08/08/08

DAI COMPRENSORI ALLE COMUNITA' DI VALLE. UNA RIFORMA PER CHI?


Su gentile concessione dell’autore, pubblichiamo la lettera che Franco Porta, esponente di Rifondazione Comunista per le valli di Fiemme e Fassa, ha inviato in data 22/07/2008 al coordinatore del collegio dei sindaci del comprensorio C1 Gianni Delladio e al collegio dei sindaci medesimo. Sono considerazioni, tra molti dubbi e improbabili aspettative, sulla riforma (non voluta) dei Comprensori, che saranno sostituiti dalle cosiddette Comunità di Valle.


Ci siamo opposti con forza in consiglio provinciale alla legge istitutiva delle comunità di valle. Vedevamo in queste una operazione tutta dettata dal centro, una specie di Statuto Albertino, dove al popolo che chiedeva democrazia si concedevano, alcune limitate e sempre revocabili facoltà.
La legge è stata approvata e il Partito della Rifondazione Comunista ne prende atto disponendosi a contribuire affinché questi organismi possano effettivamente divenire strumenti di decentramento di poteri e, nello stesso tempo, attraverso una loro gestione veramente democratica, favorire il ritorno della politica anche nelle valli del Trentino. La politica, per noi, è azione di trasformazione della realtà esistente attraverso la formazione e la crescita di culture progettuali che tra loro entrano in relazione, si confrontano, confliggono, si trasformano e trasformano, provocano la partecipazione e il protagonismo di larghe fasce della popolazione. Questo modo di fare ed interpretare la politica, da tempo, è scomparso dalle nostre valli sostituito dalla mera amministrazione dell’esistente, privo di progettualità e teso a provocare una generalizzata delega agli amministratori, che si autoqualificano come tecnici superpartes, come se il governo dei territori fosse una funzione meramente tecnica senza così dare risposte alle reali esigenze della cittadinanza. Dietro questa azione si trova spesso la tutela degli interessi forti che si sviluppa sotto la cappa opprimente di un generale conformismo. Le comunità di valle nascono senza entusiasmo e senza sentimento. Una mera operazione di ingegneria istituzionale confusa e contraddittoria negli obiettivi, priva di qualunque partecipazione popolare alla loro costruzione, incrementando in questo modo l’allontanamento del cittadino dalla vita pubblica, dalla vita politica, minando alla base le regole fondamentali della democrazia. Il PRC, come prima affermavamo, non ritiene utile proseguire nell’opposizione a questi enti intermedi, vuole però tentare di incidere nella loro trasformazione, contrastando un’operazione burocratica finalizzata alla conservazione della odierna classe politica arrivando alla costruzione di organismi permeabili alla partecipazione e al protagonismo della gente che abita le nostre valli e avrebbe il diritto anche di parteciparle attivamente. Noi pensiamo che una volta scelta la strada della costruzione di enti intermedi, quali di fatto sono le comunità di valle, debba essere impedito il tentativo di farne lo strumento di eternizzazione del potere, un potere fine a se stesso e che potrebbe facilmente essere condizionato da poteri forti che nulla hanno a che vedere con una gestione democratica e partecipata della “cosa pubblica”. Noi crediamo che gli statuti delle comunità non possano essere costruiti su canovacci o modelli base predisposti dalla provincia e/o posti in essere dai vecchi comprensori come purtroppo sta accadendo. Se si vuole attuare un processo partecipato lo statuto deve essere predisposto da una vera e propria assemblea costituente eletta a suffragio universale tra i residenti del territorio su cui la comunità insiste e l’elezione deve avvenire con il sistema proporzionale, così come avviene per tutte le assemblee costituenti. Anche il sistema elettorale che sarà adottato successivamente non può che essere proporzionale, ogni altro sistema taglierebbe settori significativi della comunità e deve essere attento a garantire la partecipazione e la rappresentanza anche delle più piccole comunità. Consideriamo, invece, una vera iattura l’adottare il sistema della elezione indiretta, determinata tra l’altro dal sistema maggioritario delle elezioni nei comuni che di fatto mette a tacere qualunque tipo di opposizione; è evidente che l’idea sottesa è quella di un bipartitismo di valle, idea democraticamente debole e facilmente ostaggio di poteri forti, cordate economiche e di chi vuole tentare di condizionare la politica e la Amministrazioni per i propri tornaconti. Noi crediamo che lo statuto debba assicurare e garantire il massimo di trasparenza in tutti i processi decisionali e sfuggire alla tentazione di ripetere la devastante esperienza dei comuni dove nella ripartizione dei poteri il consiglio comunale e i consiglieri si trovano ridotti al ruolo di quelli che alzano la mano durante le votazioni mentre il potere amministrativo e le decisioni politiche che sottendono a tale potere sono saldamente nelle mani del sindaco e (non sempre) della giunta. Lo statuto a nostro avviso dovrà prevedere l’introduzione di istituti di democrazia partecipativa a partire dal cosiddetto bilancio partecipativo (il Bilancio Partecipativo è una forma di partecipazione diretta dei cittadini alla vita della propria comunità). A questo dovrà aggiungersi in sede di consuntivo il cosiddetto bilancio sociale. Attraverso questo strumento si potrà misurare l’effettivo impatto che le politiche sociali hanno determinato sul tessuto sociale della comunità. Dovremo stare molto attenti alla ripartizione delle competenze tra provincia e comunità specie in campo urbanistico, per capire se quanto paventavano imprenditori e OO.SS la duplicazione di competenze determina un aggravio delle procedure, ripetizioni e maggiori lungaggini burocratiche. Nella stesura di un eventuale nuovo statuto, a nostro avviso, dovrà essere tenuto in grande considerazione il rispetto delle pari opportunità (parità di genere, di etnia, di religione, di agibilità politica ed amministrativa etc.); un occhio di riguardo dovrà avere per la tutela del lavoro ed il collegato rispetto per l’ambiente; rispetto per le fonti idriche che devono essere di gestione pubblica e protette dal continuo assalto di chi vuole privatizzare questo indispensabile bene comune; rispetto e recupero delle idee che hanno portato alla nascita della Magnifica Comunità di Fiemme, grande esempio di democrazia e che purtroppo ultimamente ha spesso dimenticato la sua peculiarità, la sua storia e le motivazioni che secoli fa ne avevano sancito la nascita; rispetto del principio di sussidiarietà che proprio una elezione indiretta della comunità di valle andrebbe ad inficiare; rispetto di quell’idea di autonomia che in Trentino è molto forte ma che spesso, manovre centraliste come questa che mira a blindare ed impermeabilizzare la nascente comunità, la trasformano in scatola vuota ed impediscono al cittadino di decidere “autonomamente” il futuro della valle in cui vive; la ragione propria del diritto all’autonomia dei trentini poggia sulla loro secolare tradizione all’auto governo. In Trentino, e possiamo risalire alle carte di regola, questo popolo ha esercitato sempre funzioni di autogoverno. Questa tradizione secolare di capacità di autogoverno ha formato la gente trentina e proprio per questa capacità acquisita nei secoli, l’esercizio dell’autonomia speciale ha dato i buoni risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Oggi l’autonomia trentina subisce incalzanti attacchi da rappresentanti dei governi di regioni limitrofe, che per giustificare i propri fallimenti, imputano ai governi centrali di aver concesso ingiusti privilegi alla nostra autonomia, chiedendone la riduzione o eguale trattamento. Come possiamo rispondere a questi attacchi, tra l’altro del tutto prevedibili, una volta che noi stessi abbiamo indebolito le ragioni della nostra specialità svuotando la provincia e le sue realtà periferiche, fino a farne un vuoto e inutile contenitore. Proprio nell’era di una globalizzazione che tende a uniformare i territori, spianandone peculiarità culturali, paesaggistiche e di produzioni per differenziarli esclusivamente sulla base della competitività di costi e quindi delle opportunità di profitto, noi dobbiamo rilanciare e valorizzare le differenze e le particolarità di questo territorio. La strada più utile passa per la partecipazione diretta del cittadino. La domanda che viene di conseguenza è se per affrontare queste sfide ci servono o sono un ostacolo i 223 comuni che abbiamo voluto riconquistarci all’indomani del crollo della dittatura fascista che li aveva drasticamente e brutalmente ridotti. Crediamo che proprio lì stia la risorsa, che quella sia la palestra che ha formato la nostra capacità di autogoverno. Pensiamo che anni di centralismo della provincia abbiano indebolito e prosciugato questa risorsa. Proprio il modo come la provincia ha trattato questi comuni, li abbia resi meno capaci di auto governo. La loro minorità è stata deliberatamente perseguita. Proprio da queste considerazioni diventa imprescindibile la costituzione di un organismo più democratico, più partecipato ed eletto proporzionalmente e direttamente dalla popolazione. La riforma, diceva Bressanini, deve essere a costo zero cosa che riteniamo assai difficile specialmente con la tendenza dell’amministrazione provinciale a scaricare il welfare proprio sulle nascenti comunità e l’esperienza ci fa dubitare proprio perché per risparmiare si parla già di esternalizzazioni e privatizzazioni che vanno tutte a danno del cittadino (vedi ITEA). Le comunità di valle non devono essere creazione artificiale ma organismo vivo e partecipato dalla gente e per la gente. In conclusione questa riforma per come è stata costruita e se non verrà resa più democratica, più partecipata sarà un danno per la capacità di auto governo della gente trentina, per le conseguenze sociali che produrrà. Si rischia di costruire una riforma regressiva, che evidenzia la crisi della politica, l’incapacità dei governanti di scommettere sui governati ai quali invece si sequestra la possibilità di partecipare e di essere protagonisti dei propri destini. In estrema sintesi può nascere una riforma dannosa per l’autonomia del Trentino quando oggi abbiamo bisogno di più autogoverno, di più partecipazione e di una nuova stagione “autonomistica”.

Franco Porta

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