15/09/17

MITOLOGIA DEGLI ALBERI


"Nel più lontano passato, molto prima che l'uomo facesse la sua comparsa sulla terra, un albero gigantesco s'innalzava fino al cielo. Asse dell'universo, attraversava i tre mondi. Le sue radici affondavano negli abissi sotterranei, i suoi rami arrivavano all'empireo": fin dall'antichità gli alberi sono stati al centro di un affascinante sistema di miti e leggende, e in questo sorprendente saggio  Jacques Brosse ricostruisce i fattori storici e culturali che nei secoli hanno portato le piante a essere considerate le manifestazioni per eccellenza della divinità.

Dal grandioso mito dell'Albero cosmico che collegava gli inferi e il cielo al culto delle querce tra i Greci e i Romani, dal giardino dell'Eden nel cristianesimo al fico sacro sotto il quale il Buddha giunse all'illuminazione, l'autore ci restituisce il fascino di un mondo oggi in gran parte dimenticato e illumina la profondità di una saggezza plurimillenaria che, fondandosi su un'incredibile conoscenza delle piante, seppe armonizzare le attività umane con gli equilibri e i ritmi della natura.


(...) Fu così che dopo il trionfo della Chiesa rimase un solo albero che fosse lecito venerare: quello, squadrato, sul quale era morto il Redentore. Tutti gli altri culti erano vietati e abbiamo visto con quale zelo gli evangelizzatori si accinsero a estirparli.

A un sistema cosmico complesso e articolato, basato sulla diversità, sulla reciproca complementarietà, qual era stato quello del "paganesimo", successe un monoteismo dogmatico, intollerante e manicheo. In nome della distinzione tra Bene e Male, e per reazione contro l'antico stato d'animo, l'anima venne separata dal corpo e l'uomo dalla natura. Poiché l'anima apparteneva di diritto a Dio, sia la natura che il corpo risultarono necessariamente riprovati. Dato che inducevano in tentazione, non potevano essere che strumenti del diavolo, l'antico Serpente dell'albero della conoscenza, responsabile dell'espulsione dall'Eden.

Claude Lévi-Strauss ha definito con mirabile penetrazione questa posizione che è ancora, spesso senza che ce ne rendiamo conto, la nostra:

Malgrado le nuvole d'inchiostro sollevate dalla tradizione ebraico-cristiana per mascherarla, nessuna situazione mi pare più tragica, più offensiva per il cuore e per l'intelligenza, di quella di un'umanità che coesiste con altre specie viventi su una terra di cui queste ultime condividono l'usufrutto e con le quali non può comunicare. Si comprende come i miti rifiutino di considerare questo vizio della creazione come originale; che essi vedano nella sua comparsa l'evento inaugurale della condizione umana e della sua debolezza.

In questo modo, infatti, venne a essere rotto un equilibrio vitale, basato sulla comunione di tutti gli esseri viventi, di questa rottura noi subiamo oggi le estreme conseguenze. Da aperta che era un tempo, l'umanità si è sempre più rinchiusa in se stessa. Tale antropocentrismo non riesce più a vedere, al di fuori dell'uomo, altro che oggetti. La natura nel suo complesso ne risulta sminuita. Un tempo, in lei tutto era un segno, la natura stessa aveva un significato che ognuno, nel suo intimo, percepiva. Avendolo perso, l'uomo oggi la distrugge, e con ciò si condanna.

1 commento:

  1. E' proprio vero ! La chiusura antropocentrica è quella che ci caratterizza. Ormai le persone vivono nei mass media e non vogliono accorgersi di quando accade al di fuori delle proprie mura, e non si stupiscono più di nulla.....

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