"Nel più lontano
passato, molto prima che l'uomo facesse la sua comparsa sulla terra,
un albero gigantesco s'innalzava fino al cielo. Asse dell'universo,
attraversava i tre mondi. Le sue radici affondavano negli abissi
sotterranei, i suoi rami arrivavano all'empireo": fin
dall'antichità gli alberi sono stati al centro di un affascinante
sistema di miti e leggende, e in questo sorprendente saggio Jacques Brosse ricostruisce i fattori storici e culturali che nei secoli
hanno portato le piante a essere considerate le manifestazioni per
eccellenza della divinità.
Dal grandioso mito
dell'Albero cosmico che collegava gli inferi e il cielo al culto
delle querce tra i Greci e i Romani, dal giardino dell'Eden nel
cristianesimo al fico sacro sotto il quale il Buddha giunse
all'illuminazione, l'autore ci restituisce il fascino di un mondo
oggi in gran parte dimenticato e illumina la profondità di una
saggezza plurimillenaria che, fondandosi su un'incredibile conoscenza
delle piante, seppe armonizzare le attività umane con gli equilibri
e i ritmi della natura.
(...) Fu così che dopo
il trionfo della Chiesa rimase un solo albero che fosse lecito
venerare: quello, squadrato, sul quale era morto il Redentore. Tutti
gli altri culti erano vietati e abbiamo visto con quale zelo gli
evangelizzatori si accinsero a estirparli.
A un sistema cosmico
complesso e articolato, basato sulla diversità, sulla reciproca
complementarietà, qual era stato quello del "paganesimo",
successe un monoteismo dogmatico, intollerante e manicheo. In nome
della distinzione tra Bene e Male, e per reazione contro l'antico
stato d'animo, l'anima venne separata dal corpo e l'uomo dalla
natura. Poiché l'anima apparteneva di diritto a Dio, sia la natura
che il corpo risultarono necessariamente riprovati. Dato che
inducevano in tentazione, non potevano essere che strumenti del
diavolo, l'antico Serpente dell'albero della conoscenza, responsabile
dell'espulsione dall'Eden.
Claude Lévi-Strauss ha
definito con mirabile penetrazione questa posizione che è ancora,
spesso senza che ce ne rendiamo conto, la nostra:
Malgrado le nuvole
d'inchiostro sollevate dalla tradizione ebraico-cristiana per
mascherarla, nessuna situazione mi pare più tragica, più offensiva
per il cuore e per l'intelligenza, di quella di un'umanità che
coesiste con altre specie viventi su una terra di cui queste ultime
condividono l'usufrutto e con le quali non può comunicare. Si
comprende come i miti rifiutino di considerare questo vizio della
creazione come originale; che essi vedano nella sua comparsa l'evento
inaugurale della condizione umana e della sua debolezza.
In questo modo, infatti,
venne a essere rotto un equilibrio vitale, basato sulla comunione di
tutti gli esseri viventi, di questa rottura noi subiamo oggi le
estreme conseguenze. Da aperta che era un tempo, l'umanità si è
sempre più rinchiusa in se stessa. Tale antropocentrismo non riesce
più a vedere, al di fuori dell'uomo, altro che oggetti. La natura
nel suo complesso ne risulta sminuita. Un tempo, in lei tutto era un
segno, la natura stessa aveva un significato che ognuno, nel suo
intimo, percepiva. Avendolo perso, l'uomo oggi la distrugge, e con ciò
si condanna.
E' proprio vero ! La chiusura antropocentrica è quella che ci caratterizza. Ormai le persone vivono nei mass media e non vogliono accorgersi di quando accade al di fuori delle proprie mura, e non si stupiscono più di nulla.....
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