05/01/08

LA FOGLIA DI FICO


Gentile lettrice, come già specificato in altra occasione il blog si configura come una spazio personale nel quale possono confluire pensieri e considerazioni di soggetti diversi. Uno “strumento” di scambio e di circolazione delle idee. Aperto e libero a tutti: questo, in particolare, con il presuntuoso intento di aprire l’orizzonte del ragionamento di quelli che accedendovi ne leggono i contenuti. Chi lo frequenta può anche solo sbirciare e uscire senza dover commentare alcunché né pagare dazio a nessuno. Resta in ogni modo, fondamentalmente, un luogo privato, e (per adesso) non ancora parificato a uno strumento d’informazione tradizionale come un giornale o una radio e non ancora obbligato ad adottare un particolare “codice deontologico”. Pur tuttavia questo blog nella sua “linea editoriale” crediamo non si sia mai permesso di oltrepassare il buonsenso. Pur ciò considerato (o forse no), ieri lei, gentile lettrice, ci ha intimato di cancellare un recente post. Un post che denunciava un fatto grave e reiterato. Il suo è stato un dictat perentorio, senza appello, pena la denuncia per diffamazione. Lei, gentile lettrice, si è indignata perché di quel fatto grave e reiterato, per sua negligenza, era parte in causa. Questo blog – lo ripetiamo ancora una volta – vorrebbe essere un luogo di confronto e dunque in questa sede avremmo ospitato volentieri una sua circostanziata autodifesa. Cara lettrice, noi per rispetto assecondiamo la sua richiesta. Noi! Ci permetta però di far notare quanto l’intimidazione legale da lei brandita riproponga una bizzarra fattispecie: la vittima denunciata dal suo aggressore. Lei comunque avrà valutato che così facendo la questione sarebbe stata riposta nell’oblio. Noi non ne siamo così certi. Pensiamo che non sia con un atto censorio che ci si lava della propria cattiva coscienza. Crediamo che l’aver usato la minaccia della querela (che in Italia è ormai la più usata da chi è in torto) come una foglia di fico per coprire la vergogna di un comportamento irresponsabile, servirà a poco. Di sicuro non le farà guadagnare più "credito" e rispetto. Evidentemente in questo paese – l’Italia – che non a caso, proporzionatamente al numero di abitanti, ha il maggior numero di avvocati del mondo, si preferisce denunciare chi porta all’attenzione fatti gravi e di interesse pubblico piuttosto che cercare di considerare ed eventualmente contestare i fatti stessi nel merito. Oggi in questa Italia si rischia di meno minacciando qualcuno con una pistola che non esercitando il giusto diritto di critica. La decadenza di una nazione e di chi la popola sta anche in questi dati.

L’Orco

04/01/08

VOGLIA DI FUTURO


Per una di quelle ironie in cui la storia è maestra, l'ingresso nel Duemila e l'allungamento della vita hanno estirpato, almeno in questa fetta di mappamondo, il desiderio di futuro. Gli individui, le famiglie, le aziende e gli Stati pattinano su un eterno presente, attraversato da torcicolli nostalgici per un passato ingigantito dai ricordi e un avvenire che si pone come orizzonte estremo la fine del mese. L'idea che un raccolto copioso abbia bisogno di semine lunghe e un progetto ambizioso di investimenti non immediatamente remunerativi sembra essere diventata il ghiribizzo di qualche sognatore, mentre per millenni è stato il propellente del progresso. Questa superficialità isterica ci ha ridotti allo stremo: depressi, infelici, colmi di rabbia senza orgoglio, in crisi di identità, poveri dentro e ormai pure fuori. Prima che un verdetto economico, il declino occidentale è anzitutto un'atrofia del cuore e della mente, incapaci di progettare il mondo che non abiteranno solo i nostri figli ma anche noi, la generazione più longeva dell'avventura umana. L'anno che verrà può rappresentare il punto di rottura, quindi di svolta. Ed è un'altra ironia della storia che esso coincida con il quarantennale dell'ultima utopia di massa: il Sessantotto. Quel desiderio di portare l'immaginazione al potere da parte di chi al potere ha poi finito per portarvi soprattutto l'immagine: la propria. L'immaginazione ci serve adesso. Per progettare nuove forme di convivenza, rilucidare valori etici, studiare strategie economiche che tengano conto del cambiamento vorticoso introdotto dall'irruzione di oltre un miliardo e mezzo di indiani e cinesi nel cortile del consumismo. C'è un bisogno gigantesco di futuro, da queste parti. E poiché ogni bisogno, prima o poi, genera una voglia, il miglior augurio che possiamo farci per il 2008, come singoli e come comunità, è che sia l'anno giusto per ricominciare a sfidare la vita con l'animo dei pionieri. Consapevoli che dietro ogni porta che si chiude ce n'è sempre un'altra che si apre. Basta volerla cercare.

Massimo Gramellini – La Stampa 2/01/08

03/01/08

SONNO PROFONDO


Dormire bene allontana il diabete


La privazione del sonno profondo riduce la sensibilità all'insulina del 25 per cento in soli tre giorni

La soppressione del sonno profondo, quello durante il quale l'elettroencefalogramma registra una netta prevalenza di onde lente, interferisce con la capacità dell'organismo di regolare i livelli di glucosio nel sangue e aumenta il rischio di sviluppare un diabete di tipo 2. E' quanto risulta da una ricerca condotta presso l'University of Chicago Medical Center e pubblicata in anteprima on line sul sito dei Proceedings of the National Academy of Science (PNAS). Il sonno profondo è da sempre considerato quello che dà maggior ristoro all'organismo, ma finora non si era riusciti a dimostrare quale fosse il suo specifico influsso sul benessere fisico dell'organismo. Lo studio appena pubblicato mostra che già dopo tre soli giorni di soppressione selettiva del sonno a onde lente i soggetti diventano meno sensibili all'azione dell'insulina. Per di più, all'aumentato fabbisogno di insulina, non corrisponde una maggiore secrezione dell'ormone da parte del pancreas. La diminuzione della sensibilità all'insulina è pari a circa il 25 per cento, ed è comparabile a quella che si ha in seguito a un aumento ponderale fra i 10 e i 15 chilogrammi. “Dato che la riduzione dei periodi di sonno profondo – ha osservato Eve Van Caute, che ha diretto la ricerca – sono tipici dell'invecchiamento e dei disturbi del sonno correlati all'obesità, come per esempio l'apnea ostruttiva, questi risultati suggeriscono che strategie miranti al miglioramento della qualità del sonno possano concorrere a prevenire o quanto meno a ritardare l'insorgenza del diabete di tipo 2 nella popolazione a rischio.” Per ottenere la soppressione selettiva del sonno profondo, non appena l'elettroencefalogramma indicava che i soggetti monitorati stavano entrando in questa fase del sonno, i ricercatori inviavano attraverso altoparlanti posti vicino al letto una serie di suoni calibrati in modo da non svegliare la persona ma da impedire comunque il manifestarsi delle onde lente. Al risveglio i soggetti ricordavano vagamente di essere stati disturbati “tre o quattro volte”, ma in media gli interventi erano stati fra i 250 e i 300, aumentando via via dalla prima notte a quelle successive, una circostanza che indica che l'organismo accumula progressivamente un sempre maggiore bisogno di sonno profondo. “La diminuzione di sonno a onde lente che abbiamo indotto – hanno osservato i ricercatori – corrisponde al cambiamento nella struttura del sonno a cui si assiste dopo un invecchiamento di 40 anni. I giovani adulti passano nel sonno profondo dagli 80 ai 100 minuti per notte, mentre le persone oltre i 60 anni godono di meno di 20 minuti di sonno a onde lente per notte. Nell'esperimento abbiamo dato ai volontari ventenni il sonno dei loro futuri 60 anni.”

Le Scienze (02/01/2008)




01/01/08

LA MESSA DISERTATA


Religiosità e Religione sono termini che condividono la stessa radice semantica, ma mentre il primo è un concetto originario, il secondo è un’immaginaria successiva costruzione umana. La religiosità è connaturata all’Uomo, è la necessità, per così dire, di dare un senso ultimo all’esistenza; la ricerca del trascendente oltre la materialità della vita. L’Uomo, da che mondo è mondo, ha avuto bisogno di ricercare qualcosa che oltrepassasse l’immanenza e la caducità della propria vita terrena. Un “obbligo” originario e individuale che è comune a tutta l’Umanità, senza distinzione di razze, di popoli e di tempi. Ognuno di noi nel suo intimo più profondo è dunque religioso e tale religiosità non ha affatto necessità né di manifestazioni esteriori identificabili e riconoscibili né di tessere di appartenenza. Le Religioni (al plurale) sono invece, come anzidetto, artificiose costruzioni che attraverso passaggi di tempo, storia, filosofie, economie, guerre, eccetera, sulla base proprio della religiosità individuale, si sono lentamente sedimentate e sono state codificate nonché periodicamente adeguate in base a precise rispondenze socio culturali, allo scopo di controllare e a volte di dominare i popoli cui esse si rivolgevano. La storia lo dimostra chiaramente: le religioni sono state anche strumenti di dominazione e abituale pretesto per guerre sanguinarie. Le Religioni sono plurali e distinte (anche se frequentemente con matrici molto simili) perché hanno dovuto adattarsi alle differenti condizioni dei propri adepti. Tutto ciò premesso e specificato – onde non ingenerare equivoci in chi legge – arriviamo all’attualità. L’anonimo estensore del quiz apparso sul Notiziario Parrocchiale n° 78 del dicembre 2007 pone una domanda semplice nella sua formulazione ma alla quale non è facile rispondere: perché se alla catechesi partecipa il 99% dei ragazzi, alla messa la frequentazione si riduce al 20%? Posso fare delle ipotesi. Non so come vengano indirizzati i ragazzi alla catechesi. Presumo ci siano genitori che li spingono verso questo dovere, quasi scolastico, e che nessuno si ponga sostanzialmente chissà quale interrogativo nel merito. In fondo la partecipazione non costa niente né ai ragazzi né ai genitori. Diciamo che è un’usanza. La catechesi si configura pressappoco come un doposcuola come altri o, se vogliamo, come un’ora di religione cui si partecipa, senza grande entusiasmo, un po’ per gioco e un po’ per forza. La messa è altra cosa. Perché in forma solenne la si celebra di domenica, giorno di vacanza. Perché differentemente dalla catechesi non la si sente come un dovere parascolastico. Ma attenzione, non si pensi che quel 20% che la frequenta sia molto diverso da quel 99% che partecipa alla catechesi. Quel venti lo fa probabilmente per riflesso condizionato, per tradizione, perché così si fa, perché la domenica senza la messa non si può. E qui va chiarito un punto importante: il bollettino ci interroga sui bambini e sui ragazzi. Io penso che (al di là della catechesi) le considerazioni appena fatte valgano però soprattutto per gli adulti. Ed includendo anch’essi credo che la percentuale complessiva di chi frequenta la messa domenicale a Tesero sia addirittura inferiore al 20%. Ad ogni modo, arrivando al nocciolo della questione, mi chiedo: quanti sono di quel 20% (scarso) quelli che a messa ci vanno per un’autentica necessità spirituale? Difficile dirlo, naturalmente. Però se i comportamenti conseguenti significano qualcosa, allora posso presumere che di veramente convinti ce ne siano ben pochi. Ho sempre pensato che il messaggio cristiano (qui inteso di Gesù Cristo) abbia avuto in San Francesco il suo migliore interprete. Ebbene è fuori di ogni dubbio che oggi i principi fondamentali della società in cui viviamo sono totalmente antitetici a quell’interpretazione basata sulle parole rispetto e povertà nel loro significato più profondo. Oggi, in questa società del benessere, per noi, la povertà è un tabù, un segno evidente di indegnità, mentre rispetto è la parola più lontana in assoluto dal nostro modo di vivere. Non c’è rispetto per il Creato e dunque per tutto ciò che esso include. La questione – in estrema sintesi – è tutta qui. C’è totale incompatibilità tra il messaggio e i comportamenti concreti che quel messaggio conseguentemente pretenderebbe e il mondo in cui siamo immersi, viviamo e ci relazioniamo. Possiamo fare solidarietà, possiamo essere altruisti, possiamo accostarci ai sacramenti e tutto quel che si vuole, ma praticare quel messaggio è altra cosa. la Chiesa – come spesso mi ricorda un non molto considerato prete di Tesero – è “fisiologicamente” destinata ad essere privilegio di pochi eletti. Non perché essa voglia escludere, ma perché solo pochi potranno aderirvi compiutamente al di là di una ritualità ripetuta e svuotata di autentico significato. Non c’è alternativa. Penso farebbe bene al nostro spirito inquietato e inquinato dalla troppa materialità soffermarsi un po’ di più ogniqualvolta transitiamo davanti alla chiesa di San Rocco a meditare sull’affresco de I Peccati della Domenica che sono ormai diventati i peccati di tutta la settimana considerato che per assecondare l’idolatria consumista purtroppo non si lavora più per vivere, ma al contrario si vive per lavorare! Cinque minuti di silente contemplazione sul sagrato: ciò ovviamente non risolverebbe la questione ma contribuirebbe forse a rallentare la decadenza spirituale che è di questi tempi ed è in ognuno di noi.


L’Orco

30/12/07

MODERATI DI MASSA


Una borghesia senza principi ma ricca di denaro, di conoscenze, di privilegi, domina il paese senza bisogno, per ora, di leggi speciali e di polizia


I partiti politici italiani sembrano dominati da una frenesia nominalistica, dalla voglia incontenibile di cambiar nome, simbolo, distintivo, bandiera, di camuffarsi, di fingere di essere ciò che non sono. Tutti amanti di una libertà che negano agli altri negli affari, come nell'informazione, come nella giustizia, tutti pensierosi di un popolo che disprezzano, temono e ingannano, pronti a lodare una morale che violano ogni giorno, ogni ora. Non la poltiglia senza nome e senza ideali di cui parla il mio amico De Rita, ma un sistema di ferree complicità fra benestanti, di assoluta reverenza per il dio denaro. In questo sistema che può essere chiamato in vari modi, come consumismo anarcoide, dominio dei manager, produttivismo senza regole, domina un'idea che ha conquistato sia coloro che privilegia, sia quanti a esso si rassegnano: c'è un solo dio, una sola morale, un solo scopo, un solo modello sociale, una sola way of life, una sola pagana religione: il denaro, la ricchezza, i soldi da cui tutto deriva, tutto dipende. Perché milioni di italiani corrono ai gazebo di Berlusconi per aderire appassionatamente alle sue false promesse populistiche, alle sue promesse di ordine e di benessere quotidianamente smentite dalla misera realtà di un paese in declino? Perché sperano di entrare in qualche modo a far parte dell'Italia che rappresenta, l'Italia dei moderati che sono i benestanti di massa, la borghesia senza principi ma ricca di denaro, di conoscenze, di privilegi, che domina il paese senza bisogno, per ora, di leggi speciali e di polizia. Si vuole un esempio recente di questa dittatura morbida? In una fabbrica torinese, un'acciaieria, avviene una strage di operai bruciati vivi da un'esplosione di gas incandescente. È chiaro a tutti che la sciagura è stata causata dal produttivismo ossessivo, dalla mancanza di precauzioni e di prevenzioni. In una società meno consumistica, meno serva del profitto a ogni costo scoppierebbe una rivoluzione, una rivolta di popolo. Nella Torino del capitalismo anarcoide niente: gli operai morti vengono sepolti, i parenti risarciti con modeste regalie, i padroni della fabbrica liberi e anche sdegnati, la colpa non è loro, ma degli operai che dovevano badare agli estintori. Cercare altri esempi, ricordare altri esempi è persino ridicolo. Giornali e case editrici non fanno altro che sfornare libri, memoriali, saggi in cui si raccontano per filo e per segno le violazioni delle leggi, dei regolamenti, dei normali rapporti civili avvenuti nel paese. Un libro dal titolo 'Gomorra' racconta con realismo estremo i delitti della camorra, un altro, 'La Casta', elenca i notabili che dovrebbero stare in galera, i cortigiani del capo dei moderati fanno gli elogi dello stalliere mafioso che doveva essere associato all'ergastolo e invece accompagna a scuola i figli del padrone. Ma perché questi libri sono dei bestseller, perché le loro edizioni si succedono? Perché i lettori vogliono finalmente conoscere il marcio che li circonda? No, credo che il vero movente sia un altro, sapere come i furbi sono riusciti a fare i soldi, a diventare ricchi e potenti violando quei freni per gli sciocchi che sono le leggi. Poi anche nella società del capitalismo anarcoide qualcuno capisce come stanno veramente le cose, esce dall'apatia, s'infuria. Ma sono jacqueries: tumulti da lazzaroni che la classe dominante dei moderati di massa può sopportare, chiusa nei suoi quartieri blindati.

Giorgio Bocca L’ESPRESSO 28 dicembre 2007

29/12/07

VORACITA'


Mentre il discorso critico contro l'orrore economico passa sempre più difficilmente, tanto da diventare inudibile, si sta facendo strada un nuovo capitalismo ancora più brutale e prevaricatore. Siamo in presenza di una categoria inedita di avvoltoi, chiamata private equities: si tratta di fondi d'investimento dotati di un appetito da orchi, che dispongono di capitali macroscopici. Questi titani - The Carlyle Group, Kohlberg Kravis Roberts & Co (Kkr), The Blackstone Group, Colony Capital, Apollo Management, Starwood Capital Group, Texas Pacific Group, Wendel, Eurazeo ecc. - sono poco conosciuti dal grande pubblico. E al riparo dalle indiscrezioni stanno mettendo le mani sull'economia mondiale. In quattro anni, dal 2002 al 2006, l'ammontare dei capitali incamerati da questi fondi d'investimento, che rastrellano il denaro delle banche, delle assicurazioni, dei fondi pensione nonché i patrimoni di privati ricchissimi, è passato da 94 a 358 miliardi di euro. Hanno una potenza di fuoco finanziaria fenomenale - oltre 1.100 miliardi di euro! - alla quale nulla può resistere. L'anno scorso, negli Stati uniti le principali private equities hanno rilevato imprese per un totale di circa 290 miliardi di euro, e soltanto nel primo semestre del 2007 per più di 220 miliardi, prendendo così il controllo di ben 8.000 società. Hanno ormai alle loro dipendenze un lavoratore su quattro in Usa, e poco meno di uno su dodici in Francia. Peraltro la Francia, dopo il Regno unito e gli Stati uniti, è divenuta il loro principale obiettivo. L'anno scorso hanno fatto man bassa su 400 imprese (per un totale di 10 miliardi di euro) e ne gestiscono ormai più di 1600. Diversi marchi molto conosciuti - Picard, Dim, i ristoranti Quick, Buffalo Grill, le Pages jaunes, Allociné, Affelou - sono passate sotto il controllo di private equities, il più delle volte anglosassoni. Che ora hanno adocchiato alcuni giganti del Cac 40, il listino di borsa francese. Il fenomeno di questi fondi rapaci ha fatto la sua comparsa una quindicina d'anni fa; ma in questi ultimi tempi, drogato dai crediti a basso costo e col favore della creazione di strumenti finanziari sempre più sofisticati, ha assunto dimensioni preoccupanti. Il principio è semplice: un club di investitori con grandi disponibilità di denaro decide di rilevare aziende per gestirle in proprio, lontano dalla borsa e dalle sue regole vincolanti, senza dover rendere conto a qualche azionista puntiglioso. L'idea è di aggirare gli stessi principi dell'etica del capitalismo, scommettendo esclusivamente sulla legge della giungla. Concretamente, come ci spiegano due esperti, le cose si svolgono come segue: «Per acquistare una società che vale 100, il fondo investe 30 di tasca propria (si tratta di una percentuale media); gli altri 70, li prende a prestito dalle banche, approfittando dei tassi di interesse molto bassi del momento. Nel giro di tre o quattro anni, senza cambiare il management, riorganizza l'impresa, razionalizza la produzione, sviluppa nuove attività e usa i profitti, interamente o in parte, per pagare gli interessi... del suo proprio debito. Dopo di che rivende la società a 200, spesso a un altro fondo che dal canto suo procederà allo stesso modo. Così, con un investimento iniziale di 30, una volta rimborsati i 70 del prestito si ritroverà in tasca 130: in quattro anni, un ritorno di più del 300% sul proprio investimento iniziale. Chi può volere di meglio?». Mentre guadagnano personalmente cifre demenziali, i dirigenti di questi fondi non si fanno scrupolo di mettere in pratica i quattro grandi principi della «razionalizzazione» produttiva: ridurre l'occupazione, comprimere i salari, accelerare i ritmi e delocalizzare. E in questo sono incoraggiati dalle autorità pubbliche, che sognano - come nella Francia di oggi - di «modernizzare» l'apparato produttivo. Alla faccia dei sindacati, che stanno vivendo un incubo, e denunciano la fine del contratto sociale. Qualcuno pensava che la globalizzazione sarebbe servita a saziare finalmente il capitalismo. Ma evidentemente la sua voracità sembra non avere limiti. Fino a quando?

Ignacio RAMONET - L.M.D. 11/2007

27/12/07

NUOVA VIABILITA' TESERO - PUNTI DI VISTA


Egregio Euro,
benché io sia d'accordo con te nel merito della questione, e aspiri un giorno a vedere Tesero (centro storico -non levatemi la macchina nella libera repubblica di Socce) come un Paese-Museo, trovo che la realizzazione della nuova viabilitá serbi in sé notevoli debolezze. Ecco i miei dubbi. 1. mi pare di capire che, secondo te, la nuova viabilità sia un modo per spingere la gente a non usare la macchina per brevi tratti; ora ammesso che ciò miracolosamente si realizzi, credi davvero che i sìori de tiezer (quei de Arestieza, fra i tanti) lascino il Suv a casa per andare a bere il bianco al Filò? 2. perché tutti o quasi i sensi unici del centro costringono ad andare in su e si scende, o per il labirinto di via del Marco-Teatro-Gesa (o Peros, IV Nov.) o, forse meglio, per la circonvallazione di Stava? Ecologicamente parlando una macchina non consumerà e inquinerà di più a salire, costretti ad ogni torna a metter prima? Quindi, perché non fare il contrario? Non sarebbe più eco-logico? Concludo. Vedendola dalla libera Rep. di Socce, la nuova viabilità è interessante, forse razionalizza, forse spingerà qlc da via Fia al Betta a prender il pane a piedi. Ma dubito che salvi l'ambiente, il Paese e le sue pie anime dall'antiquità dell'uomo. Con i miei migliori auguri

Alex



Egregio Alex,
in premessa ti confermo che, come avevo previsto, a due settimane dall’entrata in vigore del nuovo piano della viabilità, per causa di esso in paese nessun caso di suicidio mi risulta sia stato ancora riscontrato. Ho verificato inoltre che la situazione relativa al centro paese, con riferimento a via Stava, via Fia, via Cavada e l’incrocio del “Topo”, è notevolmente migliorata. Non conosco al momento il motivo tecnico che ha fatto decidere il Comando Vigili Urbani di valle di scegliere la direzione dei sensi unici che tu contesti, ma – considerata la lunghezza complessiva dei tratti stradali interessati – non credo ci sarebbe stata gran differenza se i sensi di marcia fossero stati invertiti rispetto a come sono. Inoltre, differentemente da te,
non auspico affatto che il centro storico diventi un paese museo, anzi. Lo voglio piacevolmente vivo: con gente che parla e cammina, che respira aria buona, che frequenta negozi, che si gusta passeggiando un gelato senza leccare anche "particolato" di gasolio, che discute in tranquillità, senza rumori di motori che inquinano l’udito, con bande che suonano e spettacoli teatrali "out-door" che allietano le serate estive…
Per quanto al tuo punto 1 ti rispondo che non lo so se i signori di Restiesa in conseguenza della nuova viabilità rinunceranno a trasferire i loro stanchi sederi sino a piazza Battisti in Suv o no, però lo spero vivamente. Farebbe soltanto bene alla loro salute. Mi sembra di capire che quell’avverbio “miracolosamente” che tu usi sottintenda quanto tu dubiti della possibilità che l’uomo possa affrancarsi dalla sua stupidità. È un dubbio che condivido. L’ho detto e lo ripeto: il centro storico di Tesero è di una così limitata estensione che solo la stupidità e la presunzione possono far considerare questo provvedimento viabilistico pregiudizievole a un “giusto diritto alla mobilità”.
Se si entra in un qualsiasi centro storico di città, con accesso e viabilità regolamentati, come per esempio quello nemmeno grandissimo di Bologna e si fa un semplice paragone tra la superficie cittadina inibita al transito e il complesso delle interconnessioni che vanno a mettersi in gioco rispetto alla nostra piccola realtà paesana, allora capiamo quanto siamo davvero provinciali e cafoni.
Infine, se c’è ancora chi crede che ostentare il Suv o la Ferrari faccia aumentare la considerazione, il rispetto e l’ossequio della gente nei suoi confronti e che perciò si arroga il diritto di girovagare in lungo e in largo per l’abitato – tanto per vedere l’effetto che fa – credo sia giusto limitare il transito un po’ ovunque.
Auguri anche a te

euro

INCANTO NOTTURNO

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Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

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Bepi Zanon

TESERO 1929

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Foto Anonimo

PASSATO

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Foto Orco

ANCORA ROSA

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VIA STAVA ANNI '30

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TESERO DI BIANCO VESTITO

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LA BAMBOLA SABINA

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LA VAL DEL SALIME

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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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MINU

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