14/01/12

L’AUTONOMIA DI SPERPERO




“Sante parole” chiosava il recente articolo del Sole un lettore, curioso di capire di cosa sarebbero capaci (di fare) i Trentini senza l’autonomia, ovvero senza il massiccio ricorso in ogni ambito al copioso budget provinciale. Un altro invece, contro-cantando, ribatteva sprezzante nei confronti di chi (Maugeri) avrebbe ‘a sproposito’ osato mettere in discussione questa Autonomia, palesando così di appartenere a quell’ampia maggioranza di Trentini per la quale, a prescindere dal merito, più denaro eguale più benessere. Maggioranza che include, manco a dirlo, la classe politica trentina più ‘alta’, quella che sta seduta sulle poltrone del consiglio provinciale. Sarà pure una considerazione qualunquista, ma se il ‘governatore’ Dellai, a capo di un lembo di terra con poco più di 500mila persone, come politico guadagna più di Obama, che di persone ne amministra 300milioni ed è capo della più grande potenza economica-militare occidentale, qualche considerazione nel merito dovremmo forse farla…
Noi apparteniamo alla minoranza dei Trentini che ‘pensa male’, e ci schieriamo con Maugeri, che però non è trentino e con Giugni che lo è solo d’adozione. Crediamo che lo spirito autonomistico originario sia stato travisato nei fatti e che in troppi abbiano equivocato scambiando l’Autonomia proprio per un bancomat. D’altronde Fiemme è un osservatorio privilegiato, visto che negli ultimi 27 anni, ‘grazie’ a Stava e al Cermis la valle è stata inondata di denaro pubblico provinciale. E però, evidentemente, nonostante i templi, le lapidi e i monumenti alla memoria, in troppi hanno già dimenticato e quindi non ne colgono il nesso.
Tornando alla curiosità del lettore si può azzardare un elenco di cosa per esempio, senza quei denari, non sarebbero stati capaci di fare a Tesero.
Accenniamo soltanto a tre opere tra le più significative, completate o in fase di ultimazione, in virtù dei copiosi contributi P.A.T.
1) La Nuova Casa di Riposo, con ‘prontezza postuma’ rinominata in paese le Presón de le Valene. Una struttura di grande impatto paesaggistico, la cui licenza edilizia venne rilasciata forse in base al principio che a caval donato non si guarda in bocca… e neanche dove lo si mette. In questo caso, se la Provincia non fosse stata ancora affetta dalla ‘sindrome di Stava’ e in bocca a quel cavallo avesse dato un’occhiata, a quella struttura in quel luogo avrebbe sicuramente detto no, tacitando le smanie e le pressioni (che furono tante) di chi proprio lì, pervicacemente ne pretese invece l’edificazione.
2) Una Provincia libera da sensi di colpa non avrebbe nemmeno promosso, dopo la prima, nuove edizioni dei cosiddetti mondiali di sci nordico, accollandosene gran parte dell’onere. Se così fosse stato noi avremmo assistito alla sola edizione del 1991, ‘regalata’ dalla P.A.T. a Fiemme proprio per ‘sdebitarsi’ dalle gravissime colpose inadempienze di Stava e il Comune non avrebbe dovuto sostenere i pesanti e imperituri costi di gestione del Centro fondo di Lago, dato che, per imbonire i proprietari dei terreni, in quella occasione si allestirono strutture mobili che vennero smantellate a conclusione delle gare.
3) A chiusura di questa piccola finestra sulla ‘buona amministrazione’ di Tesero ricordiamo fugacemente (perché di essa qui già ne abbiamo parlato) l’incredibile fresca e controversa vicenda della copertura del campo di pattinaggio di Lago (costo 2.213.000 euro in gran parte finanziati dal solito ‘bancomat’), causa non secondaria, peraltro, della recente crisi di Giunta in Comune.
Passando dal pubblico al privato, l’abuso del bancomat provinciale è altrettanto evidente. Per esempio nelle ristrutturazioni alberghiere partecipate a fondo perduto al 35 - 40% dalla Provincia, di cui beneficiano anche strutture quasi nuove. Ovvero nella zootecnia di montagna, alla quale l’ente pubblico letteralmente regala macchinari agricoli del valore spesso superiore al capitale d’impresa complessivo. E ancora nel settore strategico degli impianti di risalita. Und so weiter, giù giù, sino a perdersi nel mare magnum del volontariato e dell’associazionismo. Una miriade di fonti di spesa alimentate per la ragione più o meno evidente di garantire lo scranno di chi se ne fa procuratore politico. Per restare nel nostro piccolo, rientrano in questa fattispecie innumerevoli iniziative. Eccone un breve e casuale elenco. L’osservatorio astronomico di Zanon, di prossima realizzazione. I mirabolanti viaggi, ormai di routine, del grande presepio di Tesero, da Cracovia a L’Aquila, da Roma a Betlemme. La gita di ‘rappresentanza’, di qualche tempo fa, del coro Genzianella nelle lontane Orcadi. La rinnovazione del parco macchine dei pompieri, divenuta ormai quasi patologica: mezzi praticamente nuovi, con un chilometraggio bassissimo, sostituiti tanto per non sfigurare nei confronti del corpo del paese vicino… Per finire con i 130 mila euro, elargiti per la recente sostituzione delle divise della banda musicale. Quelle ‘vecchie’, conti alla mano, in 15 anni di servizio non avevano sopportato più di 100/120 giorni complessivi di… logoramento. Eccetera. Eccetera. Eccetera.
Insomma ce n’è per tutti i gusti e la critica di chi ci guarda da fuori, specie in questi tempi di magra, è ben giustificata. Sarebbe opportuno che anche i Trentini (tutti) aprissero gli occhi e si sforzassero di ragionarci sopra almeno un po’.
Se vogliamo mantenere questo privilegio, chiamato Autonomia, ‘strappato’ a Roma giusto 40 anni fa sulla base di presupposti storici, geografici, economici, finanche linguistici (Accordo De Gasperi – Gruber del 1946) oggigiorno senz’altro superati, a questo ‘allegro’ procedere dobbiamo dire basta.

L’Orco

12/01/12

C’È AUTONOMIA E AUTONOMIA




Pubblico due miei interventi sul tema “scottante” dell’autonomia speciale. Valore indubbio, ma molto male interpretato da chi guida i due territori provinciali. Se i nostri “governatori” (termine improprio, ma utile per capire e dare l’idea della personalità dei soggetti in questione) facessero una passeggiata tra la gente sentirebbero serpeggiare il disagio e l’imbarazzo per le loro parole. “Il grasso non cola più” scriveva lucidamente Enrico Franco sul Corriere del Trentino. E senza le risorse che la crisi economica ha prosciugato è difficile assecondare una grandeur di pura facciata. L’autonomia che possiamo permetterci oggi e che dovremmo perseguire è quella seria e virtuosa che De Gasperi aveva voluto: volano di crescita, modello per il territorio dello Stato. Non quella costosa, sprecona e clientelare che ci troviamo a subire per l’orgoglio sprezzante di qualcuno.


Negli ultimi tempi ho vissuto con disagio i continui distinguo con cui le Regioni (e la nostra Provincia) hanno accolto le misure economiche del Governo Monti. E mi sono interrogata sulla validità delle argomentazioni di coloro (e non sono tutti politici invidiosi o infuriati “vicini di casa”) che hanno sollevato perplessità sul necessario permanere delle Autonomie Speciali. Non voglio entrare in un dibattito storico che presenta aspetti di indubbia validità, ma richiamare l’attenzione sulle premesse alle singole funzioni, regionali e provinciali,previste dallo Statuto. Le competenze legislative (ed amministrative) di Regioni e Province Autonome si realizzano ” in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico dello Stato e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali (tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali) nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica”. Nella continua ricerca di un cavillo normativo che attribuisca al Trentino la possibilità di non essere “coinvolto” e di poter decidere a suo piacimento, colgo la volontà di non sottostare a queste inderogabili premesse, non a caso collocate come incipit ai primi articoli dello Statuto Speciale. Mi imbarazza vedere che l’autonomia viene letta, oggi, come occupazione di spazi (nel CdA previsto dal nuovo Statuto dell’Università, nella composizione di TAR e Corte dei Conti, nel proliferare di società partecipate, nella volontà di acquisire prerogative anche nella gestione dell’apparato burocratico degli uffici giudiziari, nella vicenda disgraziata delle Comunità di Valle), non come modello virtuoso di amministrazione innovativa e snella, realmente democratica. Nel promuovere l’autonomia, il Legislatore del 1948 non voleva sicuramente riprendere il sistema medievale dei vassalli, ma anticipare una sorta di regionalismo avanzato, che fungesse da modello per un Paese appena uscito dal fascismo, poco abituato a decidere per il proprio territorio. Un regionalismo, tramutatosi, per noi, in provincialismo, che non può prescindere da uno Stato a giustificarne l’esistenza. Uno Stato spesso censurabile, dobbiamo ricordarlo, ma da cui è difficile e pericoloso prendere le distanze in modo supponente. In un bellissimo editoriale del Corriere nazionale, nel settembre scorso, Ernesto Galli Della Loggia parlava di “un elettorato ormai drogato, abituato a trarre la vita, o a sperare il proprio avvenire, dal piccolo o grande privilegio, dall’eccezione, dalla propria singola, particolare condizione di favore.” E’ proprio da questa sindrome che si deve rifuggire. Una sindrome che prospera anche in Trentino, grazie alla convinzione che l’Italia sia un’altra cosa, che l’Autonomia, come una sorta di Superman, ci possa preservare. Ma difendersi dal corpo di cui si è parte è impossibile, come lo è pretendere di interpretare le parole dello Statuto per chiamarsi fuori, troppo spesso, dalle difficoltà economiche, sociali e politiche in cui stiamo navigando. Se esiste una possibilità di salvezza per l’Italia, e per il nostro Trentino, questa potrà concretizzarsi solo se riconosceremo i valori di quella premessa agli articoli (il 4 e l’8) dello Statuto. Articoli che possiamo paragonare ai principi fondamentali della Costituzione, nei quali si ribadiscono unità e uguaglianza, dai quali dobbiamo ripartire, con fede sincera, per ricostruire identità e certezze.
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Apprendo dalla stampa locale di essere un’utile idiota. Lo stile di Lorenzo Dellai, per cui chi non è in linea con il suo pensiero diventa- ipso facto- poco degno di considerazione è francamente fastidioso. L’autonomia di cui è fiero difensore, costruita grazie all’assenza di avversari e al succedersi di governi di destra e di sinistra troppo distratti per guardare alle periferie del Nord e del Sud del Paese, è quella di chi cerca di occupare ogni spazio possibile:università, giustizia,scuola, organi di controllo contabile, enti intermedi costosi ed inutili come le Comunità di Valle. Con il supporto di risorse economiche abbondanti, utilizzate in modo non sempre condivisibile. Gian Antonio Stella è in buona compagnia quando critica, in modo molto soft e con grande tatto, un modello politico diverso da quello originariamente ipotizzato, oggi poco sostenibile. Sono con lui Massimo Mucchetti e Tito Boeri, per restare nell’ambito degli editorialisti del Corriere della Sera. E davvero sarebbe interessante sapere che ne sarebbe del nostro Paese ( nostro, caro Dellai, perché il Trentino è Italia, a tutti gli effetti) se ogni realtà regionale affermasse, circa le proprie risorse economiche: “sono soldi nostri, decidiamo soltanto noi”. Quello che altrove verrebbe bollato come leghismo da condannare, qui viene promosso al rango di “autonomia” da chi guida la politica locale. Stella è credibile e serio, non fazioso, estraneo a logiche di potere e il Corriere della Sera uno dei maggiori quotidiani italiani. Se l’Italia è in difficoltà lo è ogni suo territorio, anche il Trentino. E i cittadini, senza auto blu straniere, senza tessere gratuite per l’autostrada, senza diaria detassata e con gli stipendi (quando ci sono) bloccati, se ne stanno accorgendo. Forse, diminuendo “l’ebrezza da euro-autonomia”, considerando invece il vero valore di quell’autonomia che i padri statutari avevano in mente, potrebbe accorgersene anche chi ha la responsabilità del governo provinciale.


Giovanna Giugni – Tratto da Chinonrisica 08/01/2012

10/01/12

IL TRENTINO AIUTA A PROLIFERARE LE LOTTIZZAZIONI E LE POLTRONE



Dalla culla alla bara. In nome del principe vescovo. Illuminato, democratico, progressista e sicuramente munifico, se è vero, come è vero, che per 531mila abitanti dispone di entrate per competenza di 4,5 miliardi.
Una concentrazione di potere (e di denari) che non ha pari tra i governatori italiani. Landeshauptmann – capo di Stato – come i tedeschi chiamano i governatori, forse si attaglia meglio al presidente di questa Provincia autonoma.
I numeri, prima di tutto: 42mila dipendenti pubblici, tra statali e provinciali, e 23 società partecipate, delle quali 14 controllate direttamente. La proliferazione di incarichi, prebende e lottizzazioni è l'inevitabile precipitato di una presenza totalizzante. La Provincia pensa a tutto. E ai trentini, qualunque iniziativa economica abbiano in mente, scatta sempre il riflesso pavloviano di prelevare dal bancomat provinciale.
Dal 2008, quando la crisi ha cominciato a colpire duro, la società provinciale Trentino Sviluppo ha moltiplicato la pratica del lease-back per aiutare le aziende in difficoltà. Il meccanismo è semplice: la Provincia compra gli immobili dell'impresa che poi restituisce il dovuto con un mutuo di 15 o 18 anni a tassi di favore (euribor +0,50%). Detto in altri termini, un sistema per iniettare liquidità nelle imprese mentre le banche chiudono i rubinetti del credito. Il pubblico chiede come ovvia contropartita la salvaguardia dei posti di lavoro. Negli ultimi anni Trentino Sviluppo ha scucito 500 milioni per salvare aziende sull'orlo del crack. Funziona, almeno per ora. Ma la crisi non solo non passa ma addirittura si inasprisce. Forse è per questo che gli imprenditori fanno la coda per ottenere un aiuto dalla Provincia. Alessandro Olivi, l'assessore all'Industria, ha cercato di essere perentorio: «Cari imprenditori, Trentino Sviluppo non è una banca».
Da queste parti è difficile chiudere la porta in faccia a qualcuno. L'élite trentina è cosi ristretta che pubblico e privato sono vasi comunicanti, almeno nei ruoli di vertice. Politica del maso chiuso. O, come lo apostrofò il sociologo Ilvo Diamanti, un sistema produttivo bonsai che convive con un apparato pubblico ipertrofico.
Gli assessori democrat della Giunta Dellai, per bocca del capogruppo Luca Zeni, provano a incalzare il Landeshauptmann: «L'autonomia è sicuramente un valore aggiunto. A patto che non si trasformi in autarchia». Dellai, ormai al terzo mandato, va diritto per la sua strada. E con l'accordo di Milano del 2009, sottoscritto con gli ex ministri Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, ha assicurato alla Provincia autonoma la piena potestà anche sull'università e gli ammortizzatori sociali, scatenando una serie di polemiche con i vertici dell'ateneo sulle nuove regole che saranno codificate da una commissione – detta "dei dodici" – nella quale gli accademici sono in netta minoranza. Il patto stabilisce la "partecipazione della Provincia nelle scelte e negli indirizzi di ricerca dell'Università", un passaggio che ha spinto alla dimissioni il prorettore Giovanni Pascuzzi. Dice l'ex numero due dell'ateneo: «Ho qualche dubbio che sia un bene rimettere le scelte strategiche dell'Università alle decisioni di variabili maggioranze politiche».
All'opposizione sono i leghisti a menare fendenti. Dice il consigliere provinciale Franca Penasa, ex sindaco di Rabbi, in Val di Sole: «C'è una vasta gamma di operazioni torbide. Una su tutte: le società partecipate affidano gli appalti senza gara a società dietro le quali si nascondono fiduciarie straniere con soci occulti. Per non parlare degli sprechi: Bolzano ha speso 15 milioni per cablare il territorio provinciale, qui siamo oltre i 200».
La moltiplicazione degli incarichi politici negli organigrammi delle società provinciali ha fatto scuola anche sul territorio.
Con una legge del giugno 2006 sono state istituite ben 15 comunità di valle. Quella della Val di Non ha un'assemblea di 96 componenti, 57 dei quali eletti a suffragio universale. Mentre la Lombardia riduceva drasticamente le sue comunità montane e la Liguria le aboliva del tutto, la Provincia autonoma di Trento ha articolato la sua struttura politico-amministrativa in ben sei livelli (Regione, Provincia, Comune, Circoscrizioni, 99 Asuc, amministrazioni separate usi civici, oltre naturalmente alle comunità di valle). Difende a spada tratta la Giunta l'assessore alle Politiche sociali Ugo Rossi: «Anche gli scettici dovrebbero ammettere che le nostre sono politiche di stampo nordeuropeo. Nella ricerca stiamo concentrando risorse rilevanti. Faccio solo qualche nome: Trento Rise, il polo della Meccatronica, la fondazione Bruno Kessler». I denari, evidentemente, oliano anche ingranaggi macchinosi. Lo studio più recente in ordine di tempo sostiene che a Trento ci sia l'ambiente più favorevole in Italia per creare una nuova azienda. Il Trentino giganteggia su tre materie: lavoro, contesto sociale e finanza. La morale è semplice: pure le economie bonsai fioriscono. A patto che siano innaffiate da denaro pubblico.

Mariano Maugeri (il Sole 24 Ore - 10/01/2012)

INCANTO NOTTURNO

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Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

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Bepi Zanon

TESERO 1929

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Foto Anonimo

PASSATO

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Foto Orco

ANCORA ROSA

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Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

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foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

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Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

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Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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