16/06/17

FANTASMI


L'albergo Avisio e il suo quasi dirimpettaio albergo Lagorai hanno rappresentato, anche iconograficamente, il turismo estivo di Lago sino agli inizi degli anni '70. Quel turismo del tutto scomparso, fatto da persone che dalle città 'fuggivano' e si trasferivano armi e bagagli in luoghi ameni e silenziosi per tre settimane/un mese e spesso anche qualcosa in più. Ospiti alla buona, modesti e rispettosi che qui chiamavamo impropriamente "i siori" (ma tra gli ospiti del Lagorai  soggiornarono anche 'siori' veri, personaggi di fama nazionale, come Eugenio Cefis e Renato Squillante), che si adattavano ai luoghi così com'erano e non viceversa, come accade oggi. Non pretendevano strutture particolari, locali aggiuntivi, piscine, saune, solarium, campi da tennis, sale gioco, dancing, parcheggi, anche perché arrivavano generalmente con i mezzi pubblici (sino al 1963 addirittura in treno!).

Per la stessa ragione non girovagavano annoiati e insofferenti tre quarti del tempo con inutili, ingombranti fuoristrada, come ci tocca osservare di continuo. Per ricaricarsi si 'accontentavano', turisticamente parlando, della migliore qualità in assoluto gratuitamente disponibile,  che ora invece, dopo cinquant'anni di continui aggiornamenti e aggiunte all'offerta, all'interno dei nostri paesi purtroppo non siamo più in grado di garantire, e cioè il silenzio, la tranquillità e la possibilità di muoversi in un contesto ambientale sano e più a misura d'uomo. Già allora in città l'odore caratteristico era quello delle benzine combuste e il rumore prevalente quello delle autovetture. Qui da noi, a quell'epoca, girando si sentivano invece ancora distintamente l'odore delle stalle e il profumo della legna accatastata sotto i poggioli delle case. I rumori serali erano pochi e di giorno, oltre alle persone a piedi, transitavano per le strade per lo più carri a trazione animale. Lago offriva tutto questo. Niente di meno, niente di più.

Ma il tempo fugge inesorabilmente e le vicende familiari degli originari proprietari delle due strutture alberghiere, per ragioni diverse, pregiudicarono il prosieguo delle loro attività ricettive e uno dopo l'altro, prima l'Avisio e poi il Lagorai, vennero definitivamente chiusi.

Così, dopo aver ospitato negli ultimi decenni soltanto ricordi e fantasmi, qualche giorno fa l'albergo Avisio è stato demolito.


Al suo posto ora saranno edificate 'doe o tré növe 'cašòte, ma ben... piciole'. Occuperanno complessivamente una superficie quadrupla rispetto a quella occupata dalla struttura abbattuta e sottrarranno altri prati e altro verde alla località aggiungendovi nuovo cemento, nuove aree asfaltate e nuovi imprescindibili posti auto. In compenso però, come commentò soddisfatta  la nostra sindaca in occasione dell'approvazione dell'ultima variante al Piano di Fabbricazione comunale, i nostri artigiani avranno nuove opportunità di lavoro...

A conferma, una volta di più, di quanto miope sia la visione del tutto, ed il rispetto, l'attenzione, il senso del limite, la salvaguadia del territorio siano, qui più che altrove, soltanto vuote e impraticate parole. Continuiamo così.


Ario Dannati

A PROPOSITO DI NEVE


“Snow Future” è la mostra temporanea inaugurata nei giorni scorsi al Museo di Scienze Naturali dell’ Alto Adige, a Bolzano

Legato alla mostra si è concluso però nei giorni scorsi anche un simposio di due giorni dal titolo “Snow Future -. Cambiamento climatico – una svolta interdisciplinare”. A chiudere i lavori con una conferenza pubblica è stato il noto climatologo Luca Mercalli. L’ abbiamo intervistato. Neve e Futuro. Non occorre aggiungere molto.

Quale scenario si viene prefigurando sull’ arco alpino? «Abbiamo serie storiche di dati che coprono quasi un secolo e il trend è chiaro: al di sotto dei 1500 metri la riduzione delle precipitazioni a carattere nevoso è drastica e arriva anche al 40%, mentre a quote più alte la situazione è migliore, anche se per avere una certa stabilità del manto bisogna salire al di sopra dei 2000 metri. Situazione in via di peggioramento perché la temperatura media aumenta di anno in anno».

L’ industria delle neve tenta di rispondere introducendo nuove tecnologie nell’ innevamento programmato e creando bacini di accumulo sempre più grandi e capillari. È sufficiente? «Temo di no, sia dal punto di vista della sostenibilità economica che da quello della sostenibilità ambientale. Inverni siccitosi come quello che si è appena concluso riportano tutti coi piedi per terra: l’ acqua è un “bene scarso” e impone un uso razionale. Usi civili, agricoltura, turismo esprimono interessi in conflitto e prima o poi dovremo stabilire delle priorità. Abbiamo vissuto negli anni scorsi altre situazioni di crisi idrica primaverile che poi, nel corso dell’ estate si sono risolte grazie ai temporali. Speriamo che anche stavolta vada così. Speriamo davvero». 

Dunque, tornando al turismo invernale, quale strategia? «Neanche un euro di denaro pubblico alle stazioni sciistiche al di sotto dei 1500 metri e poi diversificare l’ offerta turistica, come si sta facendo in Appennino».

Ma le Alpi e le Dolomiti in particolare hanno un’ altra storia. Ci sono intere economie che ruotano intorno al turismo invernale dove, negli anni, sono stati investiti fiumi dei denaro in infrastrutture.
«Lo so, ma negare che le cose stiano cambiando, e in fretta, per via dell’ innalzamento delle temperature e dei cambiamenti del ciclo idrologico, non serve a nessuno. Non lo trovo utile. Né si può pensare di spostare sempre più in alto le stazioni sciistiche andando ad occupare stabilmente aree al di sopra dei 2500 o dei 3000 metri. Quelle zone sono troppo fragili, sia dal punto di vista idrogeologico che dal punto di vista ecologico. Sarebbe un errore gigantesco». 
Lei sta introducendo l'idea di limite. «Sì. E non capire che esiste un limite in ciò che si fa, nel battere certe strade, ritarda solo l’ adozione di adeguate contromisure. Io dico che perseguire oggi una politica espansiva dei comprensori sciistici non ha senso».
 
Il Trentino 06/06/2017

13/06/17

FOREVER SNOW: L’ITAP SFIDA I CAMBIAMENTI CLIMATICI

L’opinione pubblica paesana non mormora, non discute, non dibatte. Guarda attonita, o forse ebete, incapace di un sussulto, di un’indignazione. È morta e sepolta. L’opposizione comunale non è all’altezza del suo ruolo, e Dio solo sa quanto avremmo bisogno di un contrappeso di qualità per contrastare la presunzione di una maggioranza asservita e impalpabile; un’opposizione capace di argomentare con competenza e all’occorrenza di battere i pugni sul tavolo. L’intellighenzia giovanile (le decine e decine di laureati e diplomati presenti in paese) è muta, in parte tacitata da un incarico, una presidenza, una licenza edilizia, e in parte, peggio ancora, indifferente. La PAT, in epoca lontana baluardo al dilettantismo amministrativo delle periferie e garanzia di buona amministrazione, annovera ora al suo interno innumerevoli spregiudicati dilettanti, plebiscitati a Trento non certo per le loro qualità morali e intellettuali. Quale ultima speranza, confidavamo nel parroco, coi suoi legami ultraterreni e il privilegiato rapporto diretto con il Massimo Fattor. Ma anche lui evidentemente è poca cosa; in caso di perdurante siccità, garantirà, forse, qualche orazione ad hoc.
 


 
I cambiamenti climatici sono un fatto inequivocabile al centro delle agende politiche internazionali. A Tesero, però, pare non ce ne importi una pippa! Le cronache riportate dai quotidiani locali sulla recente serata di presentazione del nuovo bacino di accumulo di Pampeago lo testimoniano perfettamente. Pur di striscio evocati, proprio durante quell’incontro pubblico, essi non spaventano e si procede e si rilancia con disprezzo ed arroganza, come se i problemi di realizzazione di quell’opera fossero casomai soltanto tecnici ed economici e non invece soprattutto ambientali e morali.

Lo sconcerto è totale.

Delle parole del Santo (i famosi MAI PIÙ) pronunciate 29 anni fa ai piedi delle rovine di altri tragici bacini e a un tiro di schioppo dal luogo ove verrà edificato il nuovo invaso, chi se ne frega…

“Il dominio accordato dal Creatore all’uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di ‘usare e abusare’ o di disporre le cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio ed espressa simbolicamente con la proibizione di ‘mangiare il frutto dell’albero’ mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire”.

Di fronte a un procedere così incongruo, dopo oltre 30 anni di anniversari celebrati in gran pompa e di insistiti moniti, ci saremmo aspettati quantomeno e finalmente prudenza, attenzione, cambio di indirizzo, voglia di cercare alternative ad un’offerta turistica costantemente in competizione col territorio. Invece… Invece le parole non coincidono mai con i fatti: attenzione, rispetto, cura, prevenzione, si ripetono infinite volte soltanto in quelle occasioni, ma nella realtà Il consumo e lo sciupio territoriale qui continua senza l’apparente minima preoccupazione generale.

La Fondazione Stava, che va a insegnarla al mondo intero, ha qualcosa da dire in proposito, o le ardite intraprese di ITAP e CERMIS non rientrano tra le fattispecie presenti nel suo statuto da monitorare, biasimare e finanche condannare?

Quanto dovremo attendere ancora per vedere un cambio di rotta, finalmente virtuoso? Quanto è difficile cambiare registro? Perché ci si incaponisce? Si faccia qualcos’altro. Si promuova un nuovo modo di ‘vivere’ la stagione invernale. Se non si useranno più gli sci non per questo gli impianti dovranno venire smantellati. Si promuova il trekking di alta quota, il nordic walking, si converta la marcialonga skiing in cycling (come già si fa da qualche anno in estate). E chi più ne ha, più ne metta. Fantasia, diamine!

Ma dov’è il problema? Perché di fronte alla chiara evidenza della tendenza climatica in atto ci si accanisce con lo sci, costi quel che costi? Con opere artificiali costosissime, a carico ovviamente dell’Ente pubblico, sottrazione di risorse naturali, modificazioni orografiche importanti, 'cannoni' che soffiano e ululano notti e notti intere a 2400 metri (ma anche a 900, in quel di Lago). È un procedere miope, stupido e pericoloso. E, serbatoio o non serbatoio, potrebbe non durare ancora molto. Perseverare su questa strada è davvero diabolico.

L’Orco




11/06/17

€ 600,00 PER PASSARE ALLA STORIA


Tempi oscuri e memorie labili, assorbite e prosciugate da rivoli infiniti di spazzatura in cui la modernità, attraverso la sua incessante diffusione tecnologica di massa, quotidianamente ci immerge. Like, tweet, post, whatsapp, s-bit, emoticon, etc., etc. Azioni ripetute ogni giorno centinaia e centinaia di volte. Per essere virtualmente collegati col mondo intero ed essere fisicamente scollegati da tutto. Sono le operazioni compulsive della connessione globale che paradossalmente ci impediscono ormai di fare il punto della situazione globale e di capire dove stiamo velocemente precipitando. Possiamo tutto, ma un tutto effimero e mai colmo. Comunicare, inviare foto, trasmettere documenti, condividere drammi e felicità, ascoltare e sapere in tempo reale ciò che accade in ogni dove senza essere protagonisti e decisori di nulla. Onnipotenti e impotenti al tempo stesso, perché l'onnipotenza virtuale generalizzata equivale, appunto, all'impotenza fattuale di ognuno.

Tutto passa veloce. E tutto, in una confusione sempre più evidente, veloce precipita nella dimenticanza e nell'oblio. L'apparente immutabile circolarità del tempo inquieta e mortifica. La routine della vita agiata e comoda - "guai che la cambie..." spesso s'udiva non molto tempo fa - non durerà purtroppo ancora a lungo. Perché tutto sta velocemente cambiando. La nuova Via della Seta presto ci porterà i Cinesi in casa. Saranno loro tra non molto i padroni del mondo. Un miliardo e mezzo di umani vogliosi di fare, di produrre, di conquistare. Non solo Inter e Milan, ma anche la 'gloriosa' Cornacci calcio presto avrà un presidente dal nome mandarino, Xien Pjin Lu. E tra quindici anni addirittura il sindaco di Tesero potrebbe chiamarsi Deng Zi Xan.

Di tutto questo in Comune se ne sono accorti e hanno deciso di correre ai ripari. Se lo scenario è questo urge alla svelta lasciare traccia ai posteri della nostra Età dell'Oro, perché le vestigia sparse qua e là sul nostro territorio non bastano. Con questi cervelli frusti o collassati, le opere e i provvedimenti amministrativi del recente passato non sono sufficienti a garantire una Memoria davvero imperitura. Chi ricorderà tra dieci anni (ma già adesso i più non lo ricordano) quale geniale amministratore cogitò l'ultimo disastroso piano di fabbrica locale? In quanti, passando te Cavada, sapranno rispondere alla domanda: sotto quale sindaco nel 1998 venne abbattuto il vecchio brenzo e costruita la qui presente fontana?

Sì, il grave rischio dell'oblio è drammaticamente reale e per chi amministra, il gratificante passaggio del Ventisette ad ogni fine del mese non può essere l'unica ragione per candidarsi ed aspirare ad una cadrega di peso...

Ecco dunque l'idea: editare un libro (o forse un più modesto pamphlet, o addirittura, una semplice pergamena) con le biografie in formato espresso di coloro che per esclusiva purissima filantropia e amore civico si sobbarcarono il gravoso onere del comando. Un segno doveroso di gratitudine nei confronti di chi precedette l'attuale prima cittadina e di autogratitudine nei confronti di essa stessa, che pubblicamente e imperituramente ricordi ai posteri questi benefattori.

La pubblicazione sarà consegnata ad ogni famiglia ed una copia con brossura speciale e rilegature in metallo prezioso sarà custodita nella biblioteca comunale. Che alle future generazioni si lasci una traccia certa del recente passato paesano!

La ricerca, vista l'indisponibilità degli uffici comunali, troppo presi a organizzare i prossimi eventi estivi mondani, sarà affidata allo storico locale, professor Italo Giordani. Essa ripercorrerà cronologicamente vita, opere e miracoli di chi dal dopoguerra in poi guidò il paese. Magari (ma non ce lo auguriamo), per eccesso di zelo, l'autore si spingerà sino a classificare in base ai fatti amministrativi le dodici figure che ressero le sorti di Tesero dal lontano 1946 ad oggi.

I dodici nomi di chi si succedette al comando di palazzo Firmian (Francesco Mich, Gabriele Iellici, Giuseppe Zanon, Enrico Ciresa, Remigio Braito, Pietro Deflorian, Adriano Iellici, Maurizio Zeni, Giovanni Delladio, Francesco Zanon e Elena Ceschini) verranno dunque svelati e consegnati alla Storia del paese per la certamente modica cifra di € 600,00. Un libro (o, come detto un pamphlet, o addirittura, una semplice pergamena) e una targa d'oro (o più probabilmente d'ottone) cesellata a mano li ricorderà nell'atrio del Palazzo.

Sarà opportuno lasciare qualche spazio libero sul supporto cartaceo e qualche centimetro di metallo in più sulla targa in modo da poter aggiungere i nomi e le storie di quelli che all'attuale reggente comunale succederanno. Nella speranza che tra quindici anni il nome da aggiungere non sia proprio quello di Deng Zi Xan...

Ario Dannati

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

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