
Avrei voluto dire anch’io qualcosa di spiritoso sul Natale. Mi sono rifugiato sull’eremo a meditare. Ogni tanto lo faccio. Salgo leopardianamente al colle e osservo dall’alto il paese. Due ore e mezzo in ritiro spirituale. Lì, ripensando al consiglio dell’amico Settembrini, mi sono convinto che non ne valeva la pena. Ha ragione lui, l’ironia non è nelle corde di questo paese; presuppone leggerezza d’animo e una visione aperta del mondo e delle cose: cogliere il ridicolo dei comportamenti e l’incongruenza tra i segni e i fatti. Massimamente in questo tempo natalizio la distanza tra il sembrare e l’essere di questa comunità appare in tutta la sua profondità. Se ci fosse una benché minima corrispondenza tra il messaggio della natività più autentico e la profusione di luci in cui questo paese si immerge ogni Natale, Tesero potrebbe veramente sostituirsi in terra al paradiso. Purtroppo, all’infuori del sommo Dante, quel luogo gaudioso nessuno lo ha visto e nessuno, per sua fortuna, è ancora ritornato a raccontarcelo. Però poi chissà, forse il paradiso è fatto proprio a immagine e somiglianza di questo nostro borgo: ridondante di posticci luccicanti abbellimenti; di gente la cui massima espressione intellettuale è la maldicenza e il pettegolezzo; di assenza di “spazi” di confronto; di persone indecifrabili che puoi starci una vita intera accanto senza capire che cosa pensino veramente; di osterie piene di un’umanità persa; di mamme iper-attive e nevrotiche; di studi professionali indaffaratissimi; di infiniti nuovi cantieri; di banche affollate rigonfie di denaro; e altro ancora...
Ma perché un siffatto paese? Qualcuno ipotizza sia una questione genetica. Mi pare un’esagerazione, in fondo i cervelli, più o meno, sono fatti tutti allo stesso modo. Penso che la ragione sia un’altra. Credo sia un problema di programmazione. Questo paese non sa, o forse non vuole, aggiornare il programma. La musica che propone è sempre la stessa, come la marcia da sfilata della banda locale. Qui è così: tutto diviene seriale, non c’è mai una pausa di riflessione e ogni eventuale tentativo di uscire da questo compiaciuto provincialismo diventa impresa impossibile. Quando il treno parte, guai a chi lo ferma o a chi osa disturbare il macchinista… Ma forse mi sbaglio.
Comunque, tornando alle luci e ai presepi, mi chiedo cosa si vorrebbe far credere con questo profluvio simbolico? Che emozioni si vorrebbero dare? E a chi, soprattutto? Ai beceri turisti che assaltano frenetici ogni fine settimana le piste di sci? Ai bambini, privi ormai di qualsiasi capacità di emozionarsi? O forse, addirittura, a noi paesani adulti? La luce e il presepio hanno precise valenze semantiche. Coerenza vorrebbe che dietro cotanta abbondanza di significanti si intravedesse l’autenticità del legame tra i simboli e la comunità.
E invece? Invece niente. Perché questa comunità è (ovviamente) estranea ai valori della cristianità. “E chi se ne frega, fatti suoi!” – dirà qualcuno. Vero, ma allora abbia il coraggio di manifestare ciò che non è fino in fondo, e non copra i suoi finti sensi di colpa con una dasa d’abete. Bastano le messe, le eucaristie, gli auguri, gli scampanii, i pecci illuminati, i presepi per essere portatori del messaggio nascosto dietro quel significante? Certo che no. Una comunità con una forte propensione al razzismo ideologico ancor prima che sostanziale, che nei fatti propugna con forza il privilegio, l’arricchimento, la separazione può far propri i valori francescani del presepio soltanto dissimulando la sua vera natura. Ma per quanto la nasconda la contraddizione è evidente.
E il Parroco che dice? Ma dice qualcosa? O tace e finge come i fedeli(ni) che fingono di ascoltarlo? Forse dovrei andare a messa e sentire se in merito proferirà parola. Ma sì andrò a messa. Forse. Magari a quella detta di mezzanotte, che, per assecondare la pigrizia e il sonno dei fedeli(ni) (ma chi glielo fa fare?) da qualche anno si anticipa alle 22. Già che c’erano potevano anticiparla ancora di un paio d’ore e così poi, sazi di spirito divino, i più avrebbero ancora avuto tempo, prima di tornare a baito, di riprendere magari un coca-party interrotto, per allentare per qualche istante l’oppressione della parte in commedia e per sospendere, almeno il tempo del viaggio narcotico, di fingere.
Ma perché un siffatto paese? Qualcuno ipotizza sia una questione genetica. Mi pare un’esagerazione, in fondo i cervelli, più o meno, sono fatti tutti allo stesso modo. Penso che la ragione sia un’altra. Credo sia un problema di programmazione. Questo paese non sa, o forse non vuole, aggiornare il programma. La musica che propone è sempre la stessa, come la marcia da sfilata della banda locale. Qui è così: tutto diviene seriale, non c’è mai una pausa di riflessione e ogni eventuale tentativo di uscire da questo compiaciuto provincialismo diventa impresa impossibile. Quando il treno parte, guai a chi lo ferma o a chi osa disturbare il macchinista… Ma forse mi sbaglio.
Comunque, tornando alle luci e ai presepi, mi chiedo cosa si vorrebbe far credere con questo profluvio simbolico? Che emozioni si vorrebbero dare? E a chi, soprattutto? Ai beceri turisti che assaltano frenetici ogni fine settimana le piste di sci? Ai bambini, privi ormai di qualsiasi capacità di emozionarsi? O forse, addirittura, a noi paesani adulti? La luce e il presepio hanno precise valenze semantiche. Coerenza vorrebbe che dietro cotanta abbondanza di significanti si intravedesse l’autenticità del legame tra i simboli e la comunità.
E invece? Invece niente. Perché questa comunità è (ovviamente) estranea ai valori della cristianità. “E chi se ne frega, fatti suoi!” – dirà qualcuno. Vero, ma allora abbia il coraggio di manifestare ciò che non è fino in fondo, e non copra i suoi finti sensi di colpa con una dasa d’abete. Bastano le messe, le eucaristie, gli auguri, gli scampanii, i pecci illuminati, i presepi per essere portatori del messaggio nascosto dietro quel significante? Certo che no. Una comunità con una forte propensione al razzismo ideologico ancor prima che sostanziale, che nei fatti propugna con forza il privilegio, l’arricchimento, la separazione può far propri i valori francescani del presepio soltanto dissimulando la sua vera natura. Ma per quanto la nasconda la contraddizione è evidente.
E il Parroco che dice? Ma dice qualcosa? O tace e finge come i fedeli(ni) che fingono di ascoltarlo? Forse dovrei andare a messa e sentire se in merito proferirà parola. Ma sì andrò a messa. Forse. Magari a quella detta di mezzanotte, che, per assecondare la pigrizia e il sonno dei fedeli(ni) (ma chi glielo fa fare?) da qualche anno si anticipa alle 22. Già che c’erano potevano anticiparla ancora di un paio d’ore e così poi, sazi di spirito divino, i più avrebbero ancora avuto tempo, prima di tornare a baito, di riprendere magari un coca-party interrotto, per allentare per qualche istante l’oppressione della parte in commedia e per sospendere, almeno il tempo del viaggio narcotico, di fingere.
Ario
Anticipare la messa alle 22 è stata una bella idea, io, lavoratore di questi giorni di festa (come del resto altra gente) può riposare un paio d'ore in più e non avendo la possibilità di andare il giorno di Natale la sera è un'orario ottimo. Difatti c'è sempre anche gente da fuori paese alla messa delle 22 per questo motivo. Iniziamo a non saper più su cosa criticare?? Saluti Tullio
RispondiEliminaIo ritengo invece che la Messa alle ore 22.00 abbia dell'assurdo. Scampanii, canti, preghiere, per poi lasciare la Chiesa che non è ancora Natale, sentendo la gente (me compresa) che afferma "ma speta 'n ora par i auguri, che l'è ancora la vea!!".. Se proprio era necessario avvicinarsi ai "pigri" che non hanno voglia di lasciare le proprie case riscaldate a mezzanotte per raggiungere la Chiesa, non si poteva pensare a spostarla almeno alle ore 23.00? Almeno, al termine della funzione, si avrebbe potuto augurare "buon Natale" con logica e correttezza temporale..
RispondiEliminaNon per niente da alcuni anni il nostro parroco tralascia la classica frase al termine della messa "la casa del signore ci veda scambiarci gli auguri.." Augurio che, per altro, nessun paesano (da brao zucon) ha mai ascoltato.