, misure sostanzialmente keynesiane. Fu una svolta significativa, come lo è l’attuale intervento statale a salvare banche e imprese dopo trent'anni di martellamento ideologico sul Mercato che si autoregola. Fu una svolta significativa ma non risolutiva. Nel 1939 il Pil degli Usa era ancora inferiore a quello di dieci anni prima. Dalla crisi si uscì veramente grazie alla Seconda Guerra Mondiale. Fu un affare colossale per l’alta finanza e la grande industria americane. Mentre i nazisti sterminavano milioni di giudei, slavi, zingari, gli ebrei e i massoni che contavano rimettevano in piedi un sistema fortemente scosso, con la guerra e il grandioso affare della ricostruzione. La guerra mondiale fu l’occasione per ripristinare un sistema ferito a morte. Mutatis mutandis, la storia potrebbe ripetersi. Se i normali strumenti per rimettere in moto la globalizzazione del capitale non dovessero essere sufficienti, una guerra capace di provocare il più diffuso macello di carne vivente che il pianeta abbia visto dai tempi dell’estinzione dei dinosauri sarebbe la soluzione più probabile. Una guerra senza Guerrieri, del tutto anacronistici da quando non si combatte più con la clava e con la spada, una guerra di droni, di robot, di ordigni teleguidati, di veleni chimici e radioattivi. Marciume e merda, non sangue di Eroi. I detonatori sono già tutti pronti nel grande vortice che configura un cerchio col centro nella penisola arabica, la culla delle civiltà e delle grandi religioni monoteiste. La circonferenza passa dal Caucaso, scende fino alla penisola indiana comprendendo Afghanista e Pakistan, piega verso ovest includendo Iran e penisola arabica, si stende sull’Africa orientale (Somalia, Etiopia, Sudan), risale attraversando il Mediterraneo all’altezza del mare Adriatico, punta a est comprendendo la penisola balcanica, si chiude di nuovo nel Caucaso passando per il confine russo-ucraino, destinato a diventare caldissimo. Se divamperanno senza più controllo tutte le tensioni già innescate in questa vasta area, esploderà il mondo intero. Ecco perché mobilitare tutte le energie ancora non ottenebrate dal lavaggio del cervello e dall’inciucchimento da droghe, per cercare di imporre la pace, o di impedire che scoppi un conflitto incontrollabile, è un obiettivo di primaria importanza. Non sarebbe il pacifismo generico delle anime belle. Niente da spartire con gli arcobaleni. Sarebbe la lucida strategia rivolta a impedire che le centrali dell’Impero tricefalo, New York, Londra, Tel Aviv, ricorrano al solito strumento estremo che consenta loro di rimettere in piedi il meccanismo che ci sta stritolando, perpetuando il folle pendolo della produzione frenetica cui segue la distruzione per ricostruire secondo la stessa delirante coazione a ripetere. Lottare per la pace significa impedire ai Signori della finanza di uscire a modo loro dalle strettoie che essi hanno creato. Significa smascherare la realtà della follia in cui ci hanno scaraventati, perchè la crisi economica non è una sciagura da cui uscire il più presto possibile ma l’occasione di una svolta finalmente radicale: fare della crisi del capitalismo la fine della modernità. Si delinea un obiettivo unificante per le opposizioni vere: imporre la pace perché la crisi faccia il suo corso fino in fondo.


Luciano Fuschini

05/01/09

ULTIM'ORA


Clamorose indiscrezioni trapelano dall’indagine del S.SE.T. (servizio segreto teserano) in corso sui noti fatti di nera di piazza Battisti. Il blog grazie a una “gola profonda” del Servizio è in grado di anticipare ai lettori cosa si nasconda veramente dietro il misterioso atto vandalico perpetrato nella notte del 31 dicembre a Tesero e perciò denominato dagli inquirenti Operazione San Silvestro. Dunque, secondo l’anzidetta fonte, i sacrileghi smembramenti del Bambinello del presepe non sarebbero da imputare né a un borderline, né a terroristi di Hamas, né a giovinastri impasticcati e bevuti. Tutt’altro! L’esecrabile gesto sarebbe stato commissionato da operatori turistici del luogo ed eseguito materialmente da un membro dell’Associazione Amici del Presepio che nell’inchiesta, per ovvie ragioni di sicurezza, viene identificato con l’appellativo “Cracovia”. È ancora a piede libero, ma, già informato dell’azione giudiziaria nei suoi confronti, sarà interrogato a breve. La tresca sarebbe stata ordita da alcuni albergatori locali col preciso intento di sostentare il settore ricettivo durante il periodo di magra, che fisiologicamente si protrae dall’Epifania sino alla Marcialonga. Con questa “trovata” i malfattori intendevano stimolare, quantomeno per quell’intervallo temporale, il cosiddetto pellegrinaggio del dolore, già sperimentato con successo in altri luoghi d’Italia: Vermicino, Cogne, Erba, eccetera. Una strategia di incentivo turistico di recente invenzione ma in forte espansione. Questi i fatti sin qui accertati. Restano però ancora interrogativi irrisolti.
Soprattutto non è stato ancora chiarito come questo deprecabile imbroglio sia potuto accadere senza che il presidente dell’associazione (che, ricordiamo, è anche assessore del Comune), ne fosse a conoscenza. Si ipotizza che il “Cracovia” sia stato contattato e prezzolato per agire autonomamente. L’uomo – secondo gli inquirenti uno degli esponenti più in vista dell’A.A.d.P. – sapeva perfettamente che il Bambinello esposto in piazza Battisti era in realtà solo una copia dell’originale e non ha dunque esitato ad infierire sul simulacro con furore inaudito. La statua originale, di inestimabile valore artistico, è invece custodita in una segreta del palazzo municipale, sorvegliata notte e giorno da 4 dipendenti comunali. Il danno venale provocato dalle mutilazioni alla statuetta sarebbe quindi del tutto irrilevante: il fantoccio verrà semplicemente sostituito. Il diabolico piano faceva altresì conto che all’atto vandalico seguisse una veemente reazione da parte del presidente dell’A.A.d.P. Reazione che, puntualmente, non si è fatta attendere. Infatti, il presidente, in veste di assessore, dopo aver convocato d’urgenza la Giunta comunale per relazionare sui fatti – cui è seguita una accesa discussione subito sospesa perché disturbata da petardi e fuochi d’artificio che sfioravano le finestre di palazzo Firmian – ha immediatamente contattato il principe del giornalismo fiemmese commissionandogli un articolo “a tinte forti e chiare” che producesse un pronto riscontro mediatico. Era questa in definitiva la conditio sine qua non di tutta l’Operazione San Silvestro: suscitare sdegno e amplificarne l’eco il più lontano possibile. Così in effetti è stato. La notizia si è sparsa in un battibaleno oltre i confini della vallata e già giunge voce che in varie città della penisola i tour-operator stiano freneticamente organizzando prossime trasferte a Tesero di affranti e prostrati pellegrini, ovvero di autentici “voyeur”, per far visita al Piccolo Mutilato. Guardoni e pellegrini che, finita la visita, ingorgheranno nuovamente il paese, riempiendone gli alberghi per le settimane di gennaio a venire. È probabile a questo punto che la taglia venga ritirata con buona pace dei tanti improvvisati bounty killer, che si erano attivati con la speranza di portarsi a casa una comoda mensilità aggiuntiva. Agli inquirenti, come anzidetto, rimane ancora un dubbio non da poco: capire se il presidente dell’A.A.d.P. sia veramente estraneo ai fatti, ovvero abbia giocato abilmente un ruolo non secondario in questa desolante vicenda. Ci sono in verità molte coincidenze sospette. Se queste venissero suffragate da riscontri probatori, a breve potrebbero aversi serie conseguenze a catena anche a livello istituzionale. Addirittura una improvvisa crisi di Giunta e il probabile conseguente scioglimento del Consiglio comunale. Staremo a vedere.

Ario Dannati

04/01/09

WANTED


Alla fine carabinieri e polizia si sono arresi e hanno gettato la spugna. L’inchiesta passerà direttamente nelle mani del S.SE.T. (servizio segreto teserano). L’ultimo recentissimo inqualificabile atto di vandalismo perpetrato ai danni del presepio in grandezza naturale di piazza Battisti ha determinato il passaggio dell’inchiesta, che da tempo brancolava nel buio, dalle forze di polizia governative all’intelligence locale. Un salto di qualità deciso in tutta fretta dalla giunta comunale di Tesero convocata d’urgenza nella notte di Capodanno. Per corroborare il frenetico lavoro degli investigatori la Giunta ha deciso di mettere una taglia di € 500,00 sulla testa degli anonimi (ancora per poco) criminali. La notizia ha fatto rapidamente il giro del piccolo borgo montano scatenando isteriche reazioni di sdegno ed esecrazione. Nel paese si sono subito attivate ronde di improvvisati bounty killer che nottetempo si aggirano lungo i collegamenti tra le Corte alla ricerca di un segno, di una traccia, che tradiscano il/i criminale/i, nonché gruppi di cecchini che dal tetto della Cassa rurale, sorvegliano a distanza di fucile la piazza. In questo clima da caccia all’uomo abbiamo saputo, da fonti interne all’agenzia spionistica locale, che si stanno battendo tutte le piste possibili, nessuna esclusa. Ma due sono quelle più accreditate. La prima, procedente all’interno di un torbido scenario di solitudine, vedrebbe protagonista degli efferati episodi un borderline locale che, accecato dall’ira per la condizione privilegiata del piccolo Gesù, riscaldato da un bue e un asino e attorniato da amorevoli personaggi, cadrebbe preda di un irrefrenabile raptus distruttivo. Sarebbe il contrasto tra la sua condizione di emarginato e gli agi di cui godono il Bambinello e la Sacra famiglia, a fare da innesco alla violenta reazione ogniqualvolta lo sconosciuto si trovasse a passare davanti alla santa capanna. La seconda pista che il S.SE.T. sta battendo porta nientemeno che a Gaza. Dietro le orribili mutilazioni inferte alle statue si nasconderebbero attivisti palestinesi di Hamas, che, nulla potendo contro l’impressionante potenza di fuoco dell’esercito israeliano, quale rappresaglia indiretta per gli smembramenti umani di bambinelli palestinesi in carne ed ossa, avrebbero deciso di reagire contro il simulacro della Natività che fu all’origine di quell’odio millenario che sta determinando, per l’ennesima volta, un bagno di sangue di vittime innocenti. Da indiscrezioni esisterebbe infine un terzo filone d’indagine, sul quale però gli inquirenti mantengono la massima cautela. I sacrileghi vandalismi, in questo caso, sarebbero da ascrivere alla microcriminalità locale, dietro cui non si celerebbe alcuna rivendicazione sociale od ideologica. Ma semplicemente frutto della noia e della frustrazione sempre più diffuse tra la gente del posto. Su questa pista però, ripetiamo, vige il più stretto riserbo.

Ario Dannati

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

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Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
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MINU

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