14/06/08

14 GIUGNO - SAN LISEO: SAGRA DE TIESER


Ancö l’è sagra. Te strada se sènte ’l profümo de i gróstoli e de i cròfeni appena sfredai. Into te casa ’nvesse gh’è odor de ojo brüsà: ghé volerà ’n pöchi de dì parché ’l sé n’ vaghe…e ’ntanto sül campanil ’l Pierpaolo ’l sé la gode.
Gli alpini faranno polenta con musica di sottofondo tirolese. Finita la marena, tesi de polenta e de lüganeghe, il vino defluito copioso dalle bocche agli stomaci comincerà a stornare le teste. Lentamente il vociare apparirà più lontano e una soave tranquillità farà dimenticare per un po’ gli assilli. Poi, per quelli più astemi, impazzerà la gara di Batten. Si farà tibüsco de giane o de föe, de cöri o de baloni. Si ammazzerà de dreto o de bonissimo... Sarà a quel punto che Ciccio-one-man-band darà fuoco alle polveri. Le musiche tirolesi si zittiranno e partirà la frenesia delle danze. Chi ne avrà, ne avrà. Gli altri guarderanno. In qualche punto più defilato della festa, di nascosto, ma non troppo, si udiranno gli schiamazzanti morristi: növe! treeeemendo! caaaterina!… E al calar della sera, la Banda.
Ma quanti si chiederanno il perché di tutto questo? Quanti ringrazieranno il nostro celeste Protettore per codesta mirabile allegrezza? E quanti si chiederanno se mai Tesero avrebbe potuto darsi un Patrono meno importante di Eliseo? Mah? Forse non tutti i miei cari compaesani lo sanno, ma noi teserani, abitatori di uno dei più esclusivi siti del pianeta, abbiamo il privilegio di aver dedicato (chissà poi quanto consapevolmente) la nostra amata Parrocchiale a un Santo al quale quasi nessun’altra chiesa (o forse addirittura nessun’altra!) è stata dedicata. Soltanto col senno di poi si riesce a capirne il perché. Un Supersanto prodigo di miracoli che sono molti di più dei soliti tre che si racconteranno oggi durante la predica. Sì, soltanto San Liseo poteva patrocinare questo paese e questa comunità.

Vissuto in Israele nel secolo IX a. C., Eliseo, il cui nome significa "Dio salva", per scelta divina fece parte del seguito di Elia che lo consacrò suo successore prima di scomparire misteriosamente. Era un ricco possidente, originario di Abelmeula. Eliseo era un uomo deciso e lo dimostra la prontezza con cui rispose al gesto simbolico di Elia che, per ordine di Jahvè, lo consacrava profeta e suo successore. "Elia andò in cerca di Eliseo e lo trovò che stava arando: aveva davanti a sè dodici paia di buoi; egli arava col dodicesimo paio. Giunto a lui, Elia gli gettò addosso il proprio mantello. Allora Eliseo, abbandonati i buoi, corse dietro a Elia e gli disse: Permettimi di passare a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò. Elia gli disse: Va' e torna presto, poiché tu sai ciò che ti ho comunicato. Eliseo, allontanatosi, prese un paio di buoi e li immolò, quindi col legno dell'aratro e degli strumenti da tiro dei buoi ne fece cuocere le carni e le dette a mangiare ai suoi compagni di lavoro. Poi partì e seguì Elia, mettendosi al suo servizio". Il ricco agricoltore, con quel gesto significativo, voleva dire al suo maestro che ormai era disposto a rinunciare a tutto per rispondere in pieno alla vocazione profetica. E con altrettanta prontezza eseguì gli ordini del maestro fino al momento del misterioso commiato, oltre il Giordano, quando Elia scomparve dentro un turbine di fuoco. Elia gli aveva chiesto: "Che cosa vuoi, prima che io parta dalla terra?". La richiesta di Eliseo non fu di poco conto: "io chiedo che abiti in me uno spirito doppio del tuo". Gli era stato fedele discepolo per sei anni, ora gli avanzava la sua richiesta di eredità, non in beni materiali, ma in virtù carismatica. La domanda di Eliseo venne esaudita. Egli è, infatti, il più taumaturgico dei profeti. L'elenco completo dei suoi miracoli non è disponibile, eccone alcuni: 1 - con una manciata di sale rese potabile l'acqua di Gerico; rese inesauribile l'olio d'oliva di una vedova; 2 - risuscitò il figlio della sunamita che lo ospitava; 3 - moltiplicò i pani sfamando un centinaio di persone; 4 - guarì dalla lebbra Naaman, generale del re di Damasco. Operò miracoli anche dopo la morte: un morto, gettato frettolosamente sulla tomba del profeta da un becchino impaurito dall'arrivo di alcuni predoni "risuscitò, si alzò in piedi e se ne andò". Il profeta Eliseo morì verso il 790 a.C., e venne sepolto nei pressi di Samaria, dove ai tempi di S. Girolamo esisteva ancora il suo sepolcro.

Un devoto

13/06/08

LA SUPERFICIE DELLE COSE


Le notizie ci invadono, ci sporcano tutti i giorni. E’ solo superficie. I nomi dei santi presi a prestito dal calendario. San Raffaele, Santa Rita. Per rubare i contributi alla Regione Lombardia. Polmoni asportati, cardiopatici operati di tumori inesistenti. Hanno superato Dario Argento e Sthephen King. Una sceneggiatura degna del dottor Mengele. Ma è solo superficie. La magistratura imbavagliata, la conclusione del Piano di Rinascita Nazionale di Licio Gelli. Le intercettazioni della magistratura proibite in nome della privacy di Anna Falchi e degli interessi dell’intera classe politica, con l’unica eccezione di Kriptonite Di Pietro. Tutti i delinquenti fuori per salvarne uno solo. Morfeo Napolitano benedice le larghe intese per mettere il bavaglio alla Giustizia. Un presidente di garanzia dei partiti, non dei cittadini. Ma anche lui, come Alfano, Violante e Mancino è solo superficie. Il flusso dei fondi europei. Miliardi di euro provenienti dalle tasse degli italiani destinati, con una firma, senza controlli, da funzionari ammaestrati di Bruxelles a Campania, Calabria, Sicilia. Alla criminalità organizzata e a amministrazioni pubbliche corrotte. Finanziate attraverso un giro conto Roma/Bruxelles/Mezzogiorno. L’origine del voto di scambio. Luigi De Magistris, che indaga, è prima esautorato e poi riabilitato, ma senza più inchieste, nel silenzio dei media. E’ sempre e solo superficie. Sotto la superficie c’è l’italiano. Che tira a campare. Che non legge, non si informa, ed è, per dirlo con una bella parola, un ignorante. Sotto la superficie c’è sempre un veneto, un siciliano, un valdostano, non un cittadino italiano. La solidarietà si ferma alla porta della regione, del comune, del condominio. Sotto il fallimento dell’Italia, il suo fallimento economico, ma soprattutto morale ed etico c’è l’italiano. Una volta era solo l’italiano medio, ora è anche il medio alto e il medio basso, il medio sinistro e il medio destro. Ogni giorno ci sono nuovi sintomi, nuovi delinquenti, nuove leggi vergogna. Non siete stanchi di rincorrerli? Fermatevi, guardatevi allo specchio e dichiaratevi colpevoli.

12/06/08

LA LEGGE ARSENIO LUPIN


Pierpaolo Brega Massone, nomen omen, capo della chirurgia toracica nella clinica Santa Rita convenzionata con la Regione Lombardia, l’uomo che in un sms si definiva “l’Arsenio Lupin della chirurgia”, è decisamente sfortunato. Se avesse atteso la legge Berlusconi sulle intercettazioni prima di architettare le truffe e gli scambi di fegati, polmoni, milze e cistifellee contestati dagl’inquirenti, sarebbe libero di proseguire i suoi maneggi con rimborso a pie’ di lista con i colleghi e/o complici. Invece è stato precipitoso. Uomo di poca fede, ha sottovalutato le potenzialità impunitarie del premier. Ora qualcuno parlerà di “arresti a orologeria” (nella solita Milano) per bloccare la mirabile riforma del Cainano: per non disturbare, gli inquirenti milanesi avrebbero dovuto aspettare qualche altra settimana e lasciar squartare qualche altra decina di pazienti. Perché quel che emerge dalle intercettazioni dell’inchiesta sulla clinica Santa Rita fa piazza pulita di tutte le balle e i luoghi comuni che la Casta, anzi la Cosca sta ritirando fuori per cancellare anche l’ultimo strumento investigativo che consente di scoprire i suoi reati. Le intercettazioni dei simpatici dottori sono contenute nelle ordinanze di arresto, dunque non sono più segrete, ergo i giornalisti le pubblicano. Qualcuno può sostenere che così si viola la privacy degli arrestati? O che, altra panzana a effetto, si viola la privacy dei non indagati? Sappiamo tutto delle malattie dei pazienti spolpati in sala operatoria per incrementare i rimborsi regionali: più violazione della privacy di questa, non si può. Eppure nemmeno la privacy dei pazienti innocenti, anzi vittime, può prevalere sul diritto dei cittadini (comprese le altre vittime reali o potenziali della truffa) di sapere tutto e subito. Sì, subito, con buona pace dei vari Uòlter, che ancora la menano sul divieto di pubblicare intercettazioni pubbliche fino al processo (che si celebrerà, se va bene, fra 3-4 anni). Restano da esaminare le altre superballe di marca berlusconiana (ma non solo). 1) Le intercettazioni in Italia sarebbero “troppe”. Il Guardasigilli ad personam Alfano dice addirittura che “gran parte del Paese è sotto controllo”. Figuriamoci: 45 mila decreti di ascolto all’anno, su 3 milioni di processi, sono un’inezia. Le intercettazioni non sono né poche né troppe: sono quelle che i giudici autorizzano in base alle leggi vigenti, in rapporto all’unico parametro possibile: le notizie di reato. In Italia ci sono troppi reati e delinquenti, non troppe indagini e intercettazioni. L’alto numero di quelle italiane dipende dal fatto che da noi possono effettuarle solo i giudici, con tutte le garanzie dal caso, dunque la copertura statistica è del 100%. Negli altri paesi a intercettare sono soprattutto servizi segreti e polizie varie (in Inghilterra addirittura il servizio ambulanze e gli enti locali), senz’alcun controllo né statistica. 2) Le intercettazioni andrebbero limitate in nome della privacy. Altra superballa: la privacy è tutelata dalla legge sulla privacy, che però si ferma là dove iniziano le esigenze della giustizia. Ciascuno rinuncia a una porzione della sua riservatezza per consentire allo Stato, con telecamere sparse in ogni dove e controlli svariati, di reprimere i reati e proteggere le vittime. 3) Le intercettazioni “costano troppo”. Mavalà. A parte il fatto che costano molto meno di quanto fanno guadagnare allo Stato (due mesi di ascolti a Milano sulle scalate bancarie han fatto recuperare 1 miliardo di euro, quanto basta per finanziare 4 anni d’intercettazioni in tutt’Italia, che nel 2007 son costate 224 milioni), potrebbero costare zero euro se lo Stato, anziché pagare profumatamente i gestori telefonici, li obbligasse - sono pubblici concessionari - a farle gratis. Un po’ come si fa per le indagini bancarie, che gli istituti di credito - pur essendo soggetti privati - svolgono gratuitamente. 4) I giudici - si dice - devono tornare ai “metodi tradizionali” e intercettare di meno. Baggianata sesquipedale: come dire che i medici devono abbandonare la Tac e tornare allo stetoscopio. Una conversazione carpita a sorpresa è un indizio molto più sicuro e genuino di tante dichiarazioni di testimoni o pentiti. E poi di quali “metodi tradizionali” si va cianciando? Se nessuno più parla perché i collaboratori di giustizia sono stati aboliti per legge (art. 513, “giusto processo”, legge sui pentiti) e l’omertà mafiosa viene pubblicamente elogiata (“Mangano fu un eroe perché in carcere non parlò”), come diavolo si pensa di scoprirli, i reati? Travestendosi da Sherlock Holmes e cercando le impronte con la lente d’ingrandimento? Inventatevene un’altra, per favore.

Marco Travaglio

11/06/08

TORTURE GALLEGGIANTI


Se avesse riguardato la Russia o la Birmania la notizia sarebbe apparsa su tutte le prime pagine dei più importanti giornali italiani. Trattandosi ovviamente dell’amico Bush e degli alleati americani (ancora più “intimi” con il nuovo governo di centrodestra), per scoprire qualcosa bisogna addentrarsi nelle nebulose pagine interne. Lo scoop è rivelato dal quotidiano londinese Guardian, che di giornalismo serio evidentemente se ne intende. Il rapporto choc rivela che in almeno 17 navi militari americane che solcano le acque degli oceani si trovano “presunti” terroristi da torturare e umiliare, allo scopo di estorcere informazioni nell’interminabile lotta al terrorismo internazionale. Una specie di “Guantanamo galleggiante”. Questa pratica assolutamente illegale e terrorista, applicata su vasta scala dal “democratico” Bush almeno dal 2001, ha coinvolto più di 50.000 detenuti (ma c’è chi addirittura afferma 80.000). L’indiscrezione è trapelata da un rapporto di Reprieve, un organizzazione non governativa britannica che si batte per la difesa dei diritti umani. Un portavoce della marina militare Usa ha smentito seccamente: “Non ci sono prigioni sulle navi americane”. Come a dire: vi siete inventati tutto. Da parte sua l’avvocato Clive Stafford Smith, responsabile legale della Ong, ha dichiarato al Guardian: “Gli Stati Uniti detengono per loro stessa ammissione, 26 mila persone in prigioni segrete”. E conclude: “E’ ora che l’amministrazione americana riveli chi è questa gente, dov’è e che cosa è stato loro fatto”. I detenuti vittime di torture e violenze sono semplicemente “sospettati di terrorismo”, senza un giusto ed equo processo, in mancanza di qualsiasi incriminazione oggettiva. Quella portata avanti impunemente dagli Stati Uniti è una pericolosa operazione di terrorismo internazionale e di non rispetto dei diritti umani sanciti nella Convenzione di Ginevra. Ancora una volta dobbiamo constatare con amarezza che l’amico Bush e la cricca al potere alla Casa Bianca continuano a pontificare di democrazia e diritti umani, a condannare pubblicamente gli altri paesi che non si adeguano agli standard statunitensi, a minacciare di guerra chi vuole solo approvvigionarsi di energia nucleare per scopi civili (con le pericolose testate atomiche di Israele orgogliosamente rimpinzate dalle forze armate Usa) e nello stesso tempo continuano a violare essi stessi ogni minima regola morale, civile, umana e legale. “God Bless America”. Speriamo che Dio benedica anche i non americani.


Elia Banelli

09/06/08

IL FINANCIAL TIMES: COSA ACCADDE ALL'EDIFICIO 7?

Dopo 7 anni il Financial Times si degna di chiedere: «come può un edificio di 47 piani crollare senza essere colpito a velocità di caduta libera e nel suo perimetro»? Forse perché questo edificio ospitava un bunker segreto della CIA dove avvenne il controllo dell'operazione 9/11? Il NIST non è ancora riuscito a dare una spiegazione ufficiale: troppo difficile coprire imbarazzanti evidenze. La domanda è vecchia, vecchissima. La novità è che, sette anni dopo l'11 settembre 2001, se la pone il Financial Times. L'evento è storico, e varrà la pena di segnarsi la data: 6 giugno 2008. Il più autorevole dei «mainstream media», dei grandi giornali, pone la domanda. Senza un plausibile motivo di attualità per rivangare quel momento (1). Per tutti coloro che cercano la verità sull'11 settembre, l'Edificio 7 è il terzo grattacielo che collassò quel giorno. Un edificio di 47 piani, parte del complesso urbanistico World Trade Center, che crollò senza essere colpito da alcun aereo, nota il FT, «a velocità di caduta libera e nel suo perimetro», ossia in perfetta verticale. Il fatto più strano, rievoca il quotidiano finanziario, è che «la BBC riferì il crollo dell'Edificio 7 mezz'ora prima che avvenisse». La giornalista Jane Standley stava apparendo in diretta, alle ore 4.45 pomeridiane, e annunciò il crollo della terza torre – e dietro di lei, sullo sfondo, si vedeva che la Torre 7 era ancora in piedi. Affondò solo 26 minuti dopo. Per questo video, ripreso su YouTube, «il sito web della BBC è stato bombardato di domande ed accuse. Richard Porter, capo del notiziario internazionale della BBC, ha dovuto negare che la BBC recitava dal copione di Bush», scrive il Financial Times. Porter s'è giustificato adducendo la confusione di quel giorno. «La CNN aveva appena prima riferito di voci che un terzo edificio era crollato o stava per crollare». I sospetti dei sospettosi sono aggravati dal fatto che «Porter ha ammesso che la BBC non ha conservato le registrazioni originali di quel suo reportage». L'imbarazzante immagine della BBC: l'annuncio del crollo della torre 7 mentre svetta alle spalle di Jane Standley. Non basta. Il Financial Times ricorda che l'Edificio 7 aveva «alcuni inquilini interessanti». La maggior parte dell'edificio era affittato alla Solomon Brothers, la banca. Ma il nono e decimo piano «erano occupati dal secret service». Ai tre piani superiori c'erano uffici della SEC, l'ente di controllo della Borsa (il WTC è a due passi da Wall Street). Inoltre, «il New York Times riferì che l'edificio ospitava anche un ufficio segreto gestito dalla CIA e dedicato a spiare e reclutare diplomatici stranieri delle Nazioni Unite. La perdita della stazione “ha seriamente disorganizzato le operazioni d'intelligence”, riportò il NYT. «La CIA condivideva un piano con il Dipartimento Difesa e con l'Internal Revenue Service», il servizio tributario federale. Poi, nel seguente capoverso, il quotidiano di Londra butta lì una frase: «Il crollo dell'edificio ha anche spazzato via l'Ufficio per la Gestione dell'Emergenza del comune di New York al 23 mo piano». Questo centro di gestione delle emergenze è una delle cose più sospette di tutta la vicenda, anche se il FT non lo dice. Il sindaco Rudolph Giuliani lo fece costruire adducendo il timore di un attacco all'antrace su New York, da parte di...Saddam Hussein. Perciò lo volle resistente agli aggressivi biologici e chimici, oltre che a bombe e a proiettili d'artiglieria. Era un vero e proprio bunker, che occupava tre piani del Building 7 (dal 23mo al 25mo), completamente corazzato ed autosufficiente: finestre anti-proiettile, tre generatori d'elettricità con 6 mila galloni di gasolio per farli funzionare, una sua propria scorta d'aria sì da non doverla ricevere dall'esterno, una riserva d'acqua potabile di 11 mila galloni. Il bunker fu completato, guarda la preveggenza, nel giugno del 1999, al costo per il contribuente di 13 milioni di dollari. Un bunker super-sicuro. Tranne un piccolo, trascurabile dettaglio: l'Edificio 7 nascondeva, nei suoi primi cinque piani, una sotto-stazione dell'elettricità di New York, con trasformatori colossali da 13.890 volt e un serbatoio di gasolio per la stazione da 42 mila galloni. Mettere un bunker sopra trasformatori enormi e un mare di carburante, e ritenerlo sicuro dagli attentati terroristici, sembra un pochino strano. Secondo il movimento per la verità sull'11 settembre, questo bunker servì in realtà come cabina di regia per le pirotecniche esplosioni e demolizioni che configurarono il mega-attentato di quel giorno: i registi, chiunque fossero, potevano sincronizzare le esplosioni da una qualche console e osservare l'effetto dalle finestre corazzate, molto da vicino, senza essere soffocati dalle nubi di polveri e detriti perché disponevano di aria in circuito chiuso. Per Eric Hufschmid, uno dei primi a sollevare la questione (2), in quel bunker poteva esserci stato anche un radiofaro (un «homing device») che guidò i due aerei che colpirono le due Torri. Lo si indovina dalle rotte dei due apparecchi: il volo 11, che colpì la Torre Nord passò direttamente sopra l'Edificio 7, e il volo 175 dirigeva verso l'Edificio 7, ma incontrò la Torre Sud. Ciò può spiegare come mai, a cose fatte, l'Edificio 7 doveva essere distrutto: per far sparire le prove della regia. Il Financial Times ricorda i sospetti sollevati dalla frase di Larry Silverstein, il proprietario per 99 anni del WTC: intervistato il pomeriggio, egli disse d'aver consigliato il comandante dei vigili del fuoco di «pull» l'Edificio 7. Più tardi Silverstein spiegò che aveva inteso: porta via i tuoi vigili da lì. I sospettosi dicono che «pull it» è la parola che nel gergo delle demolizioni controllate significa «tiralo giù». Il giornale britannico ricorda che il National Institute of Standard and Technology (NIST), l'ente governativo che ha preteso di spiegare il collasso delle Torri come conseguenza dell'impatto degli aerei, escludendo ogni mistero, non ha ancora spiegato a modo suo il crollo dell'Edificio 7. «Il NIST sostiene che il ritardo è dovuto alla complessità del modello computerizzato che usa. Inoltre, sono state trovate 80 scatole di documenti riguardanti il WTC7 che devono essere esaminate». Ma il NIST ha già «un'ipotesi di lavoro», e sarebbe questa: «Il fuoco o macerie infiammate staccatesi dalla Torre Nord hanno danneggiato una colonna critica per il sostegno del tetto di 2 mila metri quadri. I piani sottostanti sono stati incapaci di redistribuire il peso e la struttura è caduta su se stessa. Il fatto che il collasso sia stato causato da un danno interno spiegherebbe l'apparenza di demolizione controllata, con un campo di caduta piccolo». Il NIST ha promesso di pubblicare i dati il prossimo agosto, dice il Financial Times. Ma naturalmente, «questo ha alimentato il sospetto che i tecnici abbiano difficoltà a tirar fuori un depistaggio plausibile» per il crollo. Vedrete che quando il rapporto del NIST uscirà, tutti i debunker, a cominciare da Introvigne, si precipiteranno a citarlo come «autorevole» e non solo «plausibile», ma tale da smentire i «complottisti». Sette anni sono passati, e siamo ancora a questo punto. Saremo alluvionati di dettagli tecnici sulla resistenza dei materiali, la temperatura del fuoco, i modelli computerizzati che mostrano come i pavimenti siano caduti l'uno sull'altro a fisarmonica... Siccome tutto questo ha quasi convinto qualche lettore che ci ha recentemente scritto, ci limitiamo a ricordare quello che, in sette anni, non è stato ancora messo in luce. Credere che un grattacielo alto mezzo chilometro, colpito «lateralmente» da un aereo, crolli «verticalmente» dentro il suo perimetro, significa ignorare le più banali leggi della fisica e sfidare la forza di gravità. A sette anni dai fatti, chi ancora ne discute è in malafede. Però può avvenire, diranno i debunker. Forse, una volta. Ma due, anzi tre volte, con l'Edificio 7? Quando a Las Vegas un giocatore, lanciando i dadi, ottiene tre volte 6, il croupier chiama al telefono il gestore del casinò, e due signori molto muscolosi si affiancano al giocatore fortunato dai due lati: evidentemente a Las Vegas non credono alla sorte, quando è ripetitiva. Questa immagine difatti mostra l'edificio 5 «completely charred» ma in piedi (destra) e l'edificio 7 (sinistra) «pull it». Ora, noi dobbiamo credere che per ben tre volte due torri colpite di lato sono cadute in verticale, e la terza, Edificio 7, è caduta da sé senza essere nemmeno colpita, per un «danno interno»: e anch'essa in perfetta verticale, come in una demolizione controllata. Se il caso si ripete così regolarmente, s'impone la domanda: come mai gli ingegneri specialisti spendono tanti soldi e tempo per identificare gli snodi dove piazzare le cariche esplosive, e in calcoli per sincronizzare le esplosioni, onde ottenere la caduta verticale? Ormai dovrebbero essere coscienti della nuova legge fisica: diano una bella botta laterale, anche a casaccio, e il grattacielo cade comunque in verticale. Tutta la fatica degli ingegneri specialisti sta nell'assicurare una perfetta «sincronia» dello scoppio delle varie cariche. I pilastri e le strutture portanti devono essere spezzati nello stesso decimo di secondo, altrimenti il grattacielo cade di lato, abbattendo le costruzioni sottostanti. L'impresa richiede chilometri di cavi, una quantità di inneschi elettronici, sofisticati software, una sofisticata consolle elettronica di comando e molte conoscenze tecniche complesse. Ora, invece, siamo tenuti a credere che un aereo, penetrando nei piani alti delle Towers, ha tranciato contemporaneamente le ben 47 colonne d'acciaio che le reggevano. Colonne a scatolato (parallelepipedi) di spessore variabile; ma alla base le scatole avevano lati spessi 10 centimetri d'acciaio, per poi assottigliarsi via via con l'altezza, dovendo reggere un peso via via minore. Ora, un aereo è d'alluminio, è vuoto, è leggero (tranne le turbine-motore, che sono massicce): se credete che tagli blocchi d'acciaio, allora provate a tagliare il pane con una lama di carta stagnola. Ma soprattutto, non può averle tranciate «nello stesso istante». Anche questo è contro alle più ovvie leggi della fisica. Sono passati sette anni, e nessun fenomeno del genere s'è mai più ripetuto. Né mai si è verificato sette anni prima, o dieci, o venti. Fin qui l'elenco delle «impossibilità». La torre 7 dopo l'ordine di «pull it»: una demolizione controllata a regola d'arte. Adesso - a beneficio dei lettori che si lasciano ancora convincere dalle «spiegazioni tecniche» degli Introvigne ed Altissimo - esponiamo le ipotesi. Si tratta di ipotesi, non di certezze: ma a sette anni di distanza, il quadro nelle menti dei ricercatori della verità sull'11 settembre è abbastanza avanzato, da poterle dichiarare come plausibili. Gli aerei non hanno fatto crollare nulla: sono stati lanciati contro le Torri solo per la scena televisiva, per asserire plausibilmente un attentato islamista. In realtà, le Torri erano state in precedenza «preparate» con cariche esplosive. Più precisamente: con un composto bellico detto Termite, che quando innescato brucia a quasi 3 mila gradi, abbastanza da fondere l'acciaio. La Termite è usata nelle cariche cave delle armi anticarro per perforarne le corazzature. Il professor Steven Jones, docente di fisica alla Brigham Young University, è l'autore di questa ipotesi ed ha condotto gli esperimenti relativi. Ha perso la cattedra. Ciò però, ribattono i debunker, implicherebbe settimane di lavoro da parte di decine di tecnici: cosa impossibile senza dar nell'occhio. I debunker non hanno mai visto le Twin Towers e non dicono - o non sanno - che cosa erano. Erano locali per uffici a noleggio. In ogni momento, qualche azienda faceva trasloco in entrata o in uscita. Nelle viuzze posteriori, il sottoscritto ha visto regolarmente, ogni volta che tornava a Manhattan, una quantità di autocarri di traslochi che scaricavano colli voluminosi e coperti da teli grigi scrivanie, computer, poltrone, mobili da ufficio o qualunque altro oggetto - su è giù dagli ascensori di servizio (il totale degli ascensori e montacarichi era di 155); un viavai di facchini dei traslochi di tante ditte diverse, che portavano su i mobili per i nuovi inquilini, o portavano giù quelli dei vecchi che lasciavano gli edifici. Come si ricorderà forse, la polizia di New York - su segnalazione di una cameriera messicana - arrestò cinque giovanottoni visti dalla cameriera festeggiare l'esplosione dlele Torri, fotografandosi a vicenda con alle spalle le Torri in fiamme; questi giovanotti, tutti israeliani appena dimessi dal servizio militare, lavoravano come facchini per un'agenzia di traslochi, al Urban Moving Systems, di proprietà di un israeliano, tuttora ricercato. Niente di più plausibile del sospetto che fossero la bassa forza: alcuni di quelli che avevano trasportato i materiali necessari all'attentato, esplosivo e cavi, in forma di colli voluminosi e coperti da teli. Il fatto che fossero stranieri spiega alquante cose: fra cui il fatto che nessuno parli. Chi sa, è tornato in Israele e tace. Quei cinque, beccati perché festeggiavano, sono stati «espulsi verso Israele» (sottratti alle indagini) dal procuratore di New York, l'israelo-americano Michael Chertoff, con doppia cittadinanza, oggi ministro della Homeland Security. Se vi aspettate che un giorno parli lui, avrete da aspettare parecchio. Quanto agli ingegneri, è ben probabile che siano militari espertissimi di esplosivi, abituati ad eseguire operazioni «coperte» e a tener la bocca chiusa. Potevano anche essere israeliani tutti, e tutti uccel di bosco. Nei piani sfitti e in attesa di nuovi pigionanti - aziende per lo più - altri uomini lavoravano a stendere moquettes, ad alzare pareti di cartongesso, ad adeguare gli impianti elettrici: decine di tecnici potevano usare fiamma ossidrica e martelli pneumatici senza che in questo, nessuno della «security» avrebbe visto nulla di strano: era la vita di ogni giorno dentro le Twin Tower, nelle entrate posteriori di servizio, fuori dagli sguardi del pubblico. Quelle strade laterali erano spesso chiuse al passaggio della gente da transenne. Che recavano cartelli del tipo: «Scusateci, stiamo lavorando per voi», «Carichi pendenti», «Men at work». Questo accadeva tutti i giorni. Si aggiunga che la «security» delle Twin Towers, l'11 settembre, non era quella solita: il capo era nuovo, era stato appena assunto da un giorno. Era John O'Neill, ex alto funzionario del FBI, che s'era dimesso ad agosto gridando ai quattro venti che la nuova amministrazione Bush ostacolava le ricerche su bin Laden e Al Qaeda. O'Neill è morto sotto le macerie, il primo giorno del suo nuovo impiego. La preparazione possibile degli edifici per la demolizione controllata, se è avvenuta, era avvenuta prima che lui entrasse in servizio. Si aggiunga ancora che «la maggior parte» dei piani erano sfitti, dunque vuoti (le Twin Tower avevano costi proibitivi; per questo Rudolph Giuliani voleva farle abbattere per costruire al loro posto edifici più moderni). Dentro quei piani vuoti, ci poteva lavorare ogni genere di «operai e tecnici», dopo aver chiuso le porte. E tralascio altri particolari, come l'interruzione programmata di corrente il giorno prima, di cui i pigionanti furono preavvertiti: molte aziende dovettero fare il back-up dei loro computer, qualcuno se lo ricordò. Uno di quei qualcuno, un esperto di finanza, ha preferito andare a lavorare a Londra. Massimo Mazzucco ha una sua intervista video. Questa è l'ipotesi. Sette anni dopo, è bene che i lettori comincino a saperla. Ormai, comincia a dire qualcosa anche il Financial Times.

(1) Peter Barber «What happened to Building 7?», Financial Times, 6 giugno 2008.

Maurizio Blondet





08/06/08

LUCIGNOLO, LA FIERA DEI QUARTI DI DONNA


Siccome di tette e culi in tv se ne vedono pochi, ci voleva un programma che aumentasse la dose, magari in prima serata, magari per catturare l'attenzione di un pubblico giovanile, al quale fosse casomai sfuggito qualche quarto di donna. E' ricominciato Lucignolo (Italia1, lunedì). Si inizia la serata con due new-entry, una pisana e una venezuelana. La loro caratteristica è dare la caccia ai calciatori con urletti e mossette. Le abbiamo viste correre sul campo di Coverciano in bikini e abbarbicarsi ai giocatori prima dell'intervento degli addetti alla sicurezza. La foto della stangona venezuelana, sorridente e soddisfatta dell'impresa, mentre viene afferrata dal robusto sorvegliante, l'altro giorno era usata dai giornali per magnificare il programma. Subito dopo, si resta in tema, c'è l'intervista alla moglie di un calciatore. Questa volta si tratta di una bellezza argentina, una bomba immortalata dal calendario, una Yespica di stagione: «che c'ho la faccia da porca?». L'intervistatore, un vero specialista del genere, le chiede come va con il marito: «c'è ancora quella passione dell'inizio, che tu lo vedi e lo sbatti al muro?», e vuole anche sapere «lui a letto come ti conquista?». Seguono le performance di Melita, soprannominata "la diavolita". Si tratta di una ex del Grande Fratello, inviata a Napoli per addolcire con il suo decolleté la triste panoramica della spazzatura. Saltellando da un cassonetto all'altro chiede ai napoletani dove metterebbero i rifiuti, e quelli, dopo averla radiografata, rispondono «sul materasso». Il tour di Lucignolo offre anche i video hard della professoressa che ha fatto scalpore per le sue nudità finite su Internet. I filmati ne immortalano le gioiose scorribande in mezzo a folle di estimatori, in Italia e all'estero. Tutto questo fino all'orario della fascia protetta, superata la quale entriamo «nella nuova Gomorra milanese», cioè siamo introdotti alla visione delle prostitute che esibiscono sul marciapiede la loro merce. La cronista è sull'auto della polizia, la telecamera carrella sui corpi in vendita, poi entra nelle case dove si esercita la prostituzione, alcune di loro, intimorite, piangono. «Siamo al supermercato del sesso» è il trasgressivo commento pescato con cura nel repertorio delle frasi fatte. Il campionario va avanti per più di due ore, con la caratteristica voce fuori campo che annuncia i servizi. Abbiamo tralasciato «la serba senza veli», il gossip di Alfonso Signorini, l'intervista alla scrittrice di «Belle anime porche», quella alla nuova fidanzata di Ricucci. E la partecipazione straordinaria di Anna Falchi.

Norma Rangeri

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

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