23/03/13

OSSESSIONI



Ripetiamo in premessa il concetto: parlando d’auto, nessuna ulteriore infrastruttura potrà modificare sostanzialmente la qualità complessiva del paese, perché l' auto-mobilità è anarchia e dipendenza e come ogni dipendenza, assecondandola, non la si riduce ma la si alimenta. Lo dimostrano inequivocabilmente l’interrato e il parcheggio in superficie realizzati  l’uno a breve distanza dall’altro in località Noal-Merisol-Fossi. Ebbene, nonostante le due nuove infrastrutture di servizio siano entrambe funzionanti da tempo (29 garage sotterranei la prima, 25 posti auto in superficie la seconda), le vetture parcheggiate davanti alla canonica e nel soprastante parcheggio del teatro sono, mediamente, le stesse che stazionavano prima della realizzazione di quelle due opere. Quindi? Quindi, senza un improbabile cambio radicale di mentalità, da perseguire eventualmente con mirate strategie comunicative, il paese lo si potrà pure trasformare in un groviera di interrati e di piazzole di parcheggio, ma in giro avremo sempre lo stesso identico movimento di traffico e l’identica quantità di auto in sosta non autorizzata. Se è vizio è vizio! Pertanto non è aggiungendo infrastrutture che lo si toglie, ma, casomai, lo si può moderare inibendo determinate zone, anche ampie, di suolo pubblico alla mobilità privata. Solo a quel punto diventerà ovvio e logico per tutti non usare l’auto per percorrenze inferiori ai  4/500 metri, come molti fanno invece ogni giorno. Più strade, più parcheggi, più infrastrutture metti a disposizione, più l’auto-dipendenza ne pretenderà in aggiunta. E pazienza se l’amico Oscar (che non si offenderà certo per la citazione) sta cosa così astrusa da capire non l’ abbia ancora metabolizzata. E’ inammissibile però  che siano gli amministratori a non capirla e che favorire l’auto-mobilità sia la loro principale ossessione. Diamo loro un consiglio. Si guardino un po’ in giro. Le grandi e anche le piccole scoperte si fanno osservando, non raccattando  ruffianate in osteria e dando credito alla superficialità dei luoghi comuni Gli amministratori, sindaco in testa, dovrebbero camminare di più per il paese, in lungo e in largo, ogni giorno, verificare sul campo le situazioni, e poi escogitare soluzioni razionali. Forse allora smetterebbero di equivocare e sperperare le sempre più scarse risorse.

E a proposito delle auto-ossessioni amministrative, l’assessore ai LL.PP. del comune di Tesero Barbolini ci aveva promesso, un po’ di tempo fa, che non appena ultimato il nuovo posteggio dei Fossi, piazza della Chiesa sarebbe stata liberata finalmente dalle auto e ri-consegnata alla cittadinanza per  usi più acconci. Ora il posteggio, come detto, è in funzione, e i fedeli impossibilitati a raggiungere la parrocchia a piedi possono lasciare le loro autovetture nella capiente nuova infrastruttura comunale, salire la comoda scalinata che porta in via Merisol  e da lì raggiungere in pochi passi altrettanto comodamente la chiesa. Dunque siamo in attesa che la promessa di Barbolini si concretizzi. Ci auguriamo che non si tergiversi oltre adducendo il pretesto di una necessaria preventiva “risistemazione” della piazza, con tanto di progetto allegato e costi tecnico-burocratici aggiuntivi. Per mantenere quell’impegno non occorre modificare proprio niente, salvo cancellare gli attuali spazi di sosta delimitanti. Liberare lo spazio davanti alla chiesa è cosa immediatamente fattibile. Sgomberare e dare aria (buona) e spazio alla vista dal sagrato affinché fedeli e non, non debbano scendere la scalinata tra un'auto in manovra e un’altra. Visto che i soldi (di tutti) sono stati spesi e un altro spazio a verde è stato sacrificato, è giusto che la collettività abbia un’ immediata compensazione in termini di qualità ambientale.



L’Orco

21/03/13

GIORNATA DELL'ALBERO



Oggi inizia la primavera, ma ci toccherà aspettare almeno dieci giorni per poterla riconoscere. Purtroppo l’inverno che astronomicamente s’è chiuso ieri ha rispettato il cliché da cartolina oltre ogni aspettativa, proprio come qualcuno ai suoi tanti santi in paradiso aveva chiesto fosse.
In Italia le manifestazioni d’occasione per celebrare i passaggi stagionali sono numerose. Nella capitale e altrove, a cura di Fare Ambiente la giornata di oggi 21 marzo, denominata  Giornata dell'Albero e della Primavera sarà dedicata al rinverdimento e all'educazione ambientale. Gli alunni delle scuole, con i responsabili e i soci di Fare Ambiente, dimoreranno  nuove piante che verranno in seguito monitorate e curate. L’intento della proposta, patrocinata dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è di sensibilizzare l'opinione pubblica sul valore fondamentale del patrimonio arboreo e boschivo.
"Questa giornata - afferma il presidente nazionale di Fare Ambiente Vincenzo Pepe - ha lo scopo di sensibilizzare soprattutto i bambini e i giovani al rispetto della natura e alla difesa del proprio territorio. La "Giornata dell'Albero e della Primavera" rappresenta un vero e proprio momento di festa e di informazione che naturalmente deve continuare per i giorni a seguire, al fine di salvaguardare il nostro patrimonio arboreo. Sarà un'iniziativa per richiamare l'attenzione sull'importanza, per l'uomo e per l'ambiente, di boschi e foreste, sul loro insostituibile ruolo di polmone verde della Terra. Questa festa intende inoltre promuovere a rango superiore l’educazione ambientale, auspicandone l’insegnamento obbligatorio nelle scuole.”
C’è da scommettere che nessun insegnante o amministratore locale di questa nostra sedicente Vallevviva farà alcunché in segno di adesione alla manifestazione nazionale. La verità, nonostante la ben nota retorica, è che siamo indecentemente lontani dalla comprensione dell'importanza primaria degli alberi e i nostri paesi (Cavalese lodevolmente escluso) di arboreo vivo non ne vogliono proprio sapere. Anzi, meno ce n’è e più sono contenti.  In particolare a Tesero il patrimonio di verde pubblico interno all’abitato storico è stato via via ridimensionato e quasi fatto sparire del tutto. Anno dopo anno, con pretesti diversi più o meno plausibili ma mai comprovati, le latifoglie pubbliche sono state decimate e ridotte a poche unità. Ma nemmeno agli impianti periferici più recenti è toccata miglior sorte. Basta, per esempio, percorrere via Restiesa per rendersene conto. L’ultima strage d’alberi è stata perpetrata nel tardo autunno scorso in via Fia, sopra l’asilo. Ufficialmente per far posto a un marciapiede. In realtà per dare ulteriore spazio alle auto, mai sazie di superficie da occupare e sempre ossessivamente al centro dei pensieri delle nostre amministrazioni. Anche l’ultimo maestoso tiglio antistante il palazzo scolastico, selvaggiamente mutilato per non si sa quale ragione due anni fa dalle motoseghe comunali, sta morendo nell’indifferenza generale dei passanti, degli insegnanti e degli amministratori. Non gli mancava proprio niente, era forte, in salute e d’estate, silenziosamente e gratuitamente profumava piacevolmente l’aria del vicinato. Ma aveva il torto, qui imperdonabile, di essere un ‘semplice’ albero e non già un imponente fuoristrada. D’altronde, come di recente scrivevamo, la sensibilità o c’è o non c’è. E da noi, al netto delle chiacchiere e della propaganda, di sensibilità ambientale ce n’è assai poca.

A.D.

19/03/13

L'ORA DI MUSICA



Recentemente, durante una delle tante due-ore di meditazione serale del venerdì  Jacopo si chiedeva se avesse ancora senso (se lo avesse mai avuto) insegnare musica nella scuola dell’obbligo. L’arte – diceva –  non è né per tutti, né di tutti; la sensibilità musicale non è apprendibile, o ce l’hai dentro o non ce l’hai. È  un istinto primigenio individuale. Chi ne è portatore è naturalmente ‘obbligato’ ad assecondarlo... La scuola può dunque servire?  Per affinare quell’istinto forse sì, anche se, scuola o non scuola, prima o poi esso in qualche modo si ‘arrangerebbe’. Ecco perché – continuava – per quanto l’intento pedagogico possa essere ‘nobile’, per una cosa così peculiarmente soggettiva, è insignificante abbozzarne l’idea  tra un’ora di matematica e una di storia, in una classe di alunni potenzialmente distratta e, appunto, ‘insensibile’.
Ai miei tempi quei 60 sgangherati minuti li chiamavano l’ora di musica. Ed in effetti – lo ricordo benissimo – quello spazio artistico altro non era che un’ora aggiuntiva di ricreazione al cospetto di un insegnante frastornato, tra le urla della classe e un grammofono che di funzionare non ne voleva sapere. A battagliare in quella hit parade ‘classica’ erano di solito in due: "La Moldava" e “Le quattro stagioni”, che però mai si aveva grazia di gustare interamente perché quando l’insegnate finalmente riusciva a domare il dispettoso giradischi, convincendolo con le cattive a diffondere dal vinile graffiato quel gracchiante sonoro, l’ora di musica se ne era quasi andata. Poi, con la faticosa evoluzione della didattica arrivarono anche i flauti di plastica rossa e i tamburelli  e dall’ascolto incompiuto della "Primavera" vivaldiana si  passò all’esecuzione del “Fra’ Martino” a canone…
Insomma, Jacopo mi ha convinto: quell’ora sarebbe meglio impiegarla a ripassare l’itagliano o la matem²atica. Materie che potrebbero ancora servire a vivere prosaicamente il quotidiano e forse a trovare un lavoro. Di sicuro ascoltare l’arte altrui a vivere così non serve. Ma a sognare e a fantasticare, sì. Cose però anch’esse né per tutti, né di tutti.

A.D.

SMS




C’è margine? Apparentemente no.
Ne vale la pena? Potrebbe...
Stiamo lavorando per noi.
E allora? Si aspetta.
I^ a.s. fatta.

Non siamo coperti.
Cinque o sei, giusti, possono bastare.
In 2 x 360 si può fare.
Vedremo chi esce sulla ruota di Trento.
Poi si decide.

L’Orco

17/03/13

CONSIDERAZIONI SEMIOTICHE SU LA CANZONE MONONOTA

Lo confesso, sono un grande fan degli Elio e le storie tese. Li seguo ormai da diversi anni e sono perfino riusciti a farmi vivere con trepidazione la finale del Festival di Sanremo. Così, mentre La canzone mononota impazzava in rete e mi entrava in testa, mi sono detto: perché non provare a farne una piccola analisi, magari adottando uno sguardo - e un ascolto :-p - semiotico? Ecco quello che ne è venuto fuori:
Gli effetti cognitivi, passionali e pragmatici
Dal punto di vista strettamente musicale, la canzone si rivela incredibilmente complessa e assolutamente non lineare. Le mie conoscenze musicali non mi permettono di entrare nel merito della sua struttura, ma forse vale la pena notare una cosa. L’ascoltatore medio, pur non riuscendo ad apprezzare fino in fondo la difficoltà di composizione ed esecuzione di un pezzo del genere, si trova, suo malgrado, coinvolto in una specie di gioco nel quale è invitato ad avanzare ipotesi - spesso disattese - su come proseguirà il pezzo. Se la struttura classica della canzone pop (strofa - ponte - ritornello) lo rassicura con il suo - eterno - ritorno, La canzone mononota gli fa vivere il brivido dell’ignoto: dopo ogni passaggio lo lascia sospeso tra una serie di possibilità. Questa impossibilità previsionale ha il suo culmine nel falso finale. Dopo due minuti lo spettatore, ormai provato dal tentativo di mantenere il "filo del discorso", è pronto a cadere nel piccolo tranello. A questo punto il coinvolgimento da cognitivo ed emotivo, diventa pragmatico: il pubblico al primo ascolto (ma non solo) è portato ad applaudire. Con il loro batter le mani gli astanti non solo sanzionano positivamente la performance ma ne divengono inconsapevolmente parte integrante.
La metareferenzialità
La canzone, in quanto oggetto sincretico, chiama in causa più linguaggi espressivi: una componente sonora (la musica) e una verbale (il testo). Questa distinzione - per certi versi banale - ci permette di cogliere meglio una caratteristica essenziale di questo pezzo: si tratta di una metacanzone, ossia di una canzone nella quale si "parla" di come è fatta una canzone. Per capirci, è un po' come un film nel quale ci viene mostrato come viene girato un film. Elio, attraverso la componente verbale, ci spiega come è possibile rendere non monotona una canzone mononota chiamando in causa l'altezza, il tempo, il ritmo, gli accordi ecc. e anticipa sistematicamente (anche se in modo generico) quello che sarà l’evolversi della canzone sul piano della componente sonora.
L'intertestualità
Chi conosce gli Eelst, sa che le loro canzoni sono piene di rimandi, citazioni e frame musicali presi a prestito da altre opere più o meno note e più o meno colte. Tutto ciò che viene preso dagli Elii finisce per essere manipolato e risemantizzato, quasi sempre a fini stranianti o parodistici. In questo caso troviamo riferimenti espliciti a fatti realmente accaduti come i tentativi di Rossini e Jobim di comporre una canzone con una nota sola (a tal proposito vi rimando a un bel video di Cesare Picco); oppure l’inserimento di frammenti tratti da altri generi (il samba) o opere musicali (l’inno cubano) che rendono la loro canzone una sorta di patchwork musicale, attraverso il quale mettere in mostra le loro grandi doti di musicisti e arrangiatori.
La dimensione ironica
Una canzone di questo genere potrebbe sembrare uno splendido, ma sterile, esercizio di stile. Se però si prende in considerazione il contesto in cui è stata proposta, allora le cose cambiano. Si dice spesso che il Festival sia una kermesse durante la quale si ascolta e si premia "sempre la stessa musica". Ecco che, in questo contesto, La canzone mononota suona come una parodia dell’intero evento e delle dinamiche che lo contraddistinguono. Una presa in giro di compositori, cantautori, e big che in questi anni hanno partecipato a Sanremo con brani spesso banali o “già sentiti”. Insomma, a fronte di tante canzoni articolate ma monotone, eccone una mononota incredibilmente originale.
Le strategie enunciative
Infine un cenno sulle strategie di enunciazione, cioè sul modo in cui è stata eseguita la canzone. Tutte le esibizioni degli Eelst sono caratterizzate da una spiccata dimensione teatrale. In questo caso l'effetto ironico e dissacrante del loro brano è stato rafforzato dai travestimenti che, oltre a divertire per la loro eccentricità, arricchiscono il senso delle loro performance. Ad esempio, la trovata della fronte alta rimanda fisiognomicamente all’idea di intelligenza superiore; intelligenza di cui ironicamente si vantano. L’idea di travestirsi da grassoni, invece, oltre a richiamare la mise dei grandi tenori, sembra essere un riferimento ai tanti palloni gonfiati che negli anni hanno calcato il palco di Sanremo. 
Antonio Laurino / blog Semiotrip 

INCANTO NOTTURNO

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Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

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Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

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Foto Orco

ANCORA ROSA

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Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

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Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

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Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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MINU

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