La vita eterna è il tema principale della teologia. Questo la teologia deve fare: educare gli uomini a entrare nella dimensione dell’eterno già qui e ora, perché l’eternità non è dopo, alla fine, di là: è ora ed è qui. Se non fosse ora e qui, l’eternità non sarebbe tale, sarebbe solo tempo prolungato. L’escatologia non riguarda il tempo esteriore, l’attesa di un improbabile ritorno del Cristo glorioso tra le nuvole del cielo. Essa concerne il nostro tempo interiore, l’intima dimensione dell’anima. Parlare dell’escatologia in modo speculativamente maturo equivale a parlare dell’anima. Per questo l’ignoranza sull’anima conduce necessariamente all’ignoranza sull’escatologia. Quando parliamo dell’escatologia non tocchiamo argomenti che accadranno in un futuro remoto, ma nominiamo regioni dell’essere che abitano dentro di noi.
La vita eterna è l’argomento più decisivo tra quelli che portano gli uomini a credere in Dio. Ne viene che l’impossibilità per la coscienza contemporanea di pensare fondatamente la vita eterna annunciata dal Cristianesimo procura alla credibilità della fede cristiana danni notevoli. È per questo che avverto l’esigenza di un’impostazione nuova della teologia, che chiamo teologia universale. Con teologia universale intendo un discorso su Dio e la nostra reale relazione con lui, quindi vera e propria teologia, ma tale da essere condotta a partire dai dati della ragione. La ragione, ovviamente, non è da intendersi nel senso ristretto del razionalismo positivista secondo cui è vero solo ciò che si può materialmente verificare, col risultato che appare vero solo ciò che afferma la scienza e la conseguente riduzione del concetto di verità a quello, indispensabile ma più ristretto, di esattezza. Ragione è da intendersi nel più ampio senso speculativo di intelletto + coscienza morale, ciò che Kant definiva “ragione pratica”, secondo cui è vero anche ciò che non si può direttamente verificare ma che per la sua intrinseca nobiltà, per la sua intrinseca bellezza morale, per la sua intrinseca capacità di produrre il bene, muove e riempie le nostre vite, e di cui Hegel parlava col nome di “spirito”. Verità come esattezza + sapienza, come dimensione globale della mente che non solo conosce e vuole conoscere sempre più i dati esatti della scienza, ma sa anche come utilizzarli. Verità alla quale si giunge con un lavoro non solo intellettuale, ma ance morale. Verità che per essere abbracciata richiede una dedizione totale, dell’intelligenza e della volontà della mente e del cuore, di tutta la vita. Io individuo in tale accezione ampia di ragione l’organo privilegiato dell’autentica dimensione spirituale e conseguentemente della riflessione teologica. I dati sull’esperienza del divino rinvenuti mediante tale accezione di ragione risultano validi per ognuno, sono universali. È come saggio di teologia universale che intendo costruire il mio discorso sull’anima e il suo destino.
Vito Mancuso
La vita eterna è l’argomento più decisivo tra quelli che portano gli uomini a credere in Dio. Ne viene che l’impossibilità per la coscienza contemporanea di pensare fondatamente la vita eterna annunciata dal Cristianesimo procura alla credibilità della fede cristiana danni notevoli. È per questo che avverto l’esigenza di un’impostazione nuova della teologia, che chiamo teologia universale. Con teologia universale intendo un discorso su Dio e la nostra reale relazione con lui, quindi vera e propria teologia, ma tale da essere condotta a partire dai dati della ragione. La ragione, ovviamente, non è da intendersi nel senso ristretto del razionalismo positivista secondo cui è vero solo ciò che si può materialmente verificare, col risultato che appare vero solo ciò che afferma la scienza e la conseguente riduzione del concetto di verità a quello, indispensabile ma più ristretto, di esattezza. Ragione è da intendersi nel più ampio senso speculativo di intelletto + coscienza morale, ciò che Kant definiva “ragione pratica”, secondo cui è vero anche ciò che non si può direttamente verificare ma che per la sua intrinseca nobiltà, per la sua intrinseca bellezza morale, per la sua intrinseca capacità di produrre il bene, muove e riempie le nostre vite, e di cui Hegel parlava col nome di “spirito”. Verità come esattezza + sapienza, come dimensione globale della mente che non solo conosce e vuole conoscere sempre più i dati esatti della scienza, ma sa anche come utilizzarli. Verità alla quale si giunge con un lavoro non solo intellettuale, ma ance morale. Verità che per essere abbracciata richiede una dedizione totale, dell’intelligenza e della volontà della mente e del cuore, di tutta la vita. Io individuo in tale accezione ampia di ragione l’organo privilegiato dell’autentica dimensione spirituale e conseguentemente della riflessione teologica. I dati sull’esperienza del divino rinvenuti mediante tale accezione di ragione risultano validi per ognuno, sono universali. È come saggio di teologia universale che intendo costruire il mio discorso sull’anima e il suo destino.
Vito Mancuso
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