29/05/15

SINDACO 2.0


Finiti gli strepiti ante e post voto, tutto sarà presto riassorbito. Gli strappi ricuciti. Le dissidenze tacitate. Bastano quindici giorni per dimenticare il can can elettorale di quel già lontano 10 maggio e pensare ad altro. È un gioco antico, passionale quanto effimero. Irrazionale. Umorale. Inerziale. Si vota tanto per, senza granché pensare. Se non ricordiamo male, da qualche parte lo avevamo anche scritto: affinché il risultato corrisponda, più o meno, al merito delle parti in lizza bisognerebbe permettere di votare soltanto previo ottenimento di una patente ad hoc con relativa tassa di concessione governativa, da pagare annualmente al comune. Un documento di abilitazione rilasciato da una commissione d’esame pubblica che certifichi l’attitudine al voto. Le materie d’esame dovrebbero includere l’educazione civica, il diritto, la Costituzione italiana, un bel po’ di Storia Patria e un pelo di filosofia. Soltanto così, in conseguenza di un’inevitabile riduzione dei votanti (pochi, ma buoni), i buffet in piazza verrebbero resi ininfluenti e i pifferai di turno silenziati. Invece, grazie all’attuale gratuito suffragio universale (e cioè il diritto di ‘spropositare’ in cabina concesso a cani e porci) la farisaica cricca al comando di Tesero, al modico prezzo di un bicchiere di teroldego, due salatini e una fettina di speck, tirando il filo rosso che collega gli innumerevoli vasi comunicanti dell’associazionismo locale, potrà ancora una volta soggiogare la totalità dei paesani. Niente di nuovo sotto il sole. Punto e a capo.

Martedì scorso s’è insediata la nuova giunta. Anche in questo caso tutto come previsto. Ai due dinosauri (proprio quelli che magnificavano la giovinezza della loro squadra) sono andate le competenze più pesanti, quelle che solitamente un sindaco ‘normale’ avoca a sé. Ma, trattandosi di un esecutivo del tutto anomalo, alla telecomandata prima cittadina sono state assegnate ‘soltanto’ le competenze su turismo e dintorni, commercio e mobilità. Guarda caso proprio quelle che sarebbero spettate ad un qualunque signor P. Si profila pertanto un conflitto d’interessi visto che la ragazza – come più volte lei stessa ha sottolineato in campagna elettorale – oltre ad intendersi di giurisprudenza fa proprio l’albergatrice. Però siamo fiduciosi, anzi sicuri, che anche questo piccolo intoppo verrà senz’altro superato… Ad ogni modo, essendo gli ambiti amministrativi (e gli interessi) della sindaca perfettamente sovrapponibili a quelli del suo tele-comandante, possiamo star certi che non ci saranno interferenze sugli input provenienti da Trento diretti a palazzo Firmian.
Ritornando brevemente alle considerazioni di cui all’inizio, accertato che quell’abilitazione al voto resterà purtroppo un’utopia, per rompere davvero l’inerzia c’è bisogno non solo di facce nuove, ma di nuove idee da elaborare e organizzare per bene. Oltreché di gente pronta ad affrancarsi (se coinvolta) dal sistema vischioso e pervasivo delle associazioni. O dentro, o fuori. Tertium non datur. C’è bisogno di amministratori capaci di dire esplicitamente e finalmente che il re è nudo. Soltanto così, suonando una musica affatto diversa si potrà tentare di rompere l’incantesimo che impedisce a questo paese di aprire definitivamente gli occhi ed emanciparsi. 
Per cinque anni ormai altri timoneranno la barca, e, soppesata la valenza complessiva dei ‘nuovi’ inquilini della stanza dei bottoni, c’è da augurarsi che sino al 2020 le finanze pubbliche possano soddisfare soltanto l’ordinaria amministrazione. Ma siccome non tutti i mali vengono per nuocere, l’obbligata attesa permetterà la giusta maturazione del progetto in fieri.
Se davvero si vorrà cambiare questo paese ed evitare che tra cinque anni per la sesta volta dal 1985 i soliti noti, dopo il solito giro di speck e teroldego in piazza, sfacciatamente si accomodino di nuovo a palazzo è doveroso prepararsi col giusto anticipo. E’ giunta l’ora di organizzare il dopo, partendo subito. Pur consapevoli che il tempo giocherà probabilmente a favore degli attuali reggenti, se qualcuno crede e spera ancora in un possibile cambiamento deve darsi una mossa. Chi ci sta, batta un colpo!
 
L’Orco

27/05/15

UN ORTO, UNA COMUNITÀ, UNA FEDE


ll titolo di questo articolo è preso da un saggio di Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la decrescita felice in Italia, contenuto nel suo libro Monasteri del terzo Millennio. A sua volta, Pallante ha ripreso questa formula da Teddy Goldsmith, al quale fu chiesto da un giornalista di individuare tre idee essenziali da trasmettere a suo figlio. Dopo aver risposto sbrigativamente a quella domanda, ne fu assillato tutto il giorno, fino ad arrivare a questa formula, tanto semplice quanto completa. È evidente come gli uomini, nella post-modernità, siano colti da un malessere quotidiano. Come ha osservato il sociologo Zygmunt Bauman, chi più chi meno, “turisti” o “vagabondi”, tutti vivono in uno stato precario, assoggettati all’imperante «consumante desiderio di consumare». Questa degenerazione trova la sua massima espressione nel modello liberal-capitalista odierno, progressista e materialista, dove i mezzi sono stati scambiati per fini, nel senso che, come ha messo in luce Pallante in una sua intervista, «non si produce più per consumare, ma si spingono le persone a consumare per continuare a produrre». Un sistema malato, all’interno del quale le persone sono sempre più stressate dalla dannata routine, per poi sfogarsi in piaceri tanto illusori, quanto nocivi (basti pensare all’uso/abuso di droghe). Il bisogno tossicomane di comprare sempre più è il riflesso di una società che si fonda non sull’essenza, ma sull’apparenza: compriamo invece di essere. La nostra società, volendo crescere in maniera infinita all’interno di un Pianeta evidentemente finito, ha perso qualsiasi forma di equilibrio con ciò che la circonda e ha trasformato i suoi abitanti da animali sociali, legati da una rete di rapporti solidali e reciproci, in atomi sparsi nel nuovo mondo globalizzato.
Per questo, la “crisi” odierna, prima di essere un fattore puramente economico, appartiene all’ambito culturale e sociale. È solamente attraverso la riscoperta di se stessi che si può pensare di uscire da questo buio, dove le banche contano più delle comunità e i mercati più delle persone. Ma questa rivalutazione non può prescindere dal legame che il singolo ha con gli altri (in quanto animale sociale) e con ciò che lo circonda (visto che ogni cosa è in connessione all’altra). Queste non vogliono essere parole dal retrogusto new age, pescate da chissà quale santone asiatico: esse si rifanno a tradizioni europee, da Aristotele a Sant’Agostino (solo per citare due esempi), che non potevano concepire l’uno scisso dalla Totalità, la parte senza il Tutto. La formula un orto, una comunità, una fede indica il percorso da seguire per tendere verso questo obiettivo. Lavorare il proprio orto è una delle esperienze più gratificanti che un essere umano possa fare. Come osserva Pallante nel suo saggio: «L’agricoltura, nel significato etimologico di venerazione della terra, è l’attività che consente agli esseri umani di partecipare alla riproduzione della vita». Un’attività (che rimanda a concetti quali autoproduzione e consumo critico) pura, originaria, perfino Sacra, soprattutto se portata avanti in un contesto comunitario, dove la reciprocità e la solidarietà costituiscano le basi di relazioni sociali autentiche. Una comunità fondata sulla forza della tradizione, ma anche sulla spinta dell’innovazione, necessaria per proiettarsi nel futuro, senza dimenticare il passato. In questo contesto, la tecnologia ridiventerebbe un mezzo, tornando a svolgere il ruolo che più le compete e lasciando posto a fini più grandi. Del resto, come osserva Pallante: «La dimensione spirituale degli esseri umani si può valorizzare solo dedicando il meglio di sé, delle proprie energie e delle proprie capacità, la propria intelligenza e la propria sensibilità a un’idea forte, capace di dare un senso alla vita. Solo una fede può evitare di essere risucchiati nell’appiattimento materialistico in cui l’economia della crescita trascina gli esseri umani». Queste tre idee, se prese complessivamente, formano un circolo virtuoso, consapevole, solidale e spirituale. Illustrano un percorso da intraprendere nel corso del tempo, con ritmi e scelte che variano da persona in persona: «L’importante è coglierne il valore universale e capire quali indicazioni se ne possano trarre oggi per superare la crisi economica, ambientale, ma soprattutto di senso, generata dall’economica della crescita» (Pallante). Nella speranza che l’uomo possa ritrovare se stesso e riscoprire ciò che di bello vive sulla Terra.

Lorenzo Pennacchi
 

26/05/15

LE ULTIME PAROLE FAMOSE

 

Non ci maledica il buon Michele, se ci siamo permessi di prelevare dal nostro archivio un suo commento, evidenziandone una frase. Ma, per farci una (amara) risata era davvero perfetto. L'undici maggio scorso, all'indomani del voto amministrativo, la commissione elettorale centrale del Comune di Tesero, presieduta da Alex Bernard, in occasione della proclamazione degli eletti, accertò complessivamente 1.684 votanti. I dati ufficiali della Provincia ne indicano invece 1.686! Carta canta! Per la  prossima volta suggeriamo all'ufficiale dell'anagrafe preposto all'allestimento delle squadre scrutatori dei due seggi comunali di verificare la disponibilità di un docente in matematica, capace di contare sino a duemila! Comunque, al di là dell'ironia, Barbolini avrebbe avuto spazio, eccome, per fare ricorso. Dimostrandosi un signore, con sportività non lo ha fatto, accettando un verdetto tutt’altro che limpido.
 
L’Orco
 

Anonimo ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "ULTIM'ORA":

Mi ero ripromesso di non entrare nella polemica, ma un mio contributo può servire a fornire ulteriore chiarezza. Comincio subito col servire un assist all’accusa: lo confesso, sono bandista anch’io. Non solo: è probabile che negli ultimi 12 anni detenga il record di partecipazioni ai seggi. Dunque la teoria del complotto è verificata… Direi proprio di no! Com’è già ricordato, la formazione del seggio segue tre vie distinte e indipendenti. Nel mio caso sono partito come scrutatore, poi qualche anno dopo è arrivata più volte la chiamata come presidente. A questo punto, l’esperienza maturata ha fatto sì che in altre tornate elettorali, altri presidenti mi chiamassero a svolgere il compito di segretario. Ecco spiegato perché la mia faccia la si vede spesso al seggio, ma mi pare di aver chiarito che non c’è sotto niente di torbido. Tornando alle elezioni in questione, posso garantire che la scelta dei segretari è stata dettata esclusivamente da questioni di merito (capacità ed esperienza) e il fatto che siano due componenti della banda è puramente casuale; ma se proprio dobbiamo prendercela con qualcuno, facciamolo con i due presidenti che li hanno chiamati. Sfido chiunque a considerare tali persone dei “bandofili”: hanno solo avuto il buon senso di chiamare gente competente. Torniamo al sottoscritto: perché scelto come scrutatore? Onestamente me lo sono chiesto anch’io, e la risposta l’ho trovata non appena conosciuti gli altri “colleghi”: tre neomaggiorenni alla primissima esperienza. Aggiungiamo che la commissione elettorale non sa chi sarà designato come presidente ed è già successo che toccasse ad una persona anch’essa alla prima esperienza e mai chiamata a fare lo scrutatore in precedenza. E’ chiaro che con tutta la buona volontà di agevolare gli studenti non si può rischiare di dare in mano le operazioni a sei persone totalmente digiune in materia. Tanto vi dovevo, anche se sono certo che chi ha voglia di pensar male continuerà beatamente a farlo.
Michele Vinante


 
 

25/05/15

LA PRIMA GUERRA MONDIALE INVESTÌ IL TRENTINO E NE CAMBIÒ LA STORIA


Nell’agosto 1914 gli uomini furono arruolati e inviati sul fronte russo, dove subirono perdite sanguinose. Dal maggio 1915 un’ampia fascia del territorio trentino fu devastato dai bombardamenti. Un terzo della popolazione fu evacuata e trasferita in Austria, Boemia, Moravia, o in Italia. La sua economia fu sconvolta. La popolazione che rimase nei paesi conobbe la fame e la durezza dell’occupazione militare. Alla fine della guerra, scomparso l’Impero austro-ungarico, il Trentino entrò a far parte del Regno d’Italia.

IL TRENTINO NELL'OTTOCENTO

Nel 1815 il Trentino divenne parte del Tirolo e dell’Impero d’Austria. I rapporti con le autorità tirolesi furono sempre difficili e ciò spiega la pressante richiesta di autonomia del Trentino verso la parte tedesca della provincia. Negli anni del Risorgimento il Trentino partecipò, anche se marginalmente, al movimento nazionale italiano. Nella seconda metà dell’Ottocento, associazioni come la S.A.T., la “Pro Patria”, la “Lega Nazionale”, la “Società degli studenti trentini” furono protagoniste della difesa dell’identità nazionale italiana. I partiti liberale, socialista (in cui militò Cesare Battisti) e popolare (in cui si formò Alcide de Gasperi) animarono la vita pubblica, battendosi in difesa del Trentino nel contesto tirolese. Il Trentino conobbe un avvio di modernizzazione con la nascita del turismo e la costruzione di un sistema di trasporti ferroviario.

LA FORTIFICAZIONE DEL TERRITORIO

Sul piano militare, negli anni tra il 1833 e il 1838 l’amministrazione austriaca deliberò la costruzione della piazzaforte di Bressanone (Franzensfeste) e dello sbarramento di Nauders (1834-1840). Tra il 1859 e il 1866 il Trentino divenne area di confine con il Regno d’Italia e il governo di Vienna predispose la militarizzazione del territorio. Tra il 1861 e il 1915 furono costruite circa 80 fortificazioni e un sistema trincerato lungo 300 chilometri. Nei piani di Vienna, in caso di conflitto contro l’Italia e la Russia, il Tirolo avrebbe dovuto resistere contro un avversario numericamente superiore. A partire dal 1860 furono costruite numerose “tagliate” (sbarramenti stradali) a difesa dei valichi: Gomagoi, Strino, Lardaro, Ampola, Riva del Garda, Bus de Vela, Doss di Sponde e Rocchetta. Nel 1867-1871 sorse lo sbarramento di Civezzano, a protezione della città-fortezza di Trento. Nel 1880-1884 fu la volta dei forti Candriai e Mandolin attorno a Trento, delle batterie sul monte Brione a Riva del Garda, del forte di Pannone, in val di Gresta. Tra il 1884 e il 1900 gli austriaci rafforzarono le tagliate stradali: furono costruiti il forte Corno in Valle del Chiese, gli sbarramenti di Tenna e Colle delle Benne in Valsugana, di Paneveggio e Moena in Val di Fiemme e Fassa, di Pieve di Livinallongo, di Landro in Val di Sesto.

Quando, nel novembre 1906, Franz Conrad von Hötzendorf divenne capo di Stato Maggiore, il programma di fortificazioni divenne più ambizioso, soprattutto nella parte meridionale del Trentino. Tra il 1904 e il 1914 furono erette le fortificazioni di Tonale, Presanella, Pejo, Carriola, Garda, Tombio, Tonale; fu progettata la “cintura di acciaio” che doveva difendere la Valsugana, gli Altipiani e la Vallagarina, ma nel 1914 solo i forti di Folgaria, Lavarone e Luserna erano stati portati a termine. Nel settembre 1914, lo Stato maggiore austro-ungarico incaricò il generale Franz Rohr di costruire la Tiroler Widerstandslinie (linea di resistenza tirolese), una linea trincerata ininterrotta dal Tonale alla Marmolada da utilizzare nel caso di un conflitto con il Regno d’Italia. Furono impiegati circa 20.000 lavoratori civili. Attorno a Trento fu predisposta una nuova massiccia fortificazione. Allo scoppio della guerra (maggio 1915) sul fronte italo-austriaco esistevano solo pochi sbarramenti moderni ed efficienti; l’esercito austriaco si attestò su una linea del fronte arretrata rispetto al confine politico. Le fortezze degli Altipiani furono bombardate e danneggiate gravemente, tuttavia riuscirono a garantire il controllo del territorio e a sostenere l’offensiva austriaca della primavera del 1916. Con l’avanzamento della linea del fronte il loro impiego cessò.

I TRENTINI SUL FRONTE ORIENTALE

Nel 1914 gli austriaci chiamarono alle armi gli uomini di età compresa tra i 21 e i 42 anni (dal 1915 dai 18 ai 49 anni). I trentini richiamati furono circa 60.000; i caduti in guerra più di 11.400. I trentini furono impiegati soprattutto sul fronte orientale, anche se alcuni combatterono anche sul fronte italiano. Vennero inquadrati nei 4 reggimenti Kaiserjäger (cacciatori imperiali) e nei 3 reggimenti da montagna Landesschützen, oltre che nei 2 reggimenti di milizia territoriale (Tiroler Landsturm).Circa 700 trentini scelsero invece di arruolarsi volontari nell’Esercito italiano; a partire dal 1917 furono riuniti nella Legione Trentina. Molti erano giovani studenti cresciuti nei centri urbani del Trentino, educati dalle famiglie e nella scuola a sentimenti di italianità, ma non mancavano maturi professionisti, operai, commercianti ed artigiani. Circa 15-20.000 trentini caddero prigionieri dei Russi o disertarono. Molti di loro furono impiegati in Russia come forza lavoro. La collaborazione militare tra Regno d’Italia e Impero russo permise a circa 4.000 prigionieri trentini e italiani delle province adriatiche, di sentimenti nazionali italiani, di trasferirsi in Italia. Partiti nel 1916 dal campo di prigionia di Kirsanov, imbarcati nel porto di Arcangelsk, attraverso la Gran Bretagna e la Francia giunsero a Torino. Alla fine del 1917, altri 2.500 vennero trasferiti in Cina. Alcune centinaia di loro, inquadrate nei Battaglioni Neri del Corpo di spedizione italiano in Estremo Oriente, combatterono contro i bolscevichi; altri trentini si arruolarono invece nell’Armata Rossa. Un ultimo gruppo, infine, fu imbarcato dai porti dell’Estremo Oriente per gli Stati Uniti, da dove proseguì alla volta dell’Europa. Nel dicembre 1917 la Russia e l’Ucraina stipularono un armistizio con l’Impero austroungarico e la Germania. La vittoria degli austro-germanici permise loro di spostare gran parte delle loro forze sui fronti italiano e francese. A presidio del confine orientale rimase quasi tutto il contingente di lingua italiana costituito da trentini e da italiani delle province adriatiche dell’Impero.

IL FRONTE ITALO-AUSTRIACO

Nel maggio 1915, allo scoppio delle ostilità con il Regno d’Italia, l’esercito austro-ungarico riuscì a fatica a presidiare il nuovo fronte. I Comandi austriaci accorciarono il fronte arretrando le linee difensive lungo un sistema di trincee, caverne e ripari fortificati predisposti nei mesi precedenti. Le truppe schierate a difesa del Tirolo ammontavano a circa 35.000 uomini; furono mobilitate anche le compagnie di Standschützen tirolesi. In appoggio all’alleato, anche l’esercito tedesco inviò alcuni reparti. Per l’esercito italiano il Trentino era un fronte secondario ma difficilissimo. I soldati di entrambi gli schieramenti conobbero la durezza della “guerra bianca” e furono costretti a combattere in condizioni di vita estreme. Con l’offensiva lanciata nel 1916 tra la Vallagarina e Asiago (Strafexpedition), l’esercito austro-ungarico minacciò gravemente le posizioni italiane sulle Prealpi del Veneto . Nel novembre 1918 dopo una lunga guerra di posizione, sanguinose avanzate e una grave sconfitta a Caporetto, l’esercito italiano sfondò le linee austro-ungariche. Il 4 novembre venne firmato l’armistizio.

LA GUERRA IN MONTAGNA

Le cime delle montagne del Trentino vennero occupate rapidamente. Si combatté sulle cime più elevate del Trentino, dal Lagorai al Passo San Pellegrino, alla Marmolada, alle Tofane, alle cime di Sesto. Ci furono scontri sul Gran Zebrù (3859 m), sulla Thurwieser (3652 m), sulla parete di ghiaccio della Cima Trafoi (3553 m), sul Cevedale (3378 m), sul Monte Vioz (3644 m), sulla Punta S. Matteo (3692 m). Per ripararsi, i soldati dei due eserciti scavarono ricoveri nel ghiaccio sull’Adamello-Presanella e sulla Marmolada, dove venne costruita la “Città di ghiaccio”, comprendente 8 chilometri di gallerie, ricoveri e depositi. La guerra di alta montagna fu anche una guerra dell’uomo contro la natura. Le perdite per i congelamenti furono ingenti. Il principale pericolo erano le valanghe che, nell’inverno 1916/17 uccisero non meno di 10.000 uomini. Tutto doveva essere trasportato con teleferiche, su slitta o a dorso di uomo (o di donna). Vennero costruite strade, gallerie e ponti, con mascheramenti per nascondere i movimenti di truppe e rifornimenti. Furono impiegati treni e camion, teleferiche e decauville. Nelle retrovie si realizzarono magazzini, depositi, baracche, ricoveri e alloggiamenti per le truppe, cucine e ospedali da campo. Telefono e telegrafo permisero i collegamenti tra retrovie e prima linea. In montagna si combatté anche una spettacolare guerra di mine. Il Col di Lana, il Lagazuoi e il Castelletto, il Cimone d’Arsiero, il Colbricon, il Dente italiano sul Pasubio, contesi nel corso di ripetuti e sanguinosi assalti, furono fatti esplodere con decine di migliaia di chilogrammi di esplosivo.

LA POPOLAZIONE CIVILE DURANTE LA GUERRA

La dichiarazione di guerra dell'Italia all'Impero austro-ungarico provocò l’evacuazione verso nord e verso sud di più di 100.000 persone, per lo più donne, bambini e anziani dalle aree poste in prossimità del fronte. La gran parte di loro fu disseminata nelle campagne della Boemia e della Moravia. Altre decine di migliaia vennero concentrate nei grandi lager di Mitterndorf e Braunau am Inn, vere e proprie “città di legno”. Nei baraccamenti si instaurò una forma di militarizzazione della vita civile; la mortalità provocata dalla miseria e dall’indigenza raggiunse cifre elevatissime. Circa 30.000 trentini vennero evacuati dall’Esercito italiano in diverse regioni italiane; alcune centinaia di loro accusati di atteggiamenti filo austriaci, vennero internati. Circa 1.700 trentini sospettati di sentimenti filoitaliani vennero invece rinchiusi nel campo di concentramento di Katzenau, a pochi chilometri da Linz.

Nei paesi non evacuati le donne dovettero prestare servizio per l’esercito sia sul versante italiano che su quello austriaco, come cuoche, lavandaie o nelle cancellerie militari, ma anche nella costruzione di strade e nel trasporto di materiali. In diverse zone del fronte le donne furono impiegate nel trasporto di viveri, munizioni e materiali per la costruzione di trincee, talvolta di feriti; alcune di loro morirono nel corso di bombardamenti.

DOPOGUERRA E MEMORIA

Alla fine della guerra, scomparso l’Impero austro-ungarico, il Trentino entrò a far parte del Regno d’Italia. Il paesaggio del Trentino appariva trasformato dalla costruzione di fortificazioni e campi trincerati, dal disboscamento, dalle esplosioni e dalle azioni belliche. Dalla Valle di Sole alla Valle del Chiese, dalla Valle di Ledro all’Alto Garda, dalla Vallagarina alla Vallarsa, da Lavarone e Luserna alla Valsugana e al Primiero, un centinaio di paesi e di borgate che si trovavano nella “zona nera” risultarono distrutti o gravemente lesionati. I profughi e i soldati che tornavano nei propri paesi trovarono edifici danneggiati, abitazioni e cantine saccheggiate, campagne, pascoli e boschi disseminati di ordigni inesplosi e di reticolati. La ricostruzione, assistita dal Genio militare italiano, iniziò rapidamente e permise nell’arco di un paio di anni di riparare alcuni dei danni più gravi prodotti dalla guerra. La ripresa della vita civile ed economica fu lenta e complicata, a causa del nuovo assetto istituzionale in cui il Trentino si venne a trovare, del cambio della moneta, del mutamento delle principali relazioni commerciali. La costruzione di una memoria pubblica dei caduti trovò anche in Trentino un grande spazio. Il ricordo dei più di 11.000 trentini caduti in divisa austro-ungarica fu invece ostacolato dal nuovo Stato italiano che non seppe riconoscere la situazione in cui il Trentino si era trovato. Vennero invece celebrati i caduti volontari nell’Esercito italiano ed in particolare Cesare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa, catturati nel 1916, mandati al patibolo nel Castello del Buonconsiglio.

Giuliana I.
 
Tratto da TRENTINO GRANDE GUERRA - Il portale della Prima Guerra Mondiale

 

24/05/15

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

Archivio blog