29/12/08

LE MERCI DISTRUGGERNNO L'ECOSISTEMA?


Miseria dello sviluppo (Laterza 2008, € 15,00), l'ultimo libro di Piero Bevilacqua - ordinario di storia contemporanea alla Sapienza di Roma, autore sempre per Laterza (2008), di La terra è finita. Breve storia dell'ambiente - si divide in tre parti: la prima, «Fine dello sviluppo», si occupa di un tema poco conosciuto al grande pubblico e poco trattato anche in letteratura in Italia, e cioè della «distruzione di ricchezza a mezzo di merci» (come si intitola uno dei capitoli di questa prima parte). «L'intero edificio dell'economia dello sviluppo è stato costruito - nella cultura occidentale - su una doppia finzione, dice l'autore: la pretesa eternità dei fenomeni sociali e la supposta infinità della natura». La cancellazione della Natura dal tempo (e cioè la sua pretesa fissità rispetto al variare incessante dei processi sociali) e la sua separazione dallo spazio (e cioè dalla realtà fisica della materia vivente) ha portato a rappresentare le risorse naturali come uno stock di materie prime inanimate, con conseguenze gravi. Questa impostazione riduttiva ha reso possibile il saccheggio della ricchezza naturale dei paesi del Sud da parte dei paesi del Nord, che dura ormai da diversi secoli. E ha impedito di capire che la natura funziona in modo ecosistemico e non in modo puntuale, e che per usare una risorsa bisogna usarne molte altre, e ciò comporta abbattere foreste, inquinare fiumi e corsi d'acqua, affamare le popolazioni locali. Pochi di noi riflettono sul fatto che una “insignificante” maglietta di cotone, che a noi costa poco - anche 2 soli euro - richiede oltre 20 litri di acqua e che pertanto noi occidentali, disponendo ognuno di 10 o 20 magliette di cotone, senza saperlo siamo corresponsabili della sete nel mondo e della morte per dissenteria dei bambini dell'Africa. Ma oltre allo spreco di beni comuni scarsi essenziali alla vita come l'acqua e la terra, tutte le risorse e i fenomeni naturali hanno una funzione precisa, spesso insostituibile nel palcoscenico della vita: tra i molti esempi riportati dall'autore, quello della sabbia considerata materia interte, nonostante faccia parte dell'ecosistema fiume e serva a fini essenziali come frenare l'erosione delle rive e limitare le inondazioni; o quello delle foresta e dei boschi, che sono ecosistemi complessi di biodiversità naturale e agricola, e non possono essere ridotti a legname per il mercato. Un capitolo molto importante di questa prima parte è quello sui paradossi dell'agricoltura industriale chimicizzata, che contribuisce in modo determinante a creare la fame nel mondo. Nella seconda parte, «La grande ritirata», l'autore si occupa dei fattori che negli ultimi 30-40 anni hanno impresso una forte accelerazione alla distruzione di ricchezza a mezzo di merci, tra cui spiccano la formidale iniziativa capitalistica che, portata ai suoi estremi, ha prodotto la crisi finanziaria mondiale di queste ultime settimane, e l'arretramento strategico del movimento operaio, dei partiti di sinistra e del sindacato. L'avvio di questa fase viene individuato, anche sul piano simbolico, nella famosa frase di Ronald Reagan, resa nota poco dopo il suo insediamento alla Casa bianca nel 1981: «Lo stato non è la soluzione ai nostri problemi; ne è invece la causa». Nella terza parte, «Quel che può la politica», l'autore afferma - con una scrittura piana ma chiara e determinata - che il «Grande Racconto», la leggenda della prosperità per tutti, è arrivato al suo epilogo. Che siamo davanti a una sconfitta profonda, anche perché accompagnata da una «autentica catastrofe culturale della sinistra storica». Ma subito dopo Bevilacqua reagisce in positivo: le iniquità sociali - dice - generano conflitti, e i conflitti pensiero teorico e pratico. Sarà un pensiero necessariamente diverso da quello del passato, dove alla Natura sia restituito il ruolo che le spetta nella produzione della ricchezza, accanto al Capitale e al Lavoro. Non si tratta infatti di aprire qualche nuovo parco o di salvare questa o quella specie in estinzione ma di pensare l'economia e la società in modo diverso: dove sia privilegiata la cooperazione rispetto alla competitività, i mercati locali al posto del free trade, il welfare territoriale, le reti solidali, i rapporti di comunità e quelli di vicinato. È necessario dunque lavorare alla costruzione di una nuova cultura «delle possibilità», usando il metodo della sperimentazione ma consapevoli che non siamo all'anno zero, e che molto già si muove in tutte le parti del mondo.

Giovanna Ricoveri

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