15/12/07

SI PUO'!


A Cesare quel che è di Cesare. L’Amministrazione comunale di Tesero, con la riorganizzazione della viabilità interna al paese, ha compiuto un passo importante verso un miglioramento qualitativo del centro paese. Un passo difficile da fare considerato quanto il dover modificare comportamenti scontati e automatici possa provocare risentimenti nell’utenza. Ciò nonostante, la Giunta comunale ha deciso di procedere ugualmente, sfidando l’impopolarità: onore al merito dunque ai nostri amministratori, con particolare menzione al sindaco Gianni e agli assessori Alan e Walter che più di tutti si sono adoperati per la “messa in strada” (è proprio il caso di dirlo) del provvedimento. La maggioranza della popolazione purtroppo quasi mai si sofferma a ragionare di cose appena appena più lontane dal contingente e dall’immediato. Mal nasconde un’ingiustificata preoccupazione per un disagio inesistente, ma percepito come tale in conseguenza di cattive e reiterate abitudini. La Giunta comunale, bontà sua – dopo un’analisi della situazione viabilistica durata più di un anno – ha invece ben capito quanto questa iniziativa, che mi permetto di definire lungimirante, non appena “metabolizzata” dalla cittadinanza, diverrà la chiave di volta per sostenere tutto l’impianto di riqualificazione ambientale e commerciale della parte vecchia di Tesero. Un tassello fondamentale e imprescindibile che favorirà anche l’attrattiva dei piccoli negozi di vicinato del centro. Certo, da lunedì scorso, origliando, qualcuno in paese mugugna. Era scontato che così fosse: disintossicarsi da una dipendenza non è facile. È però possibile; e la revisione viaria sarà un’ottima occasione per accelerare il processo di “gaudiosa redenzione” dalla schiavitù della “macchina”. Per la verità alcuni teserani non ne hanno affatto bisogno: “redenti” già lo sono. Potrei già farne una discreta lista: non lunghissima, ma comunque significativa. Meritano l’elogio per il civismo che dimostrano da sempre nei confronti del paese e del resto della cittadinanza. Preciso che questi signori (uomini e donne), camminano per il piacere di camminare, senza alcun’altra motivazione, perché camminare è effettivamente una delle più piacevoli attività fisiche, di certo la più naturale. Uomini e donne che usano ovviamente anche l’automobile, ma in modo consapevole e controllato, consci che la maggior parte dei percorsi interni all’abitato (date le ridottissime distanze cui si sostanziano) sono percorribili tranquillamente, senza problemi, velocemente e con beneficio immediato di tutti, da tutti. A PIEDI! Se poco alla volta tutti cominceremo a capire quanto siano assurdi gli spostamenti in auto per brevi o brevissime distanze (da 1 sino ai 1000 metri) d’incanto i supplizi, che quotidianamente e masochisticamente ci infliggiamo più o meno consapevolmente per colpa dell’auto, sparirebbero. Per di più gli amministratori verrebbero sgravati dall’obbligo di cercare soluzioni a problemi che soluzione non possono trovare, svanirebbero le difficoltà nel trovare parcheggio, finirebbe il caos e ci ritroveremmo in un ambiente capace di favorire il confronto e la socialità. Con l’impegno di tutti Tesero tra non molto potrebbe disporre di un Centro paese libero, gioioso, arioso, silenzioso, tranquillo, un’oasi capace di ospitare all’aperto in estate e non solo, manifestazioni di interesse turistico e culturale, un luogo di incontro serale con bande, cori, spettacoli teatrali, senza il continuo frastuono e disturbo delle auto. In definitiva un toccasana per residenti e ospiti, per adulti e per bambini, al quale un paese a vocazione turistica come il nostro non può davvero rinunciare.

euro


Sembra che milioni di persone siano convinte che se non riescono a dedicare molte ore alla palestra o alla piscina non godranno mai dei benefici che derivano dall’esercizio fisico. Ma le cose non stanno così. Il dottor Russell Pate dell’Università della Carolina del Sud afferma: “Penso che dobbiamo riconoscere ufficialmente che fare senza fretta il giro dell’isolato dopo mangiato sia una buona cosa”.

Camminare fa davvero così bene? I benefici che dà sono veramente così rilevanti? Camminare è una buona medicina. Il medico greco Ippocrate riteneva che camminare fosse “la migliore medicina”. Infatti c’è chi dice: “Ho due dottori, la mia gamba sinistra e quella destra”.
Camminare è davvero così salutare?
Alcuni studi indicano che chi cammina regolarmente può essere meno soggetto ad ammalarsi di chi è sedentario. Dagli studi risulta che camminare riduce il rischio di cardiopatie e ictus. Può proteggere dal diabete migliorando la capacità dell’organismo di usare l’insulina. Mantiene le ossa forti, prevenendo l’osteoporosi. Accresce la forza, l’agilità e la resistenza. Aiuta a dimagrire e a mantenere il proprio peso. Inoltre migliora il sonno e l’attività mentale, e può persino aiutare a combattere la depressione.. Come altre attività fisiche, camminare stimola il rilascio di endorfine, sostanze chimiche presenti nel cervello che riducono il dolore e fanno rilassare generando un senso di calma e benessere. Secondo il Medical Post del Canada anche passeggiare senza fretta può far bene alla salute. Uno studio pubblicato nel New England Journal of Medicine rivela che fare ogni giorno anche solo 800 metri a piedi aiuta a vivere più a lungo. Studi recenti indicano che fare esercizio fisico tre volte al giorno per 10 minuti alla volta fa bene quasi come fare esercizio fisico per 30 minuti di seguito. Quindi prendete in considerazione la possibilità di parcheggiare l’auto un po’ più distante dalla vostra destinazione e di farvi a piedi il resto della strada. Oppure durante la giornata potreste andare a farvi una breve passeggiata. Si possono avere benefici ancora più grandi camminando di buon passo. Carl Caspersen dei Centri americani per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie di Atlanta, in Georgia, ha detto: “Un sedentario che prenda l’abitudine di camminare a passo spedito per mezz’ora diversi giorni la settimana... può ridurre notevolmente i rischi di malattia”. E il bello del camminare è che possono farlo persone di tutte le età, in buona salute e no. Inoltre non occorrono capacità atletiche o una preparazione speciale, ma solo un buon paio di scarpe.

12/12/07

LA SCHIAVITU' DEL "BENESSERE"


Numerosi media, spinti dalle difficoltà economiche - in parte dovute alla diminuzione degli introiti pubblicitari -, fanno di tutto per sedurre gli inserzionisti. I responsabili della «nuova formula» di Libération, per esempio, hanno ammesso che questo obiettivo fa parte del loro progetto. Ma i pubblicitari non si accontentano di più pagine sui giornali e di più tempo in onda: vogliono entrare nei cervelli dei loro bersagli. E pensano che la scienza glielo permetta.

Si racconta che, nell'ottobre 1919, Vladimir Ilich Uljanov, detto Lenin, abbia fatto visita al fisiologo Ivan Pavlov per sapere in che modo i suoi lavori sui riflessi condizionati potessero contribuire alla concezione dell'«uomo nuovo» che allora i bolscevichi erano impegnati a costruire. Lo scienziato avrebbe potuto essere utile alla propaganda del regime associando, mediante stimoli esterni, le pulsioni istintive ai meccanismi di trasformazione collettiva. In realtà Pavlov non fu di alcun aiuto ai bolscevichi, ma questo aneddoto, vero o falso che sia, mostra l'esistenza di un fantasma che ha abitato il XX secolo: quello di impossessarsi delle menti manipolando l'inconscio, per vincere ogni resistenza critica dovuta al semplice uso della ragione. Da allora, una propaganda viene giudicata efficace se capisce che un messaggio viene assimilato meglio quanto più il destinatario è psicologicamente condizionato a introiettarlo e a farlo proprio. Le società democratiche hanno bandito dal proprio linguaggio la parola «propaganda», attribuita oggi solo ai regimi totalitari. Tuttavia, l'analisi del cervello a scopi di mercato e la conseguente manipolazione delle masse mostrano che la società del consumo non ne è poi così distante. Torna in mente la famosa frase di Patrick Le Lay, presidente di Tf1, il quale, nel 2004, ammetteva che la sua rete televisiva cercava di vendere a Coca Cola «tempo del cervello umano disponibile». La scelta di questa marca - partner privilegiato di Tf1, come dimostra la diffusione un anno prima di uno spot pubblicitario, trasmesso per più di duecento volte sul suo canali - non è affatto casuale. Nell'estate del 2003, Read Montague, un neurologo alla Baylor università di medicina, a Houston, ha mostrato che, i risultati di un test in cui i soggetti bevevano senza vedere il marchio, erano più favorevoli al concorrente Pepsi, ma cambiavano appena la bevanda veniva identificata chiaramente come Coca Cola. I partecipanti all'esperimento dichiaravano allora di preferire la bibita a colori rosso e bianco. E così venne dimostrata la superiorità della marca considerata un campione del branding, la tecnica che mira a declinare un logo sul maggior numero possibile di supporti, cioè a inserirsi nei contenuti (film, serie televisive). Per stabilire il nesso tra l'immagine della marca e lo stimolo del cervello, lo scienziato si è servito di una macchina fino ad allora usata per fini medici, per individuare per esempio i tumori o i traumi cerebrali: la risonanza magnetica (Irm). Seguendo l'attività cerebrale dei suoi pazienti, Montague ha notato che la regione specifica del cervello che veniva sollecitata alla vista di una marca, la corteccia prefrontale mediana, faceva appello alla memoria e svolgeva un ruolo importante nel processo cognitivo. Al contrario, il test gustativo al buio riguardava l'area cerebrale detta del «putamen ventrale», legata alla nozione di piacere. Fin dall'aprile 2004, l'università di medicina Baylor organizzava a Houston il primo simposio mondiale dedicato alle applicazioni della grafica neuronale nel marketing. Tre anni prima, ad Atlanta, sede della Coca-Cola, l'istituto Brighthouse, fondato dal pubblicitario Joe Reyman, costituiva un gruppo di valutazione incaricato di commercializzare per il marketing gli insegnamenti tratti dalle neuroscienze. Il suo direttore scientifico, Clint Kilts, arrivava alle stesse conclusioni del collega di Houston, localizzando nella corteccia prefrontale mediana la zona cerebrale reattiva alle immagini pubblicitarie. Ma osservava che questa reazione è tanto più significativa quanto più il soggetto s'identifica con l'immagine del prodotto, ed è portato a pensare «sono proprio io» (1). La famosa regione-chiave del neuromarketing è infatti associata all'immagine di sé e alla conoscenza intima che si ha di se stessi (così, i pazienti la cui corteccia prefrontale mediana è danneggiata a seguito di un incidente soffronto spesso di disturbi della personalità). Come spiega Annette Schäfer, nella rivista Cerveau & Psycho, «ecco dunque il motore del commercio. La corteccia prefrontale mediana ci fa amare ciò che amano gli altri. Riuscire a stimolarla potrebbe quindi essere un obiettivo precipuo di una perfetta campagna pubblicitaria ». È anche, per gli agenti del «neuromarket», l'oro bianco di un'alchimia perfetta: l'opera-zione che consiste nel trasformare l'amore di sé in quanto tale - il narcisismo - nell'amore di sé in quanto altro: un bersaglio pubblicitario. Secondo Olivier Oullier, ricercatore in neuroscienze all'università Florida Atlantic, esiste attualmente una sessantina di aziende nel mondo che utilizza le tecniche del neuromarketing (3). Tuttavia, queste aziende sono molto discrete in merito agli esperimenti realizzati, per timore di sollevare una marea di rimproveri nell'opinione pubblica. Nel 2003, una di queste, Daimler-Chrysler, ha affidato al centro ospedaliero di Ulm, in Germania, il compito di analizzare i cervelli di una dozzina di uomini che guardavano le immagini di automobili di lusso. Desiderio sessuale e voglia di merce. Allora, è apparsa l'importanza del «nucleo accumbens», zona legata al sentimento di ricompensa. È venuto fuori che l'oggetto di consumo può essere assimilato a un oggetto di desiderio attraverso un vero e proprio processo di personificazione. «Quando guardavano le automobili, questo gli ricordava i volti,i fari assomigliavano un po' a degli occhi», descrive Henrik Walter, psichiatra del centro ospedaliero di Ulm, a proposito di quei «pazienti» di tipo un po' particolare. I pubblicitari vi hanno visto la conferma di un'intuizione: negli spot bisogna rinforzare la correlazione istintiva tra desiderio sessuale e pulsione di acquisto «Il consumatore deve poter sentire la marca, aggrapparvisi come un amante», afferma, senza ironia, il presidente direttore generale di Saatchi & Saatchi, Kevin Roberts. Bisogna prendere sul serio tali imprese di convalida scientifica della pubblicità? Sta di fatto che esse hanno il merito, agli occhi dei professionisti, di garantire maggiormente la diffusione di messaggi pubblicitari sui media, nell'epoca in cui internet permette, un clic dopo l'altro, di seguire passo passo il comportamento del consumatore. Il neuromarketing nasce così dall'incontro tra gli industriali desiderosi di legittimare all'interno le proprie spese per la comunicazione, delle agenzie di pubblicità desiderose di valorizzare il loro apporto (l'agenzia Bbdo di Düsseldorf lavora così sul concetto di brainbranding, che mira a determinare come certe marche entrino nella memoria episodica del cervello) e dei grandi media preoccupati per il peso crescente dei nuovi vettori di comunicazione. Tf1 non conduce ancora esperimenti di laboratorio basati sullo scanner. Ma il Sindacato nazionale della pubblicità televisiva, presieduto da Claude Cohen, peraltro presidentessa di Tf1 Pubblicità, s'interessa da poco a ciò che chiama i «meccanismi memoriali non coscienti». Attraverso l'istituto privato Impact Mémoire, che s'ingegna per trarre profitto dalle «tecniche di grafica funzionale cerebrale», ha condotto un esperimento su centoventi persone con il pretesto di testare la loro prontezza visiva. Mentre le cavie s'impegnavano a individuare dei quadratini verdi sullo schermo del loro computer, venivano diffuse ininterrottamente delle pubblicità su un televisore in bell'evidenza. In parallelo, lo stesso esperimento veniva realizzato con degli spot radiofonici e dei manifesti. Logicamente, ad aver ottenuto il miglior risultato di memorizzazione inconscia dei messaggi pubblicitari è stato il media che aveva associato suono e immagine. Un test che avrebbe potuto realizzare il signor di La Palice e che farebbe sorridere se non fosse stato accompagnato da un discorso pseudoscientifico gravido di conseguenze. Nel novembre 2003, durante una «Settimana della pubblicità», il cofondatore d'Impact Mémoire, Bruno Poyet, ne ha riassunto gli argomenti. Secondo lui, «l'attenzione è necessaria a una buona ritenzione mnesica. Una buona connotazione emotiva accentua l'attenzione. Un'importante carica emotiva genera la secrezione di certe sostanze dall'amigdala, che favoriscono la memorizzazione ». È questo contesto «emotivo», favorevole alla pubblicità destinata alla casalinga sotto i 50 anni, che Tf1 cerca di elaborare attraverso i suoi programmi. Ancora nel novembre 2003, il canale televisivo faceva apparire sulla stampa specializzata un annuncio in cui vantava le sue gallerie pubblicitarie dove figurava un cervello circondato da una banda video accompagnata da un commento eloquente: «Uno schermo piazzato nel mezzo di un programma di Tf1 ottiene 23% di memorizzazione supplementare». Il neurologo Bernard Croisile, e cofondatore d'Impact Mémoire, ricorda che, se «non esiste alcuno studio che consenta di provare che il contenuto di una trasmissione condizioni la risposta alle pubblicità che seguiranno (...), quel che si può dire è che quando ci si trova in una situazione emotiva positiva, si ricordano meglio gli elementi positivi,così come i depressi assimileranno meglio le informazioni negative». Si tratta quindi di offrire al telespettatore la sua dose di emozione piacevole, prima di uno spettacolo di puro divertimento o dopo un telegiornale in cui domini la carica emotiva dell'esperienza vissuta, piuttosto che la trama «deprimente» di un discorso critico. L'implicazione delle neuroscienze - o delle sue mutazioni - nelle industrie della pubblicità ha così dei bei giorni davanti a sé. Nel marzo 2007, il leader mondiale della pubblicità, Omnicom, ha lanciato in Francia l'agenzia del consiglio nel campo dei media, Phd. Questa rete, nata nel Regno unito, s'appoggia su un ordinatore di neuroplanning messo a punto a partire da studi realizzati grazie alla risonanza magnetica (Irm) dalla società Neurosense. Intende indicare alle marche le zone del cervello da stimolare in funzione degli obiettivi delle loro campagne e dei media utilizzati. Dal canto suo, Impact Mémoire è intervenuto questo stesso anno per conto della regia pubblicitaria del gruppo Lagardère per permettere agli inserzionisti di ottimizzare la memorizzazione delle loro campagne in funzione della combinazione di diversi media e della ripetizione dei messaggi. La conoscenza intima del cervello del consumatore non può che incitare le imprese, e i loro committenti pubblicitari, a superare gli spazi che gli sono abitualmente devoluti per comunicare. Le condizioni di ricettività di una marca sono in effetti giudicati tanto più ottimali quanto meno il «bersaglio» è consapevole di essere preso di mira. È ciò che spiega lo sviluppo dell'advertainment, quell'incrocio ibrido di pubblicità e di divertimento di cui la partita Francia-Argentina, allo Stadio di Francia, durante la coppa del mondo di rugby, ha dato un esempio recente. Delle giovani indossatrici in sottoveste si sono messe a danzare sui gradini sotto gli occhi attenti delle telecamere di Tf1: si trattava di una «creazione» dell'agenzia pubblicitaria Fred-Farid-Lambert, affiliata al gruppo Bolloré, per la marca Dim. Nella creazione audiovisiva, piazzare prodotti al cuore dei contenuti fa furore allo stesso modo, come testimonia l'apparizione di contratti globali che legano produttori, diffusori e inserzionisti. Nel 2001, il produttore di detersivi Procter & Gamble ha concluso un accordo da 500 milioni di dollari con il gruppo Viacom e il suo canale Cbs, per introdurre i suoi prodotti nelle sceneggiature. Quattro anni dopo, è stato il turno di Volkswagen di investire 200 milioni di dollari per piazzare le sue automobili nei film degli studi Universal e del canale dello stesso gruppo Nbc. Nel 2005, anche la filiale francese della centrale di acquisto di spazi Aegis ha creato Carat Sponsorship Entertainment per integrare la pubblicità nei programmi e farla accettare meglio dal consumatore. Nel 2007 è stata imitata dalla filiale Havas Entertainment. Se il Consiglio superiore dell'audiovisivo è ancora tenuto a vigilare affinché venga impedita ogni pubblicità occulta, la trasposizione nella legge francese della direttiva auropea «Televisione senza frontiere», annunciata per il 2008, promette però di autorizzare definitivamente la collocazione dei prodotti sul piccolo schermo, come negli Stati uniti. Il limite quotidiano di dodici minuti di pubblicità su una durata di un'ora dovrebbe essere per la stessa occasione reso più elastico, in modo da permettere una maggiore diffusione di intervalli pubblicitari durante le fasce di forte ascolto. Parallelamente, fioriscono delle trasmissioni - come «Question maison» (France 5) o «Du côté de chez vous» (Tf1) - che devono la loro esistenza solo all'arrivo della marca Leroy Merlin nella produzione di contenuti. Certo, l'inconscio del telespettatore non è apertamente rivendicato. Ma dietro il telespettatore, è ancora e sempre il consumatore a essere preso di mira. Per stimolare degli automatismi pavloviani di trasformazione collettiva? No, si tratterà soltanto di una banale stimolazione di vendita...

Di Marie Bénilde – L.M.D. 11/2007

10/12/07

AL ROGO, AL ROGO!


Venerdì 7 dicembre ’07 ore 22,43. Davanti all’ “Osteria della Luna piena” due uomini, circondati da alcuni uditori, discutono animatamente. Di tanto in tanto un passante attraversa la scena.

Girolamo: –“…ma che cazzo scrivi? vergognati! Come osi parlare di cose e di persone in quel modo così esplicito e irriverente! Trovati un altro passatempo. Lascia perdere…”

Qualche giorno dopo in una stanza scarsamente illuminata qualcuno sta vergando una lettera.

Caro Girolamo (preferisco non chiamarti col tuo vero nome, potrebbero capire chi sei) ti confesso che l’altra notte non ho dormito. Quelle tue parole mi sono rimbombate per lunghe ore nella testa. Non capivo come proprio tu ti fossi scandalizzato così, per così poco. La discussione che abbiamo fatto davanti all’ “Osteria della Luna Piena” (è meglio non nominare nemmeno il nome di quel bar) dopo la presentazione del nuovo piano della viabilità di San Giuseppe Vesuviano (anche citare il nome del paese è rischioso, uso pertanto un nome di copertura) mi ha davvero scosso. Sinceramente non mi aspettavo di trovarti così cambiato. E ancor di più non mi aspettavo di trovarti così violentemente contrario a quanto scrivo. Eri diverso vent’anni fa. Anch’io, per la verità. Chissà cos’è che fa cambiare così radicalmente le persone (tanto da non riconoscerle affatto) in così poco tempo: forse il matrimonio, o forse il lavoro, la società, oppure le frequentazioni… boh? Sta di fatto che ho passato una notte agitata e insonne, pressappoco come quella trascorsa da Don Rodrigo dopo l’elogio funebre in memoria del conte Attilio, conclusosi a bagordi, ubriaco di vernaccia, all’osteria (Alessandro Manzoni – I Promessi Sposi – capitolo XXXIII). Nel mio sonno turbato non riuscivo a capire (anche perché non eri stato affatto esplicito nella reprimenda) quali fossero le cose scritte così tanto esecrabili che ti hanno così profondamente indignato. Ah, scusami, esecrabile puoi sostituirlo con condannabile: dimenticavo che mi rimproveravi anche l’ostentazione di termini troppo difficili!... Mi hai paragonato (senza citarlo, ovviamente) addirittura al protagonista del celebre romanzo di Stevenson “Lo strano caso del dottor Jakyll e mister Hide”, nientedimeno che un uomo dalla doppia personalità!! Un mostro! Un orco appunto. Un nome, un programma… Insomma il tuo giudizio finale non ammetteva appelli. In altri tempi per molto meno sarei finito al rogo!
Fortunatamente, dopo qualche giorno di nausee, vomiti, stordimento e prostrazione, sto cominciando a riprendermi e mi è tornata voglia di scrivere e di ragionare un po’ nel merito delle tue contestazioni. Dici appunto che ho due personalità delle quali intuisco che per te quella oscura e misteriosa prepondera: scrivo sì cose condivisibili (in piccolissima parte) ma soprattutto scrivo cose davvero vergognose. Mi rimproveri anche di essere un osservatore dei costumi di questo paese, non sia mai! cosa per te intollerabile e inammissibile. “… ma fregatene!” mi dicevi. E tanto altro ancora. Eh no, caro Girolamo, si dà il caso che i comportamenti dei singoli non siano neutri: sommati uno ad uno determinano la qualità del tutto. E un singolo cattivo comportamento sommato a mille cattivi comportamenti pregiudica il vivere non solo mio (e a me tanto comunque basterebbe) ma anche tuo. Naturalmente questa è la mia opinione e come tale può non essere da te e da altri condivisa. Ma non puoi impedirmi di esprimerla. Potresti contestarmela argomentando. Io, diversamente da te, ho scelto di dire ciò che penso apertamente rischiando l’impopolarità e, come mi profetizzavi, l’ “isolamento sociale”. Forse perché non abito in un castello isolato (ma non vedo perché per vivere tranquillo dovrei ritirarmi in un castello o cambiare paese) o forse, più probabilmente, perché non sopporto il qualunquismo, l’ipocrisia e non mi piace il verbo “fregarsene”. Pur riconoscendo (come diceva qualcuno) che a giudicare si fa peccato, se guardo e se penso, il comparare e il valutare spesso mi vengono automatici e involontari e non mi richiedono alcuno sforzo supplementare. Altro non so che dirti. Mi dispiace aver dovuto capire in questi mesi (anche grazie a te) quanto sia grande la distanza tra quel che penso (che ho sempre pensato) e quel che pensa probabilmente la maggioranza delle persone di questo paese, nonché quanto forte sia mediamente il peso del suo pregiudizio.
Concludendo, caro Girolamo, sappi che come per l’omeopatia l’antidoto è la stessa sostanza che scatena la malattia, così ora userò la parola per tranquillizzare quei lettori, te per primo, che hanno manifestato per questioni diverse e con modalità diverse sdegno, orrore, irritazione o più genericamente fastidio verso alcuni miei scritti. A scanso quindi di nuovi traumi ti informo che ci sono vari modi per evitare queste sgradevoli sensazioni, per esempio quello più semplice è non leggere: banale ed arrendevole opzione che non consente di comparare e forse arricchire il proprio modo di vedere.
Tralasciando qui di suggerirti altre e più fantasiose “istruzioni per l’uso” oso arditamente scomodare (poco, poco, poco) il padre della psicoanalisi, Freud, utilizzare alcune sue intuizioni per fare una sommaria analisi e vedere che cosa accade in realtà quando io lettore leggo un “pensiero” dell’Orco (o di chiunque altro) che mi irrita a tal punto da indurmi a infierire anche a sproposito contro di lui. E’ interessante scoprire che quei “fastidi” che io lettore provo altro non sono che stilettate ai miei punti deboli, negligenze o sconvenienti e involutivi comportamenti che tento (invano) di nascondere e così, per non riuscire a mediare tra me e me la cruda realtà, “uso” un testimone esterno come capro espiatorio delle mie “debolezze”.
A questo proposito aggiungo un particolare interessante: questo genere di lettore non ha mediamente una curiosità ad ampio raggio anzi, snobba la lettura per il piacere di conoscere fine e se stesso, seleziona invece con fare voyeuristico e forse pruriginoso solo ciò che lo porta a procurarsi una sfogo personale. Ecco perché ai lettori de La Casa dell’Orco (me lo hai confermato tu stesso) non interessano affatto gli articoli che trattano argomenti vari e interessanti di autori diversi da me proposti alla lettura, bensì, quasi esclusivamente, quelli scritti direttamente dal sottoscritto!

Un cordiale saluto.

L’Orco

09/12/07

VIDEO DUNQUE EVADO


Con un’iniziativa che non ha precedenti ma avrà, c’è da scommetterlo, parecchi imitatori, un detenuto è evaso per rilasciare un’intervista alla tv. L’autore dell’impresa è il finanziere Danilo Coppola, noto alle masse per la pettinatura parabolica da paggio rinascimentale con riporto «cabriolet» dietro le orecchie. Ricoverato agli arresti domiciliari nell’ospedale di Frascati, ha staccato i tubi delle flebo ed è fuggito in tuta verso un albergo di Roma poco distante dal Palazzo di Giustizia. Giunto in quella «location» emblematica, ha convocato le telecamere di Sky per riproporre un vecchio classico della tragicommedia all'italiana, la vittima del Complotto Universale, e solo alla fine dell'intervista ha deciso di consegnarsi alla polizia. Non cercava la libertà. E neanche l'ora d'aria in un prato, magari con qualche bella ragazza. A spingere Coppola verso il gesto che gli costerà un supplemento di galera è stato il desiderio di tornare a esistere. Perché il rito del lamento gli sembrava patetico, fin quando si consumava fra le quattro pareti di una cella o nei colloqui saltuari con l'avvocato. Soltanto la tv, regno dell'inconsistenza, era in grado di dare al suo tramestio interiore un'illusione di autenticità. Non sostengono i sociologi che la gente sogna di andare in video per evadere dalle gabbie incolori della vita vera? Coppola li ha presi talmente in parola che ha trasformato la metafora in realtà.


M.G. - La Stampa 07/12/2007

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

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Foto di Sabina

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