25/09/08

GLOBALIZZAZIONE E AMBIENTE - 5^ parte


Conclusioni


Da molto tempo è noto quanto il comportamento degli individui possa migliorare le condizioni dell’ambiente. Acquisti orientati nei confronti di merci di maggiore qualità ecologica, riduzione dei consumi energetici attraverso una gestione oculata degli impianti e degli elettrodomestici, riduzione delle emissioni con l’uso di vettori alternativi e innovativi, sostituzione a livello privato dell’energia da fonti fossili con quelle rinnovabili. Ma l’attenzione di moltissime persone nei confronti di comportamenti ambientalmente e socialmente qualificati è contrastata dall’economicità delle merci a minore qualità ambientale (prodotti di qualità minore spesso scaturenti da processi dequalificati) e dalla promozioni di merci fortemente inquinanti. Quante lampadine a incandescenza dobbiamo sostituire per recuperare la differenza di energia esistente tra la costruzione e l’uso di un autoveicolo di piccola cilindrata ed un SUV? Quanti classi di Euro (siamo a Euro 4) dobbiamo percorrere per recuperare l’incremento medio di cilindrate che i produttori hanno attuato nell’ultimo ventennio? L’eventuale differenza di qualità del caffè prodotto da una macchinetta normale e da una caffettiera tipo bar a cialde motiva lo sperpero di energia per costruire e gestire i due strumenti e l’incremento di rifiuti che il sistema cialde comporta (anche se fossero “riciclabili”, “biodegradabili”, “ecocompatibili”, “naturali”, etc). Questi prodotti non hanno l’obiettivo di ridurre il peso ambientale della nostra specie. Si muovono autonomamente dagli interessi dell’umanità, su regole e criteri propri: aumentare i profitti dei produttori, ampliare il mercato, inventare merci rivolte a specifiche categorie di consumatori. Vi è l’interesse della produzione nel predisporre oggetti di grande dimensione, perché attraverso di essi riescono a motivare i costi elevati a parità di funzione, e oggetti che complicano la funzione perché ne sostengono l’utilità. Questo tipo di oggetti, grandi, complessi, a breve durata, sono esaltati dai produttori rispetto ad altre merci (con la stessa funzione ma semplici e correttamente dimensionati) e su questi scatenano tutta la comunicazione e le motivazioni emozionali sostengono le vendite. La popolazione mondiale è sottoposta ad un continuo bombardamento di comunicazioni commerciali, accattivanti, gustose che propongono soluzioni affascinanti a problemi inesistenti, progettate da specialisti, realizzate da tecnici di grande capacità; così facendo riescono a indirizzare i desideri a riportarli nell’ambito del mercato ed in questa maniera a esaudirli. Gli individui sono stravolti da questa messe di piacere: rispondono per gran parte impegnando più di quello che posseggono, lavorando oltre misura per poter accedere alla soddisfazione degli acquisti. È un dato che gran parte dei grandi centri commerciali sono strapieni proprio il sabato e la domenica, giornate in cui l’acquisto ha sostituito altre forme di diletto per gran parte degli abitanti non poveri del pianeta. I comportamenti ecologici quindi sono molto impegnativi per la difficoltà di essere praticati in un modello che facilita comportamenti opposti, di trovare le merci a basso impatto, di contattare e gestire artigiani e autoproduttori, per la difficoltà a trovare la collaborazione di altri nel percorso avviato, per la distanza enorme che separa questi comportamenti da quelli maggiormente diffusi. La produzione immette sul mercato prodotti che sempre più artificializzano la nostra esistenza, sempre più concentrano i profitti, sostengono monopoli, espropriano la cultura delle comunità, definiscono e impongono nuove modalità di vita. Il fine commerciale ha strutturato la società, ha definito una nuova modalità di vita, ha modificato le relazioni ed i comportamenti sotto gli occhi di tutti i governi, sprecando un patrimonio creativo e culturale immenso. Ed allora diviene una battaglia non avere i supplementi gratuiti dei quotidiani (tanta carta quanta pubblicità, vera ragione di stampare il giornale), una battaglia non avere la doppia confezione in plastica al supermercato, una scelta politica andare a fare la spesa con un borsa non monouso o avere una macchina vecchia. Non usare la carta di credito è visto come un atto da “individuo in via di sviluppo” (ma già paghiamo un pezzo di carta chiamato denaro, perché pagare anche un pezzo di plastica?). Un comportamento ecologico diviene “anacronistico”, da tradizionalista, da chi vuole “un passato che non può tornare”. Non è così. Chi pensa in termini ambientali non pensa al passato né al futuro, pensa al presente ed alla capacità delle comunità e degli individui di essere capaci di scegliere indipendentemente dalle pressioni del commercio. In questo la coerenza dell’individuo è fondamentale. Non ammantata di “eroismo”, né di “integralismo” è l’unico mezzo che permette di difendersi da una aggressione interessata che mina la capacità critica. La coerenza è contagiosa. Alle scelte individuali va però affiancata una pratica tesa a smascherare le malefatte ed elogiare le azioni congrue svolte dagli altri, visto che molti, per incapacità di critica o per interesse, perseguono obiettivi dannosi per tutti. A partire dall’evidenziare le seppur involontarie connivenze di coloro che praticano comportamenti che sostengono un modello dannoso per gran parte dell’umanità e non in condizione di migliorare le condizioni dell’ambiente. Fino ad arrivare alle scelte delle nazioni, così frequentemente tese a sostenere gli interessi economici anche a scapito degli interessi comuni. Con serenità, senza astio, ma con consapevolezza che c’è spazio per concretizzare una spinta critica e libertaria già diffusamente presente nel pianeta. Il discernimento per individuare azioni sostenibili è la verifica della loro capacità almeno di:
Ridurre i consumi;
Ridurre l’incremento demografico;
Ridurre il consumo dei suoli derivato dall’infrastrutturazione e dall’espansione urbana;
Riqualificare e conservare la naturalità;
Mantenere la diversità naturale e culturale;
Recuperare, riusare, riciclare i manufatti e le merci;
Sostenere tutte le forme di produzione e scambio poste al di fuori del mercato globale;
Sostenere la deindustrializzazione globale, dando spazio all’artigianato, alla produzione locale;
Sostenere l’equilibrio insediamento-risorse a livello locale, chiudendo i cicli e perseguendo l’autonomia economica delle comunità;
Sostenere le identità delle comunità geografiche ed ageografiche, le culture locali, le lingue, le capacità tecniche. No tradizionalismo ma comunità aperte e identificabili in quanto strettamente connesse ai luoghi;
Sostenere mobilità e produzione energetica alternative, non centralizzate, non monopolistiche, non sovradimensionate, necessarie, da fonti rinnovabili.
Tutto quanto non riesce a contribuire a ciò non può essere considerato sostenibile. Ma queste azioni non sono compatibili con l’attuale struttura economica e sociale in quanto riducono le quantità, modificano le qualità, distribuiscono le ricchezze, smaterializzano i beni, rendono partecipi gli individui delle dinamiche sociali che li riguardano, concretizzano il senso critico in azione, sviluppano la consapevolezza di ciascuno e la solidarietà tra gli individui, promuovono la partecipazione diretta alla gestione della società. Al contrario si adattano precisamente ai caratteri di una società libertaria.


Adriano Paolella - Zelinda Carloni

1 commento:

  1. Talvolta penso che articoli mattoni (pallosi) come questo non facciano assolutamente proseliti verso la "giusta causa" anzi allontanino il lettore dall'obiettivo che si intende perseguire. Forse sarebbe meglio portarlo su un problema specifico e lasciare che la sua intelligenza e sensibilità lo lascino autonmamente spostarsi col pensiero in altri campi di valenza analoga.
    Voi che ne pensate?
    Bnotte o... Bgiorno se preferite!

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