27/09/08

LA TALPA, NUOVA ARMA TALEBANA


I reality-show sono trasmissioni commissionate dai fondamentalisti islamici per dimostrare l'inferiorità degli occidentali. Ma non solo. Gli sceicchi ispirano molte altre manifestazioni della decadenza occidentale. Ecco le principali.
Si vedono adulti seminudi che corrono nella melma bestemmiando, ragazze che collassano abbattute dagli idranti, prove iniziatiche a base di scarafaggi nelle mutande, umiliazioni e crisi isteriche in pubblico. È lo spettacolo di un'umanità degradata, che non ha più vergogna neanche di farsi fare un primo piano del culo mentre peta, anzi lo considera il momento più adatto per salutare la mamma a casa. Vedere i concorrenti di un reality-show e pensare che l'estinzione della nostra civiltà sia inevitabile, e forse anche giusta, è tutt'uno. La vera natura dei reality-show è dunque questa: pura propaganda araba. Si tratta di odiose trasmissioni commissionate dalle centrali del fondamentalismo islamico per dimostrare l'inferiorità degli occidentali: bastano cinque minuti della 'Talpa' per desiderare intensamente lo sterminio dei concorrenti, della troupe, degli autori e degli sponsor.
Oltre ai reality-show, gli sceicchi della morte sono gli ispiratori occulti di molte altre manifestazioni della decadenza occidentale. Vediamo le principali.
IL TRE PER DUE
Ingorghi di pensionati col carrello. Alcuni fuggiti dall'unità coronarica (hanno uno strascico di tubicini ancora appesi) pur di accaparrarsi tre cassette di pompelmi al prezzo di due. Non hanno mai mangiato un pompelmo in vita loro, credono si tratti di limoni molto grossi o di palloni da basket molto piccoli, ma il richiamo del tre per due è irresistibile, ipnotico. Se vedono in offerta le batterie d'auto o gli ombrelloni, li comprano. I loro carrelli sono altrettanti allestimenti della Biennale: 85 pompelmi, due pneumatici da neve, un cd di Eminem scambiato per un posapentole, un porta-cd scambiato per trespolo per galline, due sogliole congelate scambiate per scarpe da riposo. Il tre per due è stato studiato dagli economisti di Al Qaeda per minare alle radici il risparmio occidentale. Micidiali anche gli effetti collaterali: malori per spingere carrelli pesantissimi, morti per schiacciamento nella calca davanti alla scansia di Coccolino, lesioni gravi negli incroci tra carrelli con carichi sporgenti.
IL CULTO DI LADY DIANA
Dodi Al Fayed fu, in realtà, uno dei primi kamikaze. Dirottò personalmente la Mercedes contro un pilone sapendo che milioni di massaie cotonate avrebbero immediatamente santificato la principessa, trasformando una simpatica svaporata in Dea dell'Amore Infelice. L'orribile culto (tonnellate di orsacchiotti di peluche e letterine piene di cuoricini depositati davanti ai Luoghi Dianici, mandando in tilt la nettezza urbana) testimonia e/o accelera un deficit neurologico di massa, e inficia gravemente le difese culturali dell'Occidente. Impossibile prendere le distanze dal culto delle Vacche Sacre, dall'infibulazione e dalle superstizioni tribali, finché si dedicano interi giornali alle copule della Royal Family.
IL FUORISTRADA
Tre tonnellate di peso, sei metri di lunghezza, il prezzo di un appartamento, consumi da cacciatorpediniere, una spiccata tendenza a ribaltarsi nei fossi, il primato indiscusso nelle statistiche degli incidenti mortali, l'evidente insensatezza di usare un autoblindo per accompagnare a scuola i figli. Eppure la moda del gippone dilaga: si vedono sempre più spesso esili signore bionde, in pieno centro urbano, annaspare aggrappate al volante di pazzeschi veicoli militari in svendita dopo la Guerra del Golfo e ribattezzati 'Surabaja' o 'Portofino' dai lestofanti del marketing. Azionano istericamente le frecce, gli alzacristalli, gli antinebbia, chiedendo istruzioni al telefonino al marito stronzo che le deride, infine accelerano per la disperazione, scrostando la facciata dei due palazzi tra i quali si sono incastrate e schiacciando il carabiniere che cercava di abbatterle con una fucilata per salvare i passanti inermi. Ogni gippone venduto alle signore del ceto medio americano ed europeo viene rivendicato da Al Qaeda con una telefonata a 'Al Jazeera'.

Michele Serra

26/09/08

A UN NOTTAMBULO INSONNE


Il problema dell’informazione, anzi, di come informare, è effettivamente fondamentale. Un nottambulo lettore, a proposito di un pezzo pubblicato su questo blog, ci scrive: “Talvolta penso che articoli mattoni (pallosi) come questo non facciano assolutamente proseliti verso la "giusta causa" anzi allontanino il lettore dall'obiettivo che si intende perseguire. Forse sarebbe meglio portarlo su un problema specifico e lasciare che la sua intelligenza e sensibilità lo lascino autonomamente spostarsi col pensiero in altri campi di valenza analoga. Voi che ne pensate? Bnotte o... Bgiorno se preferite!”
Caro lettore delle ore piccole, l’articolo cui fai riferimento è in verità un dossier, indubbiamente abbastanza lungo che per ciò è stato pubblicato in cinque tocchi. Ha però il pregio, a mio avviso, di essere organizzato in piccoli capitoli di agile lettura. Effettivamente un dossier includente una lunga serie di temi può apparire “dispersivo” ma fatto a brevi capitoli dà la possibilità di saltare e selezionare a piacimento ciò che più o meno interessa. Certo si può portare il lettore, come suggerisci, su un tema specifico. Ma questo blog ha un limite non da poco: quello di non capire da chi viene letto, essendo i suoi pochi frequentatori scarsamente propensi al commento. Se pubblichi mediamente 4 post a settimana di argomenti diversi e a fronte di 300 “contatti/settimana” arrivano appena 2 o 3 commenti, quando va di lusso, come si fa a capire quali siano gli interessi dei lettori? È difficile riuscire a calibrare l’ “offerta”. L’impressione è che tranne pochi habitué ci si soffermi poco sul merito di quanto pubblicato. Siamo ancora lontani dal raggiungere quella scioltezza di interscambio critico che sarebbe poi la forza di un blog. Sinora si preferisce sbirciare velocemente, con qualche ovvia eccezione. Col tempo magari qualcosa cambierà e allora migliorerà anche l’offerta e aumenterà anche la possibilità che lo scambio di opinioni tra i lettori produca positive novità. Un saluto.

euro

25/09/08

GLOBALIZZAZIONE E AMBIENTE - 5^ parte


Conclusioni


Da molto tempo è noto quanto il comportamento degli individui possa migliorare le condizioni dell’ambiente. Acquisti orientati nei confronti di merci di maggiore qualità ecologica, riduzione dei consumi energetici attraverso una gestione oculata degli impianti e degli elettrodomestici, riduzione delle emissioni con l’uso di vettori alternativi e innovativi, sostituzione a livello privato dell’energia da fonti fossili con quelle rinnovabili. Ma l’attenzione di moltissime persone nei confronti di comportamenti ambientalmente e socialmente qualificati è contrastata dall’economicità delle merci a minore qualità ambientale (prodotti di qualità minore spesso scaturenti da processi dequalificati) e dalla promozioni di merci fortemente inquinanti. Quante lampadine a incandescenza dobbiamo sostituire per recuperare la differenza di energia esistente tra la costruzione e l’uso di un autoveicolo di piccola cilindrata ed un SUV? Quanti classi di Euro (siamo a Euro 4) dobbiamo percorrere per recuperare l’incremento medio di cilindrate che i produttori hanno attuato nell’ultimo ventennio? L’eventuale differenza di qualità del caffè prodotto da una macchinetta normale e da una caffettiera tipo bar a cialde motiva lo sperpero di energia per costruire e gestire i due strumenti e l’incremento di rifiuti che il sistema cialde comporta (anche se fossero “riciclabili”, “biodegradabili”, “ecocompatibili”, “naturali”, etc). Questi prodotti non hanno l’obiettivo di ridurre il peso ambientale della nostra specie. Si muovono autonomamente dagli interessi dell’umanità, su regole e criteri propri: aumentare i profitti dei produttori, ampliare il mercato, inventare merci rivolte a specifiche categorie di consumatori. Vi è l’interesse della produzione nel predisporre oggetti di grande dimensione, perché attraverso di essi riescono a motivare i costi elevati a parità di funzione, e oggetti che complicano la funzione perché ne sostengono l’utilità. Questo tipo di oggetti, grandi, complessi, a breve durata, sono esaltati dai produttori rispetto ad altre merci (con la stessa funzione ma semplici e correttamente dimensionati) e su questi scatenano tutta la comunicazione e le motivazioni emozionali sostengono le vendite. La popolazione mondiale è sottoposta ad un continuo bombardamento di comunicazioni commerciali, accattivanti, gustose che propongono soluzioni affascinanti a problemi inesistenti, progettate da specialisti, realizzate da tecnici di grande capacità; così facendo riescono a indirizzare i desideri a riportarli nell’ambito del mercato ed in questa maniera a esaudirli. Gli individui sono stravolti da questa messe di piacere: rispondono per gran parte impegnando più di quello che posseggono, lavorando oltre misura per poter accedere alla soddisfazione degli acquisti. È un dato che gran parte dei grandi centri commerciali sono strapieni proprio il sabato e la domenica, giornate in cui l’acquisto ha sostituito altre forme di diletto per gran parte degli abitanti non poveri del pianeta. I comportamenti ecologici quindi sono molto impegnativi per la difficoltà di essere praticati in un modello che facilita comportamenti opposti, di trovare le merci a basso impatto, di contattare e gestire artigiani e autoproduttori, per la difficoltà a trovare la collaborazione di altri nel percorso avviato, per la distanza enorme che separa questi comportamenti da quelli maggiormente diffusi. La produzione immette sul mercato prodotti che sempre più artificializzano la nostra esistenza, sempre più concentrano i profitti, sostengono monopoli, espropriano la cultura delle comunità, definiscono e impongono nuove modalità di vita. Il fine commerciale ha strutturato la società, ha definito una nuova modalità di vita, ha modificato le relazioni ed i comportamenti sotto gli occhi di tutti i governi, sprecando un patrimonio creativo e culturale immenso. Ed allora diviene una battaglia non avere i supplementi gratuiti dei quotidiani (tanta carta quanta pubblicità, vera ragione di stampare il giornale), una battaglia non avere la doppia confezione in plastica al supermercato, una scelta politica andare a fare la spesa con un borsa non monouso o avere una macchina vecchia. Non usare la carta di credito è visto come un atto da “individuo in via di sviluppo” (ma già paghiamo un pezzo di carta chiamato denaro, perché pagare anche un pezzo di plastica?). Un comportamento ecologico diviene “anacronistico”, da tradizionalista, da chi vuole “un passato che non può tornare”. Non è così. Chi pensa in termini ambientali non pensa al passato né al futuro, pensa al presente ed alla capacità delle comunità e degli individui di essere capaci di scegliere indipendentemente dalle pressioni del commercio. In questo la coerenza dell’individuo è fondamentale. Non ammantata di “eroismo”, né di “integralismo” è l’unico mezzo che permette di difendersi da una aggressione interessata che mina la capacità critica. La coerenza è contagiosa. Alle scelte individuali va però affiancata una pratica tesa a smascherare le malefatte ed elogiare le azioni congrue svolte dagli altri, visto che molti, per incapacità di critica o per interesse, perseguono obiettivi dannosi per tutti. A partire dall’evidenziare le seppur involontarie connivenze di coloro che praticano comportamenti che sostengono un modello dannoso per gran parte dell’umanità e non in condizione di migliorare le condizioni dell’ambiente. Fino ad arrivare alle scelte delle nazioni, così frequentemente tese a sostenere gli interessi economici anche a scapito degli interessi comuni. Con serenità, senza astio, ma con consapevolezza che c’è spazio per concretizzare una spinta critica e libertaria già diffusamente presente nel pianeta. Il discernimento per individuare azioni sostenibili è la verifica della loro capacità almeno di:
Ridurre i consumi;
Ridurre l’incremento demografico;
Ridurre il consumo dei suoli derivato dall’infrastrutturazione e dall’espansione urbana;
Riqualificare e conservare la naturalità;
Mantenere la diversità naturale e culturale;
Recuperare, riusare, riciclare i manufatti e le merci;
Sostenere tutte le forme di produzione e scambio poste al di fuori del mercato globale;
Sostenere la deindustrializzazione globale, dando spazio all’artigianato, alla produzione locale;
Sostenere l’equilibrio insediamento-risorse a livello locale, chiudendo i cicli e perseguendo l’autonomia economica delle comunità;
Sostenere le identità delle comunità geografiche ed ageografiche, le culture locali, le lingue, le capacità tecniche. No tradizionalismo ma comunità aperte e identificabili in quanto strettamente connesse ai luoghi;
Sostenere mobilità e produzione energetica alternative, non centralizzate, non monopolistiche, non sovradimensionate, necessarie, da fonti rinnovabili.
Tutto quanto non riesce a contribuire a ciò non può essere considerato sostenibile. Ma queste azioni non sono compatibili con l’attuale struttura economica e sociale in quanto riducono le quantità, modificano le qualità, distribuiscono le ricchezze, smaterializzano i beni, rendono partecipi gli individui delle dinamiche sociali che li riguardano, concretizzano il senso critico in azione, sviluppano la consapevolezza di ciascuno e la solidarietà tra gli individui, promuovono la partecipazione diretta alla gestione della società. Al contrario si adattano precisamente ai caratteri di una società libertaria.


Adriano Paolella - Zelinda Carloni

23/09/08

L'INSINCERITA' COME FORMA MENTALE


“Come spesso accade generalizzando, il rischio di gettare con l’acqua sporca anche il bambino c’è. È un’eventualità che, disquisendo su interi sistemi e non su singoli elementi, non si può escludere. Siamo consapevoli della difficoltà, ma non sarà per questo che rinunceremo a cimentarci. (…)” Questa la premessa al lavoro che il Gruppo di Discussione Critica, da qualche tempo, sta faticosamente producendo attraverso l’analisi e l’ elaborazione di elementi raccolti “sul campo”, frutto di osservazioni e di ricerche, effettuate da alcuni suoi membri, durate oltre un decennio (dall’ottobre 1995 all’aprile 2006). La documentazione, di diversa provenienza, si sostanzia in una serie di dati storici che rivelano il comune tratto distintivo della popolazione. È un lavoro ambizioso provvisoriamente denominato “Persone e Fatti. Genesi del pensiero collettivo teserano” che avrà bisogno – come ci dicono gli Autori – di ulteriori integrazioni e correzioni prima di essere dato alle stampe. L’argomento in questione non è di facile approccio e proprio per questo i suoi curatori chiariscono di averlo trattato con la maggiore oggettività possibile. Lo studio parte dalla verifica di alcune costanti medie, tipiche nella comunità di Tesero, in particolare la presunzione e l’imprevidenza; caratteristiche che, sommate ad altre, hanno prodotto, spesso, conseguenze drammatiche, talvolta addirittura tragiche (una su tutte Stava). Il testo, a sostegno e dimostrazione della tesi, elenca in appendice una lunga serie di fatti denominati “le tieserade” che cronologicamente parte dal lontano 1850 circa e arriva sino ai nostri giorni. In altra occasione si provvederà a pubblicarne uno stralcio. La delicatezza della materia è evidente “(…) Crediamo sia bene comunque parlarne, certi che conoscere i propri limiti o i propri difetti aiuti a migliorarsi, anche se – e ne siamo consapevoli – non mancherà chi nel merito avrà da ridire.” Partendo dalla considerazione che una comunità disegna la propria storia attraverso processi culturali e fattuali che si perdono nel tempo, ma che il “filo rosso” che ne lega gli episodi è generalmente frutto di un pensiero collettivo immutabilmente ripetuto, il Gruppo di Discussione Critica cerca di definire il più nitidamente possibile le caratteristiche, per così dire, genetiche che ne sono alla base. Nel progredire della ricerca emerge come nel formarsi di questo sentire comune, che ha effettive apparenze genetiche, un ruolo fondamentale sia stato quello giocato dalla Chiesa, che ha fatto, più o meno volontariamente, da brodo di coltura. Essa infatti, essendo la più radicata istituzione della comunità, attraverso i secoli ha prodotto importanti e apparentemente irreversibili condizionamenti socio-culturali. Gli Autori sottolineano che “(…) nonostante l’influenza sui comportamenti individuali di questa millenaria istituzione sia andata fortemente diminuendo, specie negli ultimi quarant’anni, la forma mentale collettiva, che si è plasmata in secoli di ininterrotta supremazia ecclesiastica, non è affatto cambiata. Anzi, meraviglia il fatto che, nonostante le uscite e i subentri generazionali, le contaminazioni culturali esterne, la globalizzazione mediatica, la scuola di massa, eccetera, niente lasci presagire una modificazione sostanziale (si badi bene: sostanziale) dei comportamenti collettivi così sedimentati. Il sentire comune del paese è ancora pesantemente intriso di un retaggio più autoritario che spirituale, sclerotizzato da più di due secoli di dominazione culturale esercitata dalla Chiesa sulla popolazione di Tesero.” Ma evidentemente questo non è sufficiente a giustificare le conclusioni dello studio. È fuor di dubbio che tale influenza avrebbe dovuto “contaminare” allo stesso modo anche le altre vicine comunità, anzi molto di più, visto che, continuano gli Autori “…i Teserani denominati, ab immemorabili, i sapienti, per il loro spirito d’indipendenza dalle convenzioni e l’equilibrato giudizio col quale i singoli problemi venivano affrontati, per quanto obbedienti ai precetti della religione spesso si distinsero per l’insistenza nel volere un certo controllo nell’amministrazione dei beni ecclesiastici urtandosi talvolta coi parroci che a tale spirito critico, qui in valle, non erano affatto abituati. Nel Settecento i Teserani posti di fronte alla scelta, nelle segrete dispute fra il principe vescovo e l’imperatore, dimostrarono spesso di preferire il padrone lontano a quello vicino suscitando ire e recriminazioni da parte dell’autorità religiosa.” Quindi è chiaro che successivamente a quell’epoca nella comunità paesana qualcosa mutò. E infatti, nel prosieguo si afferma “(…) c’è dell’altro: è evidente che qui (a Tesero n.d.r.) siamo in presenza di una particolare predisposizione genetica dominante che a partire dalla metà del 1800 circa ha lentamente egemonizzato la popolazione.” L’analisi dei comportamenti sociali – nel testo curata esemplarmente – svela infatti “un particolare modo di porsi nei confronti delle cose, degli accadimenti e delle persone tipico di gran parte dei Teserani che ne rivela immediatamente il tratto caratterizzante. (…) Il più evidente di tutti è dato dalla concessione aprioristica di credito nei confronti delle decisioni di interesse pubblico prese dall’Autorità pro tempore. L’individuo rinuncia all’elaborazione personale e all’analisi delle questioni generali, impedendo il formarsi di una massa critica che dia modo all’Autorità pro tempore di confrontarsi e, se del caso, di migliorarsi o correggersi. La presa di coscienza individuale arriva sempre per “aggregazione” al pensiero altrui, che origina dal “principio di autorità”, e confida nell’infallibilità di chi decide”... Proseguendo, gli Autori, per similitudine, paragonano il prototipo del paesano ad una maschera. Quasi che esso fosse perennemente calato nella parte di un recitante della Commedia dell’Arte e che, come Arlecchino, Pantalone, e Colombina, pubblicamente veste sempre gli stessi panni. “(…) La parte di Teserano è presto scritta: semplicità, bonarietà, laboriosità, chiarezza d’idee poca, un indefinito vagheggiamento artistico e poco altro;” e infatti continuando si chiarisce ulteriormente: “(…) (esterno al proprio gruppo familiare più intimo, entro il quale tale caratteristica viene sospesa o quantomeno allentata e dove la più autentica profondità caratteriale prende corpo e si manifesta): un disinteresse sostanziale nei confronti di tutto ciò che non produca un tornaconto diretto (non necessariamente venale) e una maschera di buone maniere e cordialità che non lascia intendere assolutamente il profondo sentimento che essa nasconde.” E ancora: “(…) C’è sempre un non detto che predomina, e quando questo nasconde ostilità, si evita accuratamente lo scontro “ideologico”, che quasi sempre in verità esiste, ma che non si palesa mai. Solo se la controparte “forza” lo scontro, allora e solo allora, il muro inibitorio cade con fragoroso rumore e aspre conseguenze. Ma l’intimo pensiero ancora non riesce a emergere e non lo si riesce a smascherare: c’è solo reazione violenta, e mai ammissione dei propri limiti e delle proprie debolezze.”
“(…) La verità di ciò che si pensa rimane nascosta. (…)
Qui ritorna il peso della Chiesa che ha plasmato questo stile, e che – si spingono a dire gli Autori – lo ha, più o meno consapevolmente, coltivato. “La maschera di Teserano continua a frequentare il Tempio senza avere più la minima convinzione o nutrire il minimo dubbio. È appunto pura parte in commedia. A “Teserano” resta soltanto un’unica impellente, “irrinunciabile” necessità: sentirsi guidato o soprinteso da un’Autorità, alla quale non riconosce più alcun valore se non quello tautologico di essere appunto Autorità. Il parossismo di questa recita evidenzia il nulla dietro la maschera, l’ipocrisia di una ritualità svuotata di ogni convinzione, la superficiale professione di fede, eccetera.” E, proseguendo “(…) Teserano adesso è laico: sul sagrato la domenica recitano solo poche maschere; la stampella dell’Autorità ecclesiastica è cosa per pochi nostalgici, per inguaribili retrò, o per nuovi briganti che cercano di riciclare la propria immagine pubblica. L’emancipazione ha fatto il suo corso, l’evoluzione si è compiuta e ora la maschera di Teserano recita con disinvoltura e senza sbavature su tutti i palcoscenici della comunità paesana: l’associazionismo, il volontariato, le istituzioni culturali e sociali. (…) ma il messaggio ultimo e implicito che se ne coglie è sempre lo stesso: Mai palesare la verità del proprio più intimo pensiero”.
Fine 1^ parte (la 2^ parte della recensione verrà pubblicata martedì 30/09)

21/09/08

GLOBALIZZAZIONE E AMBIENTE - 4^ parte


Riuso/ Recupero

Per permettere il mantenimento della quota di mercato inutile e sovradimensionata rispetto alla necessità questo modello ha sostenuto, attraverso la comunicazione commerciale, tecnica e scientifica, la preminenza del nuovo sull’usato. Oggetti e materiali usati hanno assunto un valore minore, di ripiego; sono rapidamente considerati obsoleti e tendenzialmente diventano rifiuti. Questa è una incredibile perdita di ricchezza e di energia e la creazione di un problema, quello dello smaltimento, altrimenti molto più limitato.
Dagli arredi degli appartamenti, al vestiario, passando per le automobili e le attrezzature, gli oggetti rispondono ad un immagine astratta, stimolata dal mercato recuperare vuol dire adattare il proprio progetto all’esistente, vuol dire comporre il futuro con il presente, con tutte le approssimazioni che questo comporta, ma vuol dire anche impossessarsi di nuovo del progetto senza risolverlo nell’esclusivo acquisto di merci.

Settori

L’apprendimento, le competenze, l’organizzazione del lavoro, la cultura contemporanea: tutto è settoriale. Informazione, conoscenza e capacità di intervenire però non sono connesse perché l’intervento di riqualificazione ambientale necessario è intersettoriale, spesso non necessita di dettagli conoscitivi, ma di una grande consapevolezza e del coraggio di modificare comportamenti e decisioni anche con soluzioni semplici. Gran parte di questa cultura settoriale informata, approfondita, dettagliata è inutile per il benessere della comunità in quanto non sostiene un’ azione coerente. La visione e l’intervento nel sistema ambientale e sociale è interesettoriale e spesso non necessita di approfondite basi scientifiche.

Smaltimento

La quantità di rifiuti da smaltire dovrebbe essere minima. Gli oggetti dovrebbero essere usati, recuperati, riusati, recuperati, riusati fino ad essere riciclati. La loro quantità dovrebbe essere ridotta alle reali necessità (e quindi molto, ma molto, al di sotto della metà delle quantità attualmente in gioco) e solo una loro parte minima dovrebbe essere un rifiuto e solo questa parte dovrebbe essere smaltita.

Soluzioni tecniche

Scegliere soluzioni tecniche semplici direttamente gestibili, riparabili da parte di tecnici presenti nel territorio, evitare di essere obbligati a rivolgersi alla stessa casa produttrice per manutenzioni e riparazioni, utilizzare soluzioni che fanno risparmiare energia e materiali, che non garantiscano esclusivamente l’efficienza nel funzionamento, utilizzare strumentazioni che non sostituiscano semplici azioni umane (strizzare un limone, alzare una serranda, accendere una luce).

Sostenibilità

Le alterazioni dell’ambiente sono state constatate diffusamente almeno dall’inizio degli anni settanta, le politiche internazionali, comunitarie e spesso quelle nazionali hanno indicato quale prioritaria la loro soluzione da almeno venti anni, il termine sostenibilità appare costantemente a supporto di trasformazioni ma le condizioni dell’ambiente sono esponenzialmente peggiorate. Le condizioni ambientali e sociali del pianeta quindi non consentono di constatare che il modello attualmente praticato abbia la capacità di risolvere i problemi riscontrati. Le azioni sostenibili sono quelle che conservano e riqualificano l’ambiente, riducono gli sprechi ed i consumi di risorse, riducono gli scarti. Il resto è giustificazione delle cattive coscienze.

Specializzazione dei territori

I territori del pianeta sono utilizzati per la produzione di alimenti, gestiti dalle grandi compagnie di produzione o distribuzione agroalimentari in maniera specializzata. In un luogo si producono gamberetti, in un altro mais. La monocoltura asservisce le comunità locali ad un mercato che esse non controllano, ne limitano le autonomie alimentari, le impoveriscono tecnicamente e culturalmente, trovando esse ragioni di esistenza solo nella configurazione del processo distributivo globale. Il rifiuto della specializzazione è garanzia di autonomia delle comunità locali. Le multicolture, il mantenimento di capacità tecniche e delle specificità delle produzioni, non solo aiutano la società ma conservano la diversità biologica e la qualità dell’ambiente.

Supermercati-ipermercati centri commerciali

Lo strumento per la vendita dell’inutile a basso costo. In alcuni casi i prodotti sono così scadenti (mobili, strumenti ed anche alimenti) che dovrebbero pagare i clienti per il costo dello smaltimento di rifiuti piuttosto che farsi pagare per il costo delle merci. La concentrazione delle vendite è connessa alla concentrazione della distribuzione e produzione. Sono strumenti per concentrare la ricchezza ed aumentare il potere dei singoli nei confronti della comunità in cui si collocano le loro attività. Anch’essa destruttura il tessuto sociale locale rendendolo dipendente da macroinvestimenti di operatori. Il vero risparmio non è comprare tanti prodotti scadenti ma comprare di meno, comprare da chi si conosce, da chi ha competenza tecnica nel produrre quella merce, da chi opera in prossimità.

Sviluppo

L’unico sviluppo possibile è culturale, non è connesso con la quantità né con le merci.

Tecnologia

La tecnologia è individuata come il mezzo per risolvere i problemi ambientali; quasi un deus ex machina si attende la nuova apparecchiatura, il nuovo materiale, il nuovo combustibile che ci cambierà la vita e ripristinerà condizioni di qualità nel pianeta. Questa aspettativa è sostenuta da chi vuole che nulla sia modificato nell’attuale modello globale: che si continui a consumare alla stessa maniera, che si concentrino i produttori, che si ingrandiscano le metropoli, che si riduca l’autonomia sociale e culturale delle comunità. L’assioma su cui si basa è che questo modello è imperfetto (si sostiene in cattiva fede “come tutti i possibili”) ma l’innovazione tecnologica ci permetterà di proseguire migliorando le prestazioni. Non solo è una impostazione sbagliata ma pericolosa per l’intera umanità. La tecnologia può aiutare solo se utilizzata nel quadro di una profonda rivisitazione dei comportamenti: una riduzione dei consumi, una attenzione ambientale nelle attività, una riduzione della mobilità e dell’incremento demografico. Se la tecnologia non si pone in relazione a questo quadro è solo tesa a produrre nuove merci per lo stesso mercato che è causa della profonda alterazione ambientale e sociale del pianeta e dei suoi abitanti.

Turismo

Il turismo ambientalmente e socialmente corretto è quello svolto con mezzi a basso impatto, con tempi lunghi, con spostamenti ridotti, senza partecipare alla destrutturazione delle comunità locali, senza divenire ambasciatori di una cultura globale scegliendo servizi e offerte omogenee e universali. Il turismo sostenibile è quello dei piccoli spostamenti, dei tempi lunghi di permanenza, di mobilità preferibilmente non a motore.

Urbanizzazioni

I grandi insediamenti sono dipendenti dal territori esterni, dai produttori, in essi non si ricostruiscono comunità autonome, gli abitanti sono in balia delle grandi aziende distributive, non controllano i sistemi di produzione o l’origine dei materiali. Le metropoli sono strutture insediative autoritarie in cui i cittadini sono schiacciati e succubi non gestendo direttamente né produzione, né alimentazione, né distribuzione non avendo a disposizione un proprio territorio. Le grandi urbanizzazioni contemporanee sono la rappresentazione del modello di concentrazione di ricchezze e di potere, della diseguale distribuzione del benessere, della dipendenza delle comunità insediate, dell’espropriazione del diritto dei singoli di abitare la terra. Ogni azione che tende a facilitare il rafforzamento di questi ambiti riduce la possibilità di autonomia delle popolazioni. Limitare gli insediamenti, ricollegarli ai luoghi, per aumentarne l’autonomia e la riconoscibilità.

Uso libero

Sperimentazione attuata negli anni settanta in cui i singoli mettono a disposizione gratuitamente beni diversi, da oggetti di uso ad una quantità del proprio lavoro, per le necessità di altri. È la maniera per ridistribuire le eccedenze, senza profitto, di consolidare le relazioni sociali, di recuperare l’energia impegnata senza beneficenza, né lucro.

Velocità

La qualità è spesso misurata dalla velocità di esperire attività, dalla rapidità con cui si definisce una pratica a quella in cui si costruiscono le case, si effettuano gli spostamenti, si acquisiscono servizi. La velocità delle azioni comporta la riduzione del tempo con cui vengono attuate, l’aumento dei profitti (facendo più cose se ne possono vendere di più), la riduzione dei costi di produzione (aumentano i margini sull’unità prodotta). Il tempo liberato viene occupato da altre attività con l’esito finale di un aumento esponenziale dell’energia impegnata (umana e non), con l’aumento delle emissioni e dei materiali utilizzati e quindi con insostenibili effetti negativi nell’ambiente e sulle società. Dare il giusto tempo alle azioni a partire da quelle quotidiane per recuperare la consapevolezza ed il piacere delle stesse, per non essere inghiottiti dalla continua ricerca del fare. (continua)

L'UMBERTO E I SUOI CARI


Umberto Bossi e la sua Lega sono un manuale vivente di deriva politica. Vengono da Lenin. Passano per Carlo Cattaneo e Calandrino. Stanno finalmente approdando a Clemente Mastella. Anche se nella forma degenerata del mastellismo, ancestrale teoria dell’Italia familista e vorace che si fa prassi, anzi euforia, quando si tratta di divorare organigrammi, pretendere privilegi, scorte, posti garantiti, feste, appartamenti a prezzi scontati, rimborsi per viaggi, giornali di partito, convegni e almeno tre pasti al dì con il dolce. Bisognava vederli, l’altro giorno a Venezia, tutti riuniti per il rito celtico dell’ampolla del Po, sciamare dopo il comizio popolano (con insulti ai negri, ai terroni, ai musulmani) verso i saloni patrizi dell’Hotel Metropole, camere da 500 euro a notte. Tutto lo stato maggiore padano: sindaci, assessori, deputati, senatori, sottosegretari, ministri. Con motoscafi blu e le femmine bianche, e i figli, i familiari, i portaborse. Come quasi tutto nella Lega anche questa nuova stagione della abbondanza (sebbene mai lieta come ai tempi democristiani e socialisti, semmai cupa, rancorosa, rivendicativa) discende in linea diretta dai voleri del capo. Ha cominciato lui, Umberto, piazzando il fratello Franco e il figlio primogenito Riccardo alla Commissione europea di Bruxelles. Funzionari con notevole esperienza: uno venendo da un Autoricambi di Fagnano Olona, l’altro dal fuoricorso dell’università. E ha continuato con il secondo figlio, il prediletto Renzo, quello bocciato due volte alla maturità, che il papà definisce “trota, non ancora delfino”, ma che si porta ai vertici di Arcore e di Palazzo Chigi. Lo sta istruendo alla politica e lo fa allenare con i suoi ministri, visto che anche lui, da piccolo Bossi, sogna il federalismo prossimo venturo. Oppure il feudalesimo.

Pino Corrias

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

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