Di fronte a quella che gli scienziati definiscono ormai come la più grave crisi ambientale cui l’umanità sia mai andata incontro, i Paesi più industrializzati del mondo adottano qualsiasi strategia pur di non ammettere le proprie responsabilità e finalmente darsi da fare in concreto. Si concede a denti stretti che, sì, forse oggi fa più caldo che in passato, ma s’insinua il dubbio che si tratti di un ciclo naturale o che dipenda dalle macchie solari. Si constata che il 2006 è stato un anno particolarmente siccitoso, ma si spera che quest’anno pioverà un po’ di più. Sul pianeta si contano 1,2 miliardi di poveri, ma questo, in fondo, cosa c’entra con l’ambiente della Terra e con la ricchezza dell’Occidente? Ma mentre c’è una specie di fronte trasversale europeo - che va da Bonn a Londra passando per Parigi e Roma (che resiste anche al cambiamento di maggioranze politiche) - finalmente persuaso di essere in emergenza e almeno favorevole ai trattati internazionali di salvaguardia e a un possibile cambiamento degli stili di vita, Australia e Stati Uniti non ratificano il protocollo di Kyoto e proseguono oltranzisti contando sul mercato che risolverà anche questa contraddizione. L’Australia ha appena ammesso che sarà costretta a scegliere se bere l’acqua o irrigare le sue coltivazioni, ma continua a essere uno dei Paesi più inquinatori del pianeta. Negli Stati Uniti oltre la metà dell’energia elettrica è prodotta ancora oggi con tecnologie vecchie di un secolo, ma convenienti dal punto di vista del profitto. Con solo il 5% della popolazione mondiale gli Stati Uniti consumano circa il 30% delle risorse e delle riserve del pianeta e, in particolare, il 43% dell’intero serbatoio di carburante. E vogliono pagarlo pure poco, visto che una delle motivazioni del diniego a ratificare il protocollo di Kyoto è stata che «gli americani non intendono negoziare il proprio stile di vita», come a dire che intendono continuare a pagare al gallone il carburante quanto gli altri lo pagano al litro. E la questione energetica diventa cruciale: dal 1990 al 2003 il mondo ha consumato quasi il 23% in più di energia, pari a una domanda globale di oltre 10.000 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti petrolio). Un consumo mondiale di quattrocentomila litri di benzina al secondo: una follia senza senso. Siamo però convinti che oggi si stia tutti meglio, che si viva più a lungo e che ci sia più benessere. Effettivamente è così, ma non per tutti. E chi paga il prezzo di questo benessere mal distribuito se non l’ambiente, gli altri viventi e altri uomini? E cosa si farà quando la Terra avrà esaurito risorse e fonti energetiche o, semplicemente, cibo e acqua? Quanti uomini ancora può sostenere il pianeta? È vero che l’incremento demografico sta rallentando, ma è altrettanto vero che la crescita assoluta resta elevata: oggi ci sono tre miliardi di persone in più che nel 1960 e nel Terzo Mondo (dove ci sono i 4/5 della popolazione mondiale) la crescita continuerà inalterata fino a sfiorare i sette miliardi di abitanti nel prossimo futuro. Di questi, 800 milioni moriranno semplicemente di fame. La Terra abitabile è ormai più che sovraffollata. Ma è poi possibile ottenere più cibo per tutti? L’espansione agricola moderna comporta un danno ambientale grave: già usiamo tutta la terra migliore e più vicina alle fonti irrigue. Il pianeta non può trasformarsi in un gigantesco orto perché questo comporterebbe deforestazione, perdita di specie, depauperamento delle falde, erosione accelerata dei suoli e pesanti inquinamenti di pesticidi e fertilizzanti. Così ci troviamo di fronte tre strade. La prima è quella che l’umanità ha seguito nel passato, cioè che i più ricchi si sviluppino al massimo delle possibilità dell’intero pianeta, visto che solo il 20% degli uomini consuma ben il 75% dell’energia disponibile. È la famosa filosofia del cow-boy: ci si muove in sella a un animale trascinandone un altro al lazo, si esauriscono miniere, si deforesta, si coltiva e si sfrutta fino all’esaurimento ogni metro quadrato di territorio, fiume, lago o spiaggia, si getta quello che avanza dove capita e quando tutto è sporco e finito si ricomincia altrove. È un sistema conveniente per il cow-boy, ma devastante per l’ambiente e i viventi. Oltretutto funziona bene solo se non ci sono altri cow-boy (o indiani) nelle vicinanze e solo su un pianeta dagli spazi e dalle risorse infinite. L’altra strada è quella di apportare alcuni correttivi che facciano durare il più possibile questo stato pre-agonico, magari mitigando parzialmente gli impatti ambientali e mettendo in opera nuove tecnologie. È la via tecnologica: viene propinata ogni volta che i problemi sembrano insormontabili, quando sorge il dubbio che la tecnologia produca più danni rispetto ai vantaggi che eventualmente riserva. Inoltre nessuna tecnologia si applica a un pianeta le cui risorse siano in procinto di finire, perché nessuna tecnologia si fa senza materiali su cui operare. Sarebbe anche la via della crescita sostenibile, indicazione ipocrita, visto che nessuna crescita è sostenibile in un pianeta i cui ritmi di sfruttamento e la cui popolazione crescano con queste proporzioni. La terza via, la più complessa, è quella del risparmio, dell’efficienza e della redistribuzione delle risorse del pianeta. Una decrescita economica dei Paesi ricchi che abbia non tanto come obiettivo quello di portare tutti gli uomini allo stesso livello di sviluppo (o spreco?), cosa evidentemente impossibile per i limiti di cui sopra, quanto quello di evitare all’umanità (non il pianeta, che ce la fa benissimo da solo) la crisi catastrofica verso la quale si sta precipitando. E non è neppure una via priva di contraddizioni, visto che una maggiore efficienza porta a consumi più cospicui, mentre il vero problema è proprio il contenimento di questi ultimi. Una decrescita sostenibile - e, se si potesse, felice - significa comunque una serie di rinunce che dovrebbero essere decise spontaneamente da quella parte del mondo che si avvantaggia dell’attuale situazione, ragione per cui appare una possibilità piuttosto remota. Anche se è una filosofia ben nota proprio a chi vive nei Paesi ricchi perché è quella che si richiede agli astronauti nello spazio: cibi liofilizzati, poca acqua riciclata, nessuna deiezione sprecata, né rifiuti di alcun genere, energia solare o idrogeno e addirittura spazio e aria razionati. L’uomo è in grado di farlo, ma solo per conquistare Marte. Non si tratta di tornare indietro, quanto di accordare nuove tecnologie veramente utili con la sapienza antica dei popoli del mondo, tenendo presente la lezione della storia naturale del pianeta: insegna che nessun sistema economico basato sui combustibili fossili è compatibile con il sistema naturale e prima ne diventiamo consapevoli meglio è.
Mario Tozzi
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