12/10/08

GIOVENTÙ BEVUTA


Cominciano a bere a 11 anni, a 16 sono alcolizzati. Da Napoli a Vicenza, viaggio tra i ragazzi che si stordiscono di birra, vino, liquori. Una generazione che si ubriaca per trovare un'identità e sentirsi libera. Martina ha 15 anni, l'alito che sa di grappa e il naso sporco di sangue. Alle due di pomeriggio è seduta sul ciglio della strada nel centro di Milano, tra autobus che la sfiorano e passanti che la ignorano. Ha gli occhi socchiusi e l'aria assente. Poi si riaccende, vede che non è sola e racconta senza imbarazzi le sue giornate: “Tutte uguali”, dice: “La mattina passo dal supermercato e compero birra, grappa e pseudo soft drink. Poi arrivo a scuola e mi faccio dare i soldi dai compagni che bevono con me. Ci chiamano i bottiglioni, ma chi se ne frega. All'intervallo andiamo nei bagni e ci sfondiamo di alcol, dopo di che torniamo in classe e stiamo da dio. A volte ci assopiamo pure, mentre i professori fanno lezione e fingono di non vedere. O forse non si accorgono proprio, questo non l'ho ancora capito”. Così ogni giorno, ogni settimana. Solo che oggi, 27 settembre, le lezioni sono finite male. Uscita dal liceo scientifico, Martina è andata in confusione ed è caduta con il motorino. Allora tutto è girato storto e “m'è venuta la paranoia”. Ma non c'è problema, dice: “Questo weekend lo passo in casa a studiare. Lunedì m'interroga la prof di latino e voglio uscirne bene”. Leva il sangue dal viso con un fazzoletto rosa, si aggiusta in spalla lo zainetto e saluta: apparentemente normale. Sorridente. Contenitore perfetto per nascondere il suo problema. Quello che Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, definisce un'epidemia culturale tra i giovani. Il bere per il bere: a qualunque ora, senza limiti. Per la voglia di ubriacarsi, di fulminarsi e andare altrove: “In una dimensione irreale dove i ragazzini cercano un'identità”, dice Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio nazionale alcol all'Istituto superiore di sanità: “Un buco nero nel quale troppi minori scivolano senza accorgersene”. Peggio ancora va con gli adulti: “Nel senso che sottovalutano gli abusi alcolici dei figli”, dice Scafato. In questi giorni l'attenzione è centrata sulle tabelle antisbronza che discoteche e pub espongono dal 23 settembre. L'obiettivo è limitare i danni del sabato sera, centinaia di ragazzi che puntualmente si schiantano in automobile. Ma il problema parte prima, molto prima della maggiore età. “L'Italia”, dice Scafato, “ha un orribile record: si inizia a bere a 11 anni, contro la media europea di 13” Il resto è spiegato nell'ultima indagine Istat. Dal 1998 al 2007 il consumo di alcol fuori pasto tra i 14 e i 17 anni è passato dal 12,6 al 20,5 per cento: con le ragazze salite dal 9,7 al 17,9 e i maschi dal 15,2 al 22,7. Il che è l'opposto dello stereotipo nazionale: quello dell'adolescente con il goccio di vino a tavola, sotto lo sguardo complice di mamma e papà. Ma è in linea con il 19,9 per cento dei ragazzi che tra gli 11 e i 15 anni bevono alcol almeno una volta l'anno (54,7 nella fascia tra i 16 e i 17). E con il 7 per cento che tra i 14 e i 17 anni ammette di bere alcolici almeno una volta la settimana. Francesco alza le spalle, quando sente le statistiche. C'è anche la sua storia, in questi numeri, ma non gli importa. Da tre anni ha finito le scuole medie, fa il manovale nei cantieri fuori Roma e alle 11 del mattino gira per le impalcature con una bottiglia di birra in mano. “Bere è bello”, dice: “Cioè, ti stordisce. Però t'aiuta...”. Sei mesi fa, racconta, è andato in crisi: “L'idea di scaricare mattoni a vita m'ha mandato ai matti”. Allora ha provato a cambiare settore: fattorino, magazziniere, idraulico. Porte chiuse in faccia. A 16 anni, con 500 euro al mese in nero, si è sentito finito. E ha iniziato a bere: prima in compagnia, tutte le sere “birra, vino, whisky, ma anche sambuca e amari”; poi sul lavoro, senza pensare ai rischi. Finché un giorno è caduto da un primo piano e si è spaccato un braccio. “Al pronto soccorso il dottore m'ha sgamato”, ricorda: “M'ha detto di andarci piano, con le bevute. E io ho risposto: esagero, invece. Meglio ammazzarsi di vino che 'sto strazio”. I medici usano altri termini, per fotografare le baby sbronze. Parlano di binge drinking, l'abitudine a “consumare eccessive quantità di alcol (per convenzione sei o più bicchieri) in un'unica occasione”. Ma la questione non cambia: “I ragazzi italiani, a prescindere dalla latitudine e dalle classi sociali, hanno conferito al bere un potente ruolo sociale”, dice lo psichiatra Michele Sforza, direttore del servizio Alcologia alla clinica Le Betulle di Appiano Gentile (Como): “Ubriacarsi, per loro, è un po' come apparire in televisione: esalta l'esistenza, la giustifica e la proietta oltre gli ostacoli. Niente a che vedere con la trasgressione: al contrario, gli under 18 si ubriacano per conformismo. Per farsi forza. Non vogliono essere sfigati e bevono: come tutti quelli che li circondano”. Le conseguenze rimbalzano sui quotidiani. A Belluno, questa estate, una quattordicenne è stata ricoverata in coma etilico dopo un festino diurno. Sempre in Veneto, il ‘Gazzettino’ ha titolato: “Trecento adolescenti l'anno in coma etilico”. A Rimini, il pronto soccorso ha registrato in due mesi (giugno e luglio) 200 casi di forte alterazione alcolica, con il 40 per cento delle ragazze tra i 16 e i 22 anni. “I giovanissimi bevono sempre di più”, conferma Mario Cavazza, direttore del pronto soccorso al Sant'Orsola di Bologna, “ma inquadrare il fenomeno è difficile. Molti non vengono in ospedale perché informiamo le famiglie”. “Piuttosto”, dice Maria Paola, 17 anni, istituto tecnico a Bari, “dormo da un'amica, deliro un po' e passa tutto. Cioè: quasi sempre passa. A volte esagero e svengo, anche due o tre volte di fila. Perdo il controllo e parto con la testa. Finalmente non c'è mia madre che rompe, o mio padre che urla perché ha perso l'ennesimo lavoro. Ci sono soltanto io: libera da tutto e tutti”. Di queste storie è affollata Internet. Basta entrare nella comunità di Facebook e digitare la parola “sbronza”. Così s'incontra il gruppo dei 'Non siamo alcolisti anonimi ma ubriaconi famosi', ragazzi ad alta gradazione con slogan tipo I believe in alcol e Datemi un cuba!!!!. Oppure trovi il gruppo di 'Quelli per cui l'alcol è il primo nemico... e davanti al nemico non scappano', 2 mila 664 iscritti. Scrive Marco: "Ecco... allora... Io la più grande botta che mi sono preso è stato al compleanno di un amico. Mi sono sparato un litro e mezzo di sangria, due bottiglie di spumante e non so che altro. Il brutto è che la sangria si fa con il vino rosso e basta, mentre l'avevano fatta con rosso+bianco+frizzantino+spumante. Ho vomitato a letto mentre dormivo e ho svegliato tutti in casa. Quando alle quattro di notte i miei sono entrati in camera, ero incosciente. Stavo per affogare nel vomito. E ovviamente, il giorno dopo, amnesia totale...". Si potrebbe pensare: i ragazzi, minori e non, hanno sempre bevuto. Magari un po' meno, magari senza l'attenzione dei giornali addosso. Ma non è così: "È cambiato tutto", dice Riccardo Gatti, direttore del dipartimento delle Dipendenze all'Asl di Milano: “I minori bevono in quantità impressionante perché il sistema dei new media li induce a farlo. Chi produce alcolici agisce on line, crea consenso indotto, spara input suggestivi. E finisce l'opera con la pubblicità, abbinando l'alcol a immaginari vincenti. Così l'appello al ‘bere consapevole’ non ha senso. Anche perché i minori bevono già 'consapevolmente': vogliono stravolgersi e usano l'alcol come una droga”. “Verissimo”, dice Eli, 14 anni, capelli a caschetto, All Star ai piedi e idee chiare in testa: “Sappiamo cosa facciamo e siamo meno ipocriti degli adulti. L'altro giorno, ad esempio, sono andata sul sito della Campari. Volevo vedere se c'era qualcosa di nuovo da bere. Di solito mi faccio calette di vodka e Red Bull, che aiuta a stare sveglia, ma avevo voglia di cambiare. Sullo schermo, però, è apparsa la scritta: ‘Se vuoi accedere alla sezione Brand devi essere maggiorenne’. Sotto c'erano due pulsanti: uno per i minori e l'altro per gli over 18. Ho premuto il secondo, ho inserito la data di nascita di mia madre e sono entrata alla grande. Non è assurdo?”. In effetti sì. Ma non è l'unica stranezza, sul fronte dell'alcol. Un altro paradosso lo segnala il dottor Gatti: "Con la legge 125 del 2001 è stata creata la Consulta nazionale dell'alcol. E da chi è composta, oltre che da medici qualificati e addetti ai lavori? Da un rappresentante delle associazioni di produttori e venditori di alcol". Incredibile, dicono i medici: “Come se nella consulta sulla droga ci fosse un trafficante colombiano...”. “D'altro canto”, ribatte il presidente di Assobirra Filippo Terzaghi, “sarebbe assurdo se all'interno della Consulta, dove si affrontano gli aspetti commerciali del bere, non ci fosse la nostra voce. Polemiche a parte, c'è un punto sul quale concordiamo tutti, studiosi, produttori e Organizzazione mondiale della sanità: i ragazzi con meno di 15 anni non devono assolutamente bere alcolici. Lo ribadiamo di continuo. Anche per una ragione pratica: non vogliamo pubblicità negativa”. Intanto, le notti italiane sono affollate di minorenni ubriachi. Dalla Puglia all'Emilia Romagna, dal Lazio al Veneto è una fila continua di bicchieri vuoti. Si decolla il pomeriggio con l'happy hour a base di cocktail o ready to drink (mix alcolici in bottiglietta) e si atterra a notte fonda con assortimenti vari. L'Istat specifica che le bevande più diffuse nella fascia 11-17 anni sono birra (18,6 per cento), aperitivi (15,2), vino (11,7), amari (6,2) e superalcolici (7,7). Un affare da milioni di euro che non conosce crisi. Verificarlo è facile: basta infilarsi un mercoledì sera nella movida milanese di viale Montenero, davanti al Cafè Mom. Oppure seguire i quattordicenni sbronzi che, alle Colonne di San Lorenzo, fanno collette per comperare cocaina. O ancora, sbarcare un sabato qualunque nel centro di Vicenza, dove gli under 18 si trovano dopo cena a strabere. Ciondolano davanti all'Ovosodo, al Grottino o all'Osteria Cancelletto, con i bicchieri in mano e le espressioni stranite. “Non conoscono limiti”, dice Fabio Casarotto, titolare del Cancelletto. “Molti iniziano la serata bevendo gli spritz (Aperol, Campari, seltz, vino bianco) e continuano a oltranza con i chupiti: bicchierini di rum o tequila da ingurgitare in un colpo secco. Logico che fondono: bevono, tirano coca e non andrebbero mai a dormire”. Mirko, Leo e Stefania, per esempio, all'una di notte hanno finito il giro dei locali vicentini. Sono brilli, un po' fumati, ma hanno ancora voglia di alcol. “Vai di beverone!”, ride Stefania (17 anni). Poi s'attacca a una bottiglia di plastica da un litro e mezzo piena di liquido verdastro. “Lo prepara lei”, dicono Mirko e Leo (entrambi 15 anni). “Non sappiamo neanche cos'è: ci stende e basta”. Non temono di diventare alcolisti. Bevono soltanto nel fine settimana: “Per gioco, per dare il meglio in compagnia”, dicono. Eppure è questa, ricorda Scafato dell'Istituto superiore della sanità, la strada maestra verso la dipendenza: “Il problema è dialogare, con questi ragazzini. Renderli consapevoli dei rischi. E ragionare, intanto, con le strutture di analisi e prevenzione: dalla Consulta ai servizi territoriali, fino alle associazioni volontarie”. In pratica, quello che avverrà il 20 e 21 ottobre a Roma nella prima Conferenza nazionale sull'alcol. Un appuntamento preceduto da grandi aspettative e qualche polemica. Ad esempio, c'è chi considera inadeguato il milione 32 mila 914 euro stanziato annualmente dal ministero della Salute per “le azioni di informazione e prevenzione” contro l'alcolismo; soprattutto se paragonato ai 4 milioni 986 mila euro spesi nel 2007 dal ministero della Salute per la lotta all'abbandono degli animali. “Ci vogliono mezzi, personale e fondi a tutto campo”, dice Germano Zanuzzo, responsabile del Sert (Servizio pubblico tossicodipendenze) di Treviso. “Fino agli anni Novanta i ragazzi non bevevano regolarmente: anzi, lo giudicavano un comportamento da vecchi. Ora ubriacarsi fa tendenza. Sintonizza i giovanissimi con la società degli adulti, i cui le sbronze premeditate sono l'altra faccia dell'efficentismo sfrenato”. Anche da questo, parte l'appello un po' retrò del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi (con delega a famiglia e droga): “Bisogna puntare sul ruolo della scuola, delle associazioni sportive e della chiesa", dice. Propone di non concedere il patentino ai sedicenni che abusano di alcol o droghe. E vigila come può, estendendo a tutta Italia i controlli stradali. Ma deve confrontarsi, alla fine, con un Paese dove i divieti antisbronza sono pochi e poco rispettati: niente alcolici nei locali dopo le due di notte, massimo 0,5 grammi di alcol per litro nel sangue di chi guida. E niente mescita di alcolici ai minori di 16 anni. “In altre parole”, dice Roberta Agabio dell'Università di Cagliari, membro della Società italiana di alcologia, “i ragazzi non possono bere alcolici versati in bicchiere, ma possono acquistarli in bottiglie chiuse”. Grottesco, vista l'emergenza in atto. “Le storie con cui ci confrontiamo", dice Agabio, “hanno per protagonisti undici-dodicenni che a 16 anni sono dipendenti. Giovani con evidenti difficoltà fisiche e psichiche: dalla gastrite alla depressione, fino alle esplosioni di aggressività”. Un repertorio che Claudio, geometra genovese, conosce bene. Lui i 18 anni li ha passati, ma il suo disastro è cominciato in quinta elementare. “Mia madre”, racconta, “mi mandava a comperare il vino da un grossista vicino a casa. E quello, per cortesia, mi offriva un bicchiere di rosso. Da allora ho bevuto di tutto: birra, cocktail, superalcolici. Anche amari e vino: tanto vino. Sono arrivato a scolarmi due, tre bottiglie a sera. E a buttarci sopra, per compensare, la cocaina”. Un inferno che i genitori intuivano, ma non osavano affrontare: “Ti droghi?, chiedeva ogni tanto mio padre. E io: No, stai tranquillo, bevo solo qualche bicchiere. Al che mi lasciava stare. Perché anche lui beveva, al bar”. Oggi Claudio partecipa regolarmente alle riunioni degli Alcolisti anonimi, l'organizzazione auto-finanziata che dal 1972 aiuta in Italia le vittime del bicchiere. Si siede attorno a un tavolo con altri venti bevitori e parla del suo problema. Ad ascoltarlo c'è Francesca, segni freschi sul polso di un tentato suicidio. C'è Giorgio, aria benestante, che vuole “ricostruire i sogni infantili distrutti dall'alcol”. E c'è Mauro, ex campioncino di ciclismo, bruciato da vodka, rum e acidi. C'è, insomma, un'umanità in bilico che costruisce solidarietà tra bevute e ansie. Tutti si presentano allo stesso modo: con il nome di battesimo e l'aggettivo ‘alcolista’. E tutti ripetono lo stesso invito, rivolto non ai minorenni, ma ai loro genitori: “Smettetela con la storiella che il vino fa bene, che un bicchiere a tavola fa sangue. Aprite gli occhi e tutelate la salute dei vostri figli”. Parole chiare. Mutuate, non a caso, dall'Organizzazione mondiale della sanità, la quale punta per il 2015 all'azzeramento dell'alcol tra gli under 15. “La sfida è pesante”, dice Aniello Baselice, presidente dell'Aicat (l'Associazione italiana dei club per alcolisti in trattamento, attiva in Italia con 2 mila 300 gruppi multifamiliari): “Dobbiamo aiutare i ragazzi a riconoscere di avere un problema con l'alcol. Soltanto a quel punto, è possibile il recupero umano e psicologico”. Proprio come dovrebbe fare Patrizia, 16 anni, campana, da quattro anni persa nell'alcol. Lei sa che si sta distruggendo. Sa, anche, che bere prima dei 15 anni quadruplica il pericolo della dipendenza. Ma non si è mai frenata: “Dopo una partita della Salernitana”, ricorda, “ero talmente fusa che mi hanno ricoverata in ospedale. Sono fatta così, e la società non mi aiuta a cambiare”. L'altra sera, ad esempio, è andata all'inaugurazione di una discoteca. Non voleva ubriacarsi, “ma gli alcolici erano gratis mentre gli analcolici no. A notte fonda ero sbronza e furibonda assieme. Non si fa così, non si specula sulla nostra pelle”.

Riccardo Bocca

10/10/08

LEGGE BAVAGLIO



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PAPA SEX


Papa Ratzinger ha 80 anni compiuti. Non c’è da stupirsi se non trascorre giorno - ora che purtroppo ha alle spalle l’intera vita trascorsa presumibilmente illibata - senza che in nome e per conto di Dio si occupi di sesso. Il sesso degli uomini che lo inquieta. Il sesso delle donne che ha solo immaginato. Il sesso dei riti coniugali che non conosce. La purezza opposta al sesso. La procreazione opposta al piacere. Lo spavento per l’omosessualità, la masturbazione, la pornografia. Una vera ossessione. L’ultima è che “la contraccezione nega il significato stesso del matrimonio”. La pienezza dell’amore, dice il Papa, non ammette preservativi, pillole o il diaframma, anche se è disposto a chiudere un occhio sul calcolo delle ovulazioni Ogino Knaus. Come se il Dio universale si occupasse di frugare in ogni letto, quando cala la sera, per controllarne il candore o l’impudicizia, la regolarità delle intenzioni e dei metodi, proprio come facevano le nonne di casa Gozzano, ignare anche loro di quanta impudicizia e di quante irregolarità si nutra l’amore. Quello che fa sorridere, di quei risibili precetti è il tono altisonante con cui vengono pronunciati dai tempi dell’Humanae Vitae. Le sedi pomposamente dorate. Le circostanze rituali che li accompagnano, ermellini, pergamene, scarpini di seta. La convinzione che siano destinati a un gregge di quadrupedi e non a una contemporanea società di donne e uomini consapevolmente adulti. Ma se uno considera i rischi planetari della demografia, la povertà, la fame, le malattie, i dolori universali riservati ai nuovi nati nei due terzi del pianeta, quei precetti d’alto intelletto, sentenziati al sicuro, nel tepore dei ricchi palazzi vaticani, non fanno più sorridere, ma risultano così irresponsabili da diventare offensivi. Il papa, a fine prolusione s’è lamentato che “i cattolici non ascoltano abbastanza”. Meno male.

Pino Corrias

08/10/08

YANKEES GO HOME


Tutti si preoccupano di cosa può succedere. Le banche non si fidano più delle banche. Tra di loro non si prestano più soldi. Il veleno introdotto nel sistema finanziario mondiale dai titoli tossici made in USA sta producendo i suoi effetti. Nessuno al mondo sa dire quanta sia la quantità di veleno americano e dove si trovi. La SEC, la FED, il Governo di Bush, il ministro del Tesoro Paulson dov’erano in questi anni? Mentre la loro nazione baluardo di libertà esportava cannoni e CDO e subprime, titoli su debiti inesigibili. Lo sapevano questi bastardi che erano inesigibili. Una merda introdotta nei fondi e nei derivati che produrrà decine di milioni di disoccupati, di senza tetto, di risparmiatori disperati. Il debito pubblico americano è il più alto del pianeta, gli Stati Uniti consumano un terzo delle risorse della Terra, ma sono solo 300 milioni su 6,7 miliardi. Per rimanere in piedi devono controllare l’economia mondiale con la finanza e con le armi. Gli Stati Uniti spendono 560 miliardi di dollari OGNI ANNO per gli armamenti, per le centinaia di basi militari sparse per il mondo, dal Giappone, a Cuba, a Vicenza. La seconda nazione per spese militari è la Gran Bretagna con 59 miliardi di dollari, quasi un decimo, e la Russia di Putin segue con 35. Il mondo paga la tenuta del dollaro, i 560 miliardi di dollari in armamenti. Gli Stati Uniti, di fronte a questo disastro finanziario, dovrebbero fare come la Germania nazista sconfitta e costretta a pagare i debiti di guerra e corrispondere i debiti di PACE alle nazioni che ha messo in ginocchio.Tra Saddam e Bush chi ha fatto più danni? Più morti? Il primo è stato impiccato dal secondo che, nel frattempo ha impiccato anche l’economia mondiale. Da chi è stato eletto Bush? Dalla finanza americana, dalla National Rifle Association, l’organizzazione che promuove l’industria delle armi, dai petrolieri. Nel 1989 è caduto il muro di Berlino, nell’ottobre 2008 è caduto il muro di Wall Street insieme al delirio di una globalizzazione governata da chi ci guadagnava sopra. L’URSS non esiste più. Gli Stati Uniti, per adesso, ci sono ancora e ci spiegano l’economia, la finanza, la libertà. Ci occupano per proteggerci, fanno fallire le nostre banche, le nostre borse. Yankees Go Home, con le vostre armi, le vostre atomiche, la vostra finanza creativa. Non credo che le banche falliranno, ma non è questo il vero pericolo. Tra pochi mesi il crollo della finanza si trasferirà nell’economia reale, nella produzione. In primavera nessuno penserà più al titolo delle azioni o al conto corrente, ma al posto di lavoro, ad arrivare alla fine del mese.

Beppe Grillo

A LORENZO


Gentile Lorenzo, scusa il leggero ritardo di questa mia risposta. Dunque, come hai inteso, nel microcosmo teserano tutto si tiene, compresa l’apparentemente lontana questione energetica. In premessa devo dirti che le risposte alle tue considerazioni sono già incluse nei post scritti precedentemente. Comunque, visto che me lo chiedi, ti ribadisco ciò che penso. La questione viabilità – che, fra quelle trattate, tu dici sia quella che forse ha fatto più discutere in paese – è paradigmatica proprio di quel non voler capire che nel lavoro in fieri del Gruppo di Discussione Critica (da poco recensito su questo blog) è stato ben messo in evidenza. Forse, in questo caso, i paesani più che non voler capire, non sono (ancora) riusciti a capire. E proprio per questo, quando anch’io due anni or sono sollecitai il Comune a considerare l’ipotesi di una revisione della viabilità automobilistica del paese (della parte vecchia del paese!), avevo ben fatto presente l’opportunità di agire nel merito su tre fronti distinti ma complementari: informazione, azione, controllo. L’informazione (non nei termini che auspicavo e che avevo suggerito) è stata fatta attraverso un paio di articoli sui giornali locali e la serata di presentazione del piano tenuta il 07/12/2007. Purtroppo, come ben notavi, taluni hanno presto manifestato quel “fare all’ italiana”, furbesco e farabutto, che ritarda e ostacola l’assimilazione di ogni processo novatore e che, differentemente da ciò che i nostri cari Schützen pensano noi siamo, è ben presente, eccome, anche in questa (a parole) filo-tirolese comunità. E tanto per chiarire la differenza, è fuori di ogni dubbio che per una riforma così minuscola in un qualsiasi paesino tedesco o austriaco il “disagio” sarebbe durato 2 o 3 giorni al massimo, non 10 mesi!
Riguardo alla mia critica alla “Corte” che tu ritieni troppo aspra perché “negli ultimi anni si è tentato di fare qualche passo indietro, ristrutturando quello che era lo spirito presente nei primi anni in cui avevano luogo (…) ” e perché “ci sono persone che mettono veramente il cuore in ciò che fanno (…)”, chiarisco che io non biasimo affatto la messa in scena delle rievocazioni attuali rispetto a quelle delle edizioni dei primi anni ’80, non contesto cioè la qualità delle rievocazioni. Io contesto le rievocazioni tout court. Perché non ha alcun senso riproporre, per una sera o una settimana, un passato totalmente abiurato nei fatti e nei comportamenti non soltanto dai “rievocatori” ma dall’intera popolazione. Sono – come scrivevo in un post dell’agosto 2007 – rievocazioni “di plastica”, prive di un “cordone ombelicale” con l’antica fondamentale economia del posto. Sono semplicemente operazioni promozionali, pro turismo e pro domo di qualcuno. Nei figuranti, che accorrono solletici e disponibili alla “recita”, evidentemente non c’è consapevolezza di ciò e mi rendo ben conto che i giovani come te, nati quando in paese si organizzavano le primissime edizioni, non possano capire precisamente. Ma quelli che invece hanno avuto il privilegio di nascere in un’ epoca precedente e hanno il ricordo del prima e la visione del dopo, se per un attimo svestissero l’abito dell’ipocrisia (altra precipua caratteristica del luogo), non potrebbero non vedere l’assoluta incongruenza e la falsità che dietro a queste rievocazioni si nasconde. Riguardo all’impegnativo lavoro del Gruppo di discussione Critica spero che possa venire ultimato tra non molto e che – come auspicato – la sua pubblicazione venga finanziata da un qualche ente benefattore. Energia e fame nel mondo. Credo che la fame del terzo e del quarto mondo non dipenda dall’indisponibilità di energia esistente in quei mondi. Casomai è la troppa energia che consumiamo noi che affama più della metà del resto del mondo. Un consumo che va oltre il necessario (abbondantemente oltre) per garantire un tenore di vita assurdo (oggi esportato, ahinoi, anche in Cina ed India). E di questa assurdità – tanto per restare nel nostro piccolo microcosmo – la mobilità privata ne è il culmine, (i SUV – come scrivi bene – sono uno dei più eclatanti esempi di spreco e, proprio nel nostro bel paesello, essi, credo, abbiano superato numericamente le auto, per così dire, “normali”). Basta un piccolo ragionamento per capire che proprio la mobilità privata in tutte le sue forme considerta (e con tutte le sue innumerevoli conseguenze a catena) è all’origine del collasso ambientale globale. Siamo letteralmente immersi in una società che ci induce, ci istiga, con le sue armi di persuasione di massa, al consumo e all’ostentazione di esso, che travalica di gran lunga la soglia del cosiddetto benessere. Per corrispondere a questa irresistibile dipendenza divoriamo energia in un rilancio continuo che è naturalmente insostenibile! Ecco cosa dice in proposito padre Alex Zanotelli: “(…) l'uomo oggi ha davanti a sé una grande scelta sulla qualità di vita - che io chiamo una rivoluzione culturale, etica e religiosa - che lo fa diventare un altro uomo, cioè un uomo planetario. Da uomini "sapiens" dobbiamo diventare uomini planetari se ci vogliamo salvare. Perché? Perché oggi la globalizzazione porta a far sì che l'11% della popolazione mondiale consuma da sola l'88% delle risorse di questo mondo lasciando a 3 miliardi di esseri umani di vivere con meno di 1 euro al giorno. La conseguenza di questo sono 50 milioni di morti di fame che avvengono all'anno. Io lo chiamo questo il peccato del mondo. E questi 11% che sono i ricchi, non vogliono assolutamente sentir parlare di ridimensionare il loro stile di vita, anzi i ricchi si stanno armando a non finire per proteggere i loro privilegi. Le armi oggi servono a difendere gli interessi di ricchi. In questi giorni (inizio luglio 2008 n.d.r.) è uscito un libro negli Stati Uniti che si intitola "The Three Trillion Dollar War" (La guerra da tre miliardi di dollari) scritto da prof. Joseph Stiglitz che è stato Vice Presidente della Banca Mondiale. In questo libro lui dice che la guerra (contro l’Iraq da tempo liberato, n.d.s.) costa agli Stati Uniti 3 mila miliardi di dollari, è un'assurdità totale. I ricchi si armano per difendere i loro interessi. I tecnici ci dicono che se su questo mondo tutti vivessero come vive l'11% del mondo ricco, avremo bisogno di quattro pianeti Terra per risorse e altri quattro pianeti Terra come discariche per buttare i rifiuti. Questo sistema è insostenibile. Investimenti in armi e questa frenesia del consumare ad una velocità incredibile stanno praticamente portando la Terra al tracollo ecologico. Noi abbiamo d'avanti una crisi ecologica spaventosa. Gli scienziati ci danno una cinquantina d'anni per salvarci. Ecco perché dico a tutti ed è quello che davvero sto chiedendo è il coraggio di uscir fuori da un sistema che è una follia collettiva che permette a pochi a spese di molti morti di fame. O noi facciamo un salto di qualità o non c'è futuro per l'umanità, non c'è futuro per il pianeta. Ecco perchè dico siamo in una svolta epocale. O l'uomo fa davvero questo salto o non ci sarà futuro per nessuno. Dunque questa grande crisi economica, è l'ultimo anello della catena delle ingiustizie che stiamo vivendo in questo mondo?
Certamente. (...) Ovunque stanno scoppiando le cosiddette "Rivolte del pane". Cito Egitto, Marocco, Cameron, Haiti, Pakistan, Bangladesh, Filippine dove ci sono le rivolte del pane perché i cibi adesso stanno scarseggiando seriamente e costano sempre di più. Perché questo? Perchè siccome i ricchi del mondo non vogliono cambiare lo stile di vita e vogliono mantenere i loro consumi d'energia è chiaro che dobbiamo trovare l'energia da qualche parte. Dove la stiamo trovando? Nel cibo, cioè oggi cibi come il mais, l'olio di palma , la soia, ecc. vengono usati per estrarre Ethanol, praticamente la benzina per poter andare avanti il nostro sistema. È lì che troviamo l'energia. Negli Stati Uniti, il 10 - 20% del loro cibo è già destinato a questo scopo. In Brasile 120 milioni di ettari sono destinati a bio-carburanti. In Africa si stanno preparando 380 milioni di ettari per produrre il bio-carburante. Questa è la follia umana che vorrà dire che ci sarà sempre meno cibo e che il cibo costerà sempre di più per cui i poveri saranno destinati a morire.”
L’energia del futuro. Nel mentre sta esaurendosi l'era del petrolio e la scienza ricerca e sperimenta sistemi energetici che concilino l’eco-compatibilità con le mostruose esigenze dell’oggi, gli incompetenti al comando, dall’alto della loro ignoranza, “sparano” roboanti proclami. E così il nostro governo nazionale annuncia l’avvio dell’era nucleare. È, a mio avviso, un’opzione folle e pochissimo lungimirante. Il nucleare ha costi ambientali enormi e rimanda al futuro problemi a tutt’oggi irrisolvibili. Anche tu dici che al nucleare non c’è alternativa. Se così è, la probabilità che il mondo, così come lo conosciamo, diventi, per accidente, qualcosa di molto diverso, sarà altissima. È noto infatti che la produzione energetica nucleare civile, a fronte di indubbi vantaggi: una minima quantità di uranio consente di produrre un'elevata quantità di energia, e a differenza del carbone o del petrolio, senza emissioni di anidride carbonica (principale causa dell'effetto serra), contrappone una lunga serie di svantaggi e di terribili rischi.
1) Le drammatiche conseguenze in caso di incidente. L'epilogo di Chernobyl ha causato conseguenze globali delle quali, ancora oggi, non si conosce il reale impatto sulla salute. Se da un lato le nuove centrali di ultima generazione garantiscono un livello di sicurezza elevato, dall'altro non si può fare a meno di pensare che anche la centrale di Chernobyl a suo tempo era stata considerata sicura.
2) La necessità di stoccare le scorie radioattive per migliaia di anni. Nessun paese al mondo è giunto a una soluzione definitiva di stoccaggio. In Italia, nel 2003 si fermò in protesta un'intera regione italiana per impedire la realizzazione di un deposito geologico di scorie.
3) Il rischio di una contestuale produzione di armi nucleari. Non si può negare un legame tecnologico tra la produzione civile di energia nucleare e l'industria bellica (l’avvio della produzione energetica nucleare civile in Francia fu conseguenza di questo legame). Nel 2004 gli USA e altri paesi occidentali fecero grande pressione sull'Iran per impedire la costruzione di una centrale nucleare civile proprio per il timore che questi impianti fossero utilizzati anche per finalità belliche. Pertanto il legame tra le due attività esiste.
4) Il costo reale del nucleare. Da circa 15 anni nessun paese occidentale, salvo la Finlandia, ha messo in cantiere nuove centrali nucleari. Il nucleare comporta costi elevati fin dalla realizzazione degli impianti.
5) I costi militari per garantire la sicurezza dagli attentati terroristici e i costi per smantellare la centrale nucleare al termine della sua attività. Tutti questi costi non sono sostenibili da un'industria privata. Lo Stato deve necessariamente intervenire a copertura delle spese aumentando tasse e imposte ai contribuenti. In breve, il basso costo dell'energia in bolletta potrebbe essere più che compensato dall'aggravio fiscale in termini di imposte.
6) La localizzazione degli impianti nucleari. Le comunità locali sono restie ad accettare un deposito di scorie o una centrale nucleare vicino casa.
Che fare dunque? Nella speranza che la scienza trovi la quadratura del cerchio (non è detto però che la trovi in tempo utile), prima che muoia Sansone con tutti i Filistei, sarà giocoforza necessario rimodellare il nostro stile di vita. Sarà difficile riconvertirci? Certo che sì. Siamo ormai – come dice padre Zanotelli – dei “tubi digerenti” fatti e finiti. Ma, a questo punto – mi pare chiaro – non ci sia alternativa. Energie pulite, risparmio energetico, meno consumismo, più idealità (e più lentezza e più tranquillità, ecc.). Questo il futuro che ci aspetta. Penso che non sarà una “cattiva austerità” ma, forse, l’occasione per un ritorno a un’umanità da tempo perduta. Sto sognando? Forse sì. Ma io spero davvero che così sia. Un saluto dal Paese dei Presepi.

euro


07/10/08

MAMMIFERI: A RISCHIO UNA SPECIE SU QUATTRO


Lo studio, condotto da oltre 1.700 esperti di 130 paesi del mondo, si conclude delineando una situazione “tetra”. I numeri fanno il resto e descrivono ancor meglio uno scenario decisamente preoccupante: un quarto delle specie di mammiferi esistenti, dal gorilla di montagna alla tigre, è a rischio di estinzione ed oltre la metà ha la popolazione in declino, in gran parte per colpa dell'uomo. È un vero e proprio grido di allarme quello lanciato oggi a Barcellona al World Conservation Congress dell'Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN). Perché, dicono i ricercatori, i problemi sono sempre più gravi ed in alcuni casi potrebbe essere già troppo tardi. La ricerca, che sarà inserita anche nel prossimo numero di Science, non è una delle tante pubblicazioni che quotidianamente vengono prodotte nel mondo scientifico. Si tratta di un lavoro estremamente complesso, che nel corso di un quinquennio ha permesso di raccogliere dati su tutte le 5.487 specie di mammiferi classificate a partire dal Cinquecento. Un'operazione simile, ma meno completa, era stata condotta dall'IUCN nel 1996 ed è servita ad esempio per pianificare interventi di tutela. Orsi polari, ippopotami e grandi scimmie sono solamente alcune delle vittime di un declino su larga scala. Quello tracciato a Barcellona è un vero e proprio bollettino di guerra. In totale, le specie a rischio di estinzione, a vari livelli, sono 1.141, e cioè il 25% di quelle sulle quali ci sono dati sufficienti a disposizione. Per i mammiferi marini, la situazione è ancora peggiore: quelli in pericolo sono addirittura il 36%, più di uno su tre. E se negli ultimi 500 anni 76 specie sono già scomparse, 29 sono ormai considerate potenzialmente estinte e due, l'orice dalle corna a sciabola ed il cervo di Padre David, sopravvivono solamente in cattività. "E' spaventoso pensare che dopo milioni e milioni di anni di evoluzione ci troviamo in una crisi simile", dice Andrew Smith dell'Arizona State University. “I mammiferi sono importanti perché hanno un ruolo chiave negli ecosistemi: se perdi un mammifero, spesso rischi di perdere molti altri animali”. L'elenco delle cause lascia pochi dubbi: il principale colpevole di questa situazione è l'uomo. Solamente il 2% delle specie ha avuto problemi di malattie. Secondo i ricercatori, invece, i mammiferi terrestri sono colpiti soprattutto dalla perdita, dal degrado e dallo sfruttamento degli habitat, mentre quelli che vivono in mare sono sterminati dalle reti da pesca e da varie forme di inquinamento, tra le quali anche quello sonoro che colpisce soprattutto i cetacei. Su tutti, infine, incombe la spada di Damocle dei cambiamenti climatici, che potrebbero avere conseguenze sempre più pesanti. I mammiferi di grandi dimensioni sono i più vulnerabili. In genere, infatti, hanno una minore densità di popolazione e cicli vitali più lenti, necessitano di territori più ampi e sono più facili da cacciare. La situazione è particolarmente difficile nelle aree del pianeta dove alla deforestazione si unisce un crescente impatto dell'uomo sulla natura. Nell'Asia meridionale e sud-orientale, zona dove vive ad esempio l'orango, è minacciato addirittura il 79% dei primati. Secondo gli autori dello studio, nei prossimi anni potrebbe andare anche peggio. La popolazione del 52% delle specie di mammiferi su cui si hanno dati sufficienti è infatti in calo. Questo significa che, se non saranno prese contromisure adeguate, l'elenco degli animali in pericolo è destinato ad allungarsi. Eppure una piccola speranza c'è: il 5% delle specie a rischio non è più in declino o si sta riprendendo. Tra queste c'è il bisonte europeo, del quale erano rimasti pochi esemplari in cattività e che oggi è tornato a vivere in alcuni parchi naturali. È la dimostrazione che, anche nei casi più disperati, si può fare ancora qualcosa.

Andrea Bettini

05/10/08

L'OPINIONE DI UN COMPAESANO ALL'ESTERO


Da un giovane teserano, studente all’estero, ci è pervenuta la lettera che qui pubblichiamo. Sono apprezzabili dettagliate considerazioni sui contenuti del blog alle quali risponderemo puntualmente a breve. Per esse e per l’autorizzazione alla pubblicazione ringraziamo l’autore.

Caro Euro,
da qualche tempo leggo con interesse il tuo chiacchieratissimo blog, anche se non ho mai commentato una delle tue inserzioni; forse per pigrizia, forse per il motivo che tu tanto contesti, e cioè la mancanza della voglia (o del coraggio?) di esprimere la propria opinione, o forse perchè i commenti brevi sono poco adatti a chiarire i propri pensieri e molto si prestano a fraintendimenti... Così ho deciso di scriverti qualche riga in più, certo che la leggerai anche se il mio italiano non è certo fluente e raffinato, cercando di includere il mio parere sul tuo blog in generale e su alcuni pezzi in particolare. Nulla di interessante si aggiunge a quello che hai pubblicato; questa mail però vuole essere un piccolo contributo a quel tanto desiderato (almeno suppongo dalla tua ultima risposta ad un commento) feedback che dovrebbe provenire dai lettori. Ferma restando l'assoluta qualità della maggior parte delle inserzioni, di certo non si può essere d'accordo con tutto quanto tu scrivi, e questo penso che anche tu stesso lo creda e lo voglia. Proverò quindi a fare delle brevi e semplici considerazioni su quelli che sono gli argomenti più discussi nel blog.

1) Per quel che riguarda l'ambiente teserano e la sua gente (e mi riferisco in particolare agli estratti dell'opera del Gruppo di Discussione Critica) condivido in parte ciò che scrivi (o che hai comunque inserito): in particolare ho notato anch'io una tendenza all'insincerità e all'ipocrisia, così come l'interesse unico per faccende che producano un tornaconto diretto (d'altronde questo succede dappertutto, almeno in Italia). Il pezzo mi ha anche fatto notare il fatto che certe “barriere comportamentali” cadono nel momento in cui ci si trova in un ambiente familiare, ove tutti divengono improvvisamente più sinceri. Altro spunto interessante lo si offre nel menzionare l'auto-compiacenza della comunità (e io ne so qualcosa, facendo parte di banda e coro, e dovendo a volte sentire complimenti e fior di "sviolinate" su esecuzioni che sono tutt'altro che eccellenti). Sono però un po' perplesso sul modo di trattare l'argomento e porre le critiche che, come peraltro è anche scritto, sembra essere affetto da un qualche schematismo: quello che voglio esprimere è la mia impressione che si voglia fare un uso eccessivo e sbagliato dello spirito critico, che porta alla tendenza alla generalizzazione e ad un troppo spinto pessimismo (che cade quasi nel catastrofismo in qualche tuo pezzo). Per fare un esempio, la tua aspra critica alle Corte de Tieser dovrebbe considerare il fatto che negli ultimi anni si è tentato (o almeno così mi è parso dall'esterno) di fare qualche passo indietro, ristrutturando quello che era lo spirito presente nei primi anni in cui avevano luogo. Così come non si può dimenticare che ci sono persone che mettono veramente il cuore in ciò che fanno, anche se forse il loro sbaglio è il non pensare veramente a quello che stanno portando a termine (per chi e per che cosa lo fanno). Ovviamente il mio parere è quello di un ventiduenne che forse non conosce ancora assai profondamente Tesero; resta però il fatto che, pur vedendo nello spirito critico uno strumento di fondamentale importanza, io credo che una sua interpretazione sbagliata possa portare ad una sorta di (concedimi il termine forse non proprio azzeccato) “chiusura mentale”, che è l'effetto opposto a quello che lo spirito critico stesso si propone di ottenere (peraltro su questo tornerò nella conclusione). Attendo poi di leggere l'intero scritto del G.D.C. per comprendere più profondamente le argomentazioni.

2) Passando alla questione della politica, leggo con molto interesse soprattutto gli articoli satirici sull'argomento, in quanto in questo campo sono diventato anch'io un vero pessimista e ho bisogno a volte di farmi qualche risata per sdrammatizzare: basta ragionare due secondi su quello che accade per rendersi conto del marciume in cui naviga il potere (i due video pubblicati recentemente sono la sintesi della questione).

3) A proposito di turismo fiemmese e mondiali, pur non condividendo i toni a volte troppo aspri della tua critica, non posso che essere d'accordo con te: anche qui un veloce ragionamento ci permette di notare come, se proprio si vuole attrarre turisti e ospitare i mondiali, si potrebbe farlo in un modo più intelligente, che premi la qualità più che la quantità e che sia maggiormente rispettoso dell'ambiente in cui viviamo, patrimonio inestimabile a mio avviso (è sufficiente girare un po’ per rendersene conto).

4) Una questione che forse ha sollevato più discussioni a livello paesano è quella della viabilità, su cui se ne sono sentite di cotte e di crude, con inutili insulti e chiacchiere maliziose (caratteristiche dei paesini in cui tutti si conoscono tra di loro). Quel che voglio dire è che, messo alla prova dei fatti, il piano non è poi tanto male anche se, col mio modo di vedere le cose, avrei affrontato la questione in modo più graduale, con piccole modifiche, non sconvolgendo la situazione improvvisamente. Resto perplesso del fatto delle eccezioni, in quanto possono creare pericolo (1 volta su 3 che scendo da via Cavada incontro qualcuno che sale nel tratto in cui non si potrebbe). Forse ci vorrebbero meno regole, ma più restrittive. E soprattutto sarebbe necessario farle rispettare, visto che molti, da buoni italiani (mi perdonino gli Schützen), sembra che provino piacere ad infrangerle. Inutile notare poi come pochi abbiano interpretato il piano nella maniera giusta, ossia nell'incentivo a lasciare la macchina a casa quando non è strettamente necessaria...

5) Sulla questione dell'ambientalismo forse le divergenze tra noi sono più accentuate, in quanto non mi ritengo un verde nel senso politico del termine, anche se do estrema importanza al rispetto dell'ambiente in cui viviamo. Condivido le osservazioni a livello locale, e cioè sulle piccole cose che tutti potrebbero fare, sui comportamenti “environmentally friendly” che tutti potrebbero tenere, e a cui pochi in realtà danno peso. Esemplare è la questione dei SUV: mi chiedo come si faccia a non arrivare a capire l'inutilità di tali mezzi di trasporto; basterebbe tenere conto del consumo di benzina per rottamare un gippone all'istante... Anche volendo imporre la legge del menefreghismo (“Io il SUV me lo posso permettere, allora perché rompi i c...”) si è costretti a far notare che uno di quei bestioni crea un danno alla collettività a livello di emissioni che è doppio rispetto a quello di un mezzo più modesto che svolge gli stessi compiti (e quindi andrebbe tassato non il doppio, ma il quadruplo). Il ragionamento è talmente semplice, eppure... Sono più critico invece su alcuni pezzi riguardanti la politica energetica ed ambientale a più ampio raggio. Per fare solo alcuni esempi: - non sono convinto che, cifre alla mano, si possa far ora a meno del nucleare a livello globale (anche se reintrodurlo in Italia mi sembra una scelta quantomeno sciocca); - purtroppo l'aumento di popolazione non può essere fermato così facilmente, in quanto è caratteristico dei paesi in via di sviluppo (cosa facciamo, li obblighiamo ad usare il preservativo ogni volta che copulano? Glieli regaliamo noi i condom?); tra l'altro, un grafico che ho visto su uno dei pezzi prospetta una crescita esponenziale della popolazione, la quale invece, almeno secondo le mie conoscenze, tenderà a saturare verso i 10 miliardi di abitanti; - il vero problema è che ci sono zone che, con i mezzi attuali, non possono soddisfare la domanda di cibo, acqua, energia, ecc... causata dalla crescita della popolazione; è anche vero però che con determinate scelte si riuscirebbe ad evitare ciò ed il pianeta a livello teorico è in grado di “sopportare” quella cifra; - il rallentamento della crescita permetterebbe di ridurre i consumi; ti pongo però un'altra questione: è possibile fermare la crescita anche nei paesi in via di sviluppo? Non hanno diritto anche loro a raggiungere uno stile di vita decente? O consideri avere, per esempio, istruzione e sanità a livelli quantomeno presentabili un lusso esasperato? Se la “nostra” crescita rallenta troppo, i paesi sviluppati, che sono gli unici in grado di produrre le tecnologie per rendere sostenibile la crescita (anche dei paesi in via di sviluppo), non potranno mai rendere operative tali tecnologie; concordo comunque sul fatto che sarebbe positivo cha la gente si accontenti di una crescita meno spinta; - l'utilizzo delle fonti rinnovabili è chiaramente auspicabile, anche se va attuato in un modo più accorto di quanto alcuni scrivono in pezzi da te pubblicati: per esempio l'eolico (almeno per quel che riguarda impianti di una certa potenza) trova pochi sbocchi in Italia, i quali tuttavia vanno tutti sfruttati, dando poi spazio ad una certa penetrazione dell'eolico “domestico”, con piccole turbine sui tetti delle case; - una cosa che mi infastidisce poi, è che gli stessi che enfatizzano l'uso di fonti rinnovabili, sono poi quelli che bloccano i progetti perchè hanno un impatto paesaggistico troppo accentuato (non so se sia il caso degli autori dei tuoi pezzi, ma è certo che ne esistono).

Concludo le mie considerazioni dicendo che, pur non conoscendoti e non avendo mai parlato con te, apprezzo veramente la tua scelta di aprire il blog e soprattutto la puntuale argomentazione che tu fornisci di tutto ciò che scrivi. Di certo non si può concordare su tutto ciò che vi è scritto (guai se fosse così!), ma i pezzi devono comunque rappresentare uno stimolo al pensiero ed alla riflessione. E' triste vedere la gente che, messa di fronte a certe considerazioni, invece di cominciare a pensare e a esprimere eventualmente il proprio disaccordo, risponde solo con una rumorosa risata figlia della chiusura mentale o dell'incapacità di produrre proprie idee ed argomentazioni. Spero che arriverai fino in fondo alla mia lettera, vista anche la fatica che mi è costata la sua stesura, dovuta alla mia (ahimé) disabitudine a produrre pezzi di questo tipo. Mi auguro poi che queste righe rappresentino, almeno in parte, quella retroazione ai contenuti del blog da parte dei lettori. Tanti saluti dalla Danimarca.

Lorenzo Zeni (Berti)

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

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