27/03/10

TRENIFIEMME


Da un po’ di tempo i media locali “ufficiali” stanno gareggiando a chi meglio dipinge una Valle (di Fiemme) che non c’è. La fantasia dei giornalisti si sposa alle chiacchiere da bar, alle opinioni comuni dei valligiani di strada, in un crescendo confuso di notizie e ipotesi su trasporti e mobilità, intese a far credere come imminente l’avvio di una trasformazione modale del trasporto locale. In questo voluto gioco mediatico, legato alla prossima edizione dei campionati di fondo del 2013, nessuno però si azzarda a nominare il tabù che intralcia, come un macigno pesantissimo, la praticabilità del mirabile intento. E cioè: la rivoluzione della mobilità è possibile senza un radicale cambiamento della mentalità generale e delle nostre pigre e consolidate abitudini? E la domanda che naturalmente conseguirebbe è: rispetto alla mobilità privata, le amministrazioni comunali di Fiemme cosa pensano e cosa intendono fare?
I nostri non sono quesiti oziosi. È fondamentale sapere cosa c’è di concreto dietro a questo sbandierar di proclami. Se quelle parole, quegli articoli che insistono e che dicono pur vagamente di una mobilità pubblica alternativa prossima ventura, di collegamenti viari nuovi, di intermodalità, di “Metroland”, eccetera, eccetera, corrispondono davvero alla voglia di cambiare le cose e di dare una forte sterzata all’andazzo, o sono la maschera dietro cui si nasconde soltanto la voglia di approfittare dell’occasione mondiale per nulla interessata a riformare gli attuali comportamenti collettivi. Se fosse vera la prima, e se ai Mondiali fosse davvero collegato un piano strategico di lungo respiro, occorrerebbe che le municipalità di Fiemme cominciassero da subito a ragionare e ad attivarsi sollecite. L’impressione che se ne ricava però dalla vista d’insieme, non è questa.
Ne è prova il fatto che l’unica ‘scoperta’ messa in piazza a giustificazione del gran battage pubblicitario sarebbero alcuni autobus a guida ottica e alimentati ad idrogeno. Ora, che qualcuno, di primo acchito, di fronte a tale fantastica novità, possa entusiasmarsi, ci può anche stare. Ma poi, passato l’abbaglio, se facesse mente locale al parco auto privato della Valle, stimato in 12.000 autoveicoli, capirebbe immediatamente che non potranno essere certo 1 o 5 o 10 autobus alimentati ad idrogeno (o a carbone che fosse!) a cambiare le sorti ambientali di questi luoghi. Ecco dove il conto non torna e la debolezza dell’inganno si dispiega in tutta evidenza: una qualificazione ambientale attraverso il ripensamento della mobilità che abbia davvero senso e spessore non può non passare obbligatoriamente attraverso una riforma complessiva delle abitudini private. Un’ impresa titanica che impegnerebbe le amministrazioni comunali a lungo e con grande dispendio non economico, bensì culturale. Non bastano iniziative estemporanee e una tantum, servono metodo e organizzazione ben studiati. E, soprattutto, serve esserne convinti. Ma Gilmozzi, uno dei due padrini dell’iniziativa, è il primo a non crederci. Non è un caso infatti che egli abbia ‘riconvertito’ il treno o il metrò di superficie, prospettati inizialmente ai suoi elettori come la “grande scoperta”, in ‘semplici’ autobus ad idrogeno. Nessuno ha rilevato che la differenza tra treno o metrò e autobus non sta nel tipo di alimentazione più o meno inquinante o nel fatto che i primi viaggiano su rotaia e il secondo su gomma. La differenza è molto più profonda. È che il treno (o il metrò) presuppone una reale e meditata presa di coscienza collettiva e un conseguente cambio di mentalità da parte dell’utenza potenziale. Mentre l’autobus non è una vera alternativa alla mobilità privata, ma solo un concorrente sfavorito di essa.
Ribadiamo quindi l’impressione che siano pochi gli amministratori di valle davvero convinti di questo progetto e che la stragrande maggioranza dei Fiemmesi sia purtroppo molto lontana dall’idea di sintonizzarsi su questa lunghezza d’onda. Però, a questo punto, tanto per evitare che il tutto si riduca a semplice pretesto per una ennesima sicura ‘mangiata’ di denaro pubblico riservata ai soliti noti, varrebbe forse la pena di tentare un’azione di coordinamento tra le varie amministrazioni di Fiemme per vedere cosa in concreto e al di là dell’immagine, si potrebbe fare.
Ci sono iniziative che altri paesi in provincia hanno già sperimentato e praticano. Il piedibus, per esempio, è stato recentemente avviato a Pergine Valsugana. Possibile che non lo si possa sperimentare in paesi che appartengono alla valle trentina che più di ogni altra, a parole, sta vendendosi come una valle verde certificata? Possibile che ogni mattina, in uno di questi paesi, Tesero ad esempio, si debba assistere a un via vai indecente di auto private che trasportano, per poche centinaia di metri, bambini che potrebbero tranquillamente recarsi a scuola a piedi? Possibile che all’interno dei centri abitati non si siano ancora predisposti dei percorsi pedonali delimitati e sicuri? Possibile che non si sia ancora capita l’importanza di una pista ciclabile intercomunale che affianchi la statale, non per diporto, ma come alternativa o integrativa all’auto? Anziché sugli autobus a conduzione ottica, su queste cose, che certo sono ‘piccole’, ma concrete e autenticamente ecologiche, dovrebbe aprirsi e svilupparsi il dibattito pubblico.

Ario Dannati

26/03/10

24/03/10

CODICI IMMORALI


L’Iban, 27 numeri se non mi sbaglio, sarebbe, già di per sé, un’obiezione sufficiente alla società moderna, la cui sola giustificazione del resto è di aver portato il cesso in casa e, forse, l’invenzione del bikini. Noi viviamo di Iban, di Cin, di Pin, di Cab, di Abi, di carte di credito, di codici, di sigle. Non siamo più persone, siamo numeri. E interloquiamo con i numeri o con le macchine, il che fa lo stesso. Poniamo che abbiate un guasto telefonico, naturalmente se appartenete a quella specie pliocenica che possiede ancora un fisso. Comincia una gimkana disperante che dall’1 ti manda al 3 e poi al 9 e quindi, come nel gioco dell’oca, ti rispedisce al punto di partenza. Avete sbagliato qualcosa. Non avete dato il codice. E se il codice non ce l’avete? Dovete fare un percorso diverso. Finalmente raggiungete un operatore, un ragazzo di qualche call center che probabilmente parla da Lecce mentre il guasto è a Milano che risponde con la solita formula per cui, per quanto ne potete sapere voi, potrebbe essere benissimo un disco: “Sono Stefano, in che cosa posso esserle utile oggi?”. Spiegate. Il disco dice: “Le procedure prevedono che il guasto sarà riparato entro le 48 ore”. Poiché dopo un giorno non è successo nulla, e voi friggete, provate a sollecitare. Niente da fare. I numeri si oppongono. Il 3 o il 5 rispondono: “La procedura è in corso” e non ti permettono di andare oltre, pare anzi di sentire, nel disco, un tono un po’ seccato, che è l’unico elemento un po’ umano di tutta la faccenda. Dopo le sacramentali 48 ore non è stato aggiustato un bel niente. Facendo percorsi sempre più tortuosi, dove i numeri si sommano, si raddoppiano, si dividono, tentano di depistare, riesci finalmente a raggiungere un operatore, che probabilmente sta a Vipiteno: “Sono Stefania, come posso esserle utile oggi?”. “Fatemi parlare con un essere umano, ‘porco zio’. Devo ammettere che la bestemmia, in questa società di baciapile, ha ancora una sua magica efficacia. Si è palesato, almeno in voce, un tipo che pareva essere un uomo e sapere cos’è un telefono. Ai tempi belli della Stipel telefonavi, usando l’apparecchio del vicino di casa (oggi non esistono più i vicini di casa, ma solo numeri sul citofono), usciva un omino in carne e ossa, veniva a casa tua e riparava il guasto. Ma quelli erano i felici tempi andati in cui l’uomo esisteva ancora. In tempi ancor più lontani, nei “secoli bui” del Medioevo, nella comunità di villaggio ognuno conosceva tutti ed era da tutti conosciuto. Tutti sapevano chi fosse e quanto valesse e finiva per saperlo anche lui. Non si poteva barare, né con gli altri né con se stessi, perché la tua vita e le tue vicende scorrevano davanti agli occhi della comunità. Se eri un fesso eri riconosciuto come tale, se eri un ladro idem, se eri un brav’uomo pure. Nella complessità della società attuale tu non puoi mai sapere che hai davanti. Quanti ne ha fregati Callisto Tanzi con quella sua aria da gran signore, elegante, opportunamente brizzolato? Eppoi se la prendono col mago Do Nascimiento che ha almeno l’onestà di aver scritto in faccia “truffatore professionista”, così come la Banda Bassotti porta la regolamentare mascherina. Non dovrebbero arrestare il mago, sono le sue presunte vittime, che sono state così fesse da cascarci, che dovrebbero essere perlomeno interdette dal voto (con tutta probabilità lo danno a Berlusconi che è un Do Nascimiento un poco mascherato – il suffragio universale è stata la rovina della democrazia). Ai bei dì non occorreva la carta di identità, gli Iban, i Cin, i Pin, gli Abi, i Cab, per farsi riconoscere. Quest'estate ero in Corsica e mi ero spinto fino a Muna, un villaggio che segna quasi il centro geometrico dell’isola, appoggiato ad alte montagne rocciose simili alle Dolomiti. Mi sono messo a parlare col gestore di un minuscolo chiosco, un uomo sulla sessantina. Chiacchiera, chiacchiera, bevi insieme un paio di bicchieri di buon vino, alla fine abbiamo fatto amicizia. “Come ti chiami?” gli ho chiesto. “Paulu”. “Ma di cognome come fai?”. “Paulu de Muna” mi ha risposto, un poco sorpreso. E la vita è tornata a sorridermi.

Massimo Fini

23/03/10

22/03/10

L’IMPRESCINDIBILE NECESSITÀ DI UNA PROFONDA AZIONE CULTURALE



Il continuo peggioramento delle condizioni ambientali del pianeta palesa, senza ombra di dubbio, che in questo momento l’umanità non è in condizione di avviare una politica capace di invertire le tendenze in atto. Nonostante vi sia una diffusa consapevolezza ed una approfondita conoscenza scientifica delle modalità con cui l’uomo altera l’ambiente e su come queste variazioni comportino effetti negativi, immediati e duraturi, alla sua salute, nonostante vi siano tutte le strumentazioni tecniche necessarie per modificare le cause, non è attivata un’azione complessiva che possa ridurre i fenomeni di degrado riscontrati. Da diversi decenni il termine sostenibilità è divenuto parte del linguaggio, indicando con esso la ricerca e la pratica di soluzioni in grado di non peggiorare ulteriormente le condizioni del pianeta. In tale maniera, per quanto le definizioni del termine possano sembrare aleatorie, comunque è stata dichiarata la possibilità che vi siano scelte concretamente perseguibili. Potendo oggi fare un bilancio di quanto fatto in questa direzione negli ultimi trenta anni da molte decine di paesi, e da quasi tutte le organizzazioni internazionali in cui si affronta il problema della sostenibilità, si può concludere che il modello praticato è stato capace di peggiorare in maniera significativa la già grave situazione. E questo nonostante la rarefazione nel tempo del termine sostenibilità, nonostante la grande confusione terminologica volutamente creata dagli operatori per mistificare le proprie azioni e presentarle come ambientalmente qualificate. I successi raggiunti sono parziali, specifici, locali e contribuiscono a dimostrare tanto che altri percorsi sono perseguibili quanto che pur avendone le capacità non sono diffusamente perseguiti. La grande confusione che interessa le modalità con cui viene attribuito l’aggettivo “sostenibile” o “ambientale” ai progetti, alle merci, ai manufatti evidenzia come la cultura di questo modello abbia una cattiva coscienza. La cattiva coscienza di sapere perfettamente che un percorso di sostenibilità cambia profondamente la struttura culturale, sociale e produttiva di una società e di non volerla assolutamente cambiare anche a rischio della salute di tutta la popolazione planetaria. La sostenibilità non è compatibile con questo modello, è alternativa. Perché parla un linguaggio diverso. Se si vuole adoperarsi per essa in primo luogo non è possibile parlare di crescita, vanno ridotte le quantità, vanno ridistribuite le ricchezze per permettere un miglioramento del benessere dei molti, vanno eliminati gli sprechi che sono la ragione della rincorsa all’arricchimento, va eliminata l’accumulazione, va aumentata l’autonomia e la consapevolezza delle comunità. Per bloccare il continuo peggioramento delle condizioni del pianeta, non sono sufficienti gli stentati passi fatti dai governi, è necessario avviare un processo diffuso di riqualificazione e conservazione ambientale che limiti gli interessi di quelli che sono i motori primi di questo modello, che riduca i profitti, che modifichi la cultura allineata alla difesa di piccoli vantaggi di una società dannosa per l’ambiente e nociva per gli uomini. Per fare questo si ritiene che si debbano acquisire comportamenti individuali e collettivi che consentano di uscire dalla trappola letale del quotidiano, dalla schiavitù delle merci, dall’asservimento ad abitudini incongrue, dall’autoritarismo delle decisioni, dal decisionismo dei poteri economici. Ciò si può attuare solo nell’ambito della cultura libertaria. Di seguito si tracciano delle piccole riflessioni volte ad individuare quanto di insostenibile vi sia nel modello praticato, quanto sia importante fare chiarezza su comportamenti apparentemente sostenibili e quanto siano facilmente praticabili altre forme di vita sociale sul pianeta (...).

Tratto dal dossier n° 8 su Globalizzazione e Ambiente di R.A.
a cura di Adriano Paolella e Zelinda Carloni

PASSAPAROLA - 22/03/2010

21/03/10

IL BENE DEL PAESE



È arrivato un nuovo commento anonimo al post “De tüto ven ‘na fin”, pezzo che, nel giro di una settimana, ha fatto registrare un numero di commenti di vario segno mai riscontrato sinora. Riportiamo qui il testo del commento: “Per chi dice che c'è tanta voglia di cambiamento, che i problemi nel paese sono infiniti....iniziate a scrivere una lista delle cose che vorreste cambiare e candidatevi, fate qualcosa, dimostrate di saper fare qualcosa, oltre al saper criticare chi ci lavora da anni al bene del paese!!!!”
Rispondere a un anonimo non è mai facile. Non conoscendo l’interlocutore, c’è il rischio di mal interpretare il suo pensiero e di non capire da cosa sia realmente mossa la sua esternazione. Ma la nostra “visione del mondo” è chiara da tempo a chi ci legge e anche stavolta risponderemo rispettando questa linea di pensiero.
Precisiamo che su queste pagine mai si è sostenuto che il paese sia assillato da “problemi infiniti”. Qui semmai più e più volte sono state segnalate questioni di fondo, alle quali le amministrazioni comunali succedutesi nel tempo non hanno voluto o saputo dare adeguate risposte. I problemi del paese non sono infiniti, a meno che per infiniti non s’intenda l’infinita possibilità di aggiungere nuove opere pubbliche a quelle già esistenti, in base non già ad un’analisi precisa dei bisogni, ma alla semplice disponibilità di denaro, o alla capacità di trovarne.
Nel caso di Tesero, ci sembra evidente che i problemi di fondo non siano legati ad una mancanza di strutture e infrastrutture pubbliche, ma al saper qualificare il paese attraverso un utilizzo equilibrato di esse. Su questo blog da tre anni tali questioni sono state tutte analizzate. È tutto scritto. Basta scorrere le pagine più vecchie. Probabilmente chi ci invita ad agire non le ha lette. Con riferimento al bene del paese non è col fare opere che lo si realizza. Ci si può avvicinare a tale concetto qualora qualsiasi opera, prima ancora di essere pianificata ed eseguita, abbia una sua ragionata motivazione. Ma non basta! Per noi il complesso delle opere pubbliche, se non accompagnato dalla responsabilità che ogni cittadino, nel fedele rispetto di un vecchio slogan elettorale, né mio, né tuo, ma nostro, deve assumersi nei confronti del patrimonio comune, non realizza comunque il bene del paese.
Non ravvediamo quindi né l’urgenza né la necessità di dover stilare un elenco corposo di “lavori” da fare. Crediamo che, allo stato attuale, il compito principale della nuova Amministrazione sarà quello di conservare e manutendere con accortezza il patrimonio pubblico esistente.
E se proprio di programma vogliamo parlare, noi della “lista alternativa”, peraltro ancora ufficiosa, in materia di opere pubbliche possiamo riassumere in 5 punti ciò che andrebbe e non andrebbe fatto:
1 – Sì alla realizzazione del parcheggio sotterraneo di Piazza C.Battisti;
2 – Sì alla centrale di trasformazione dei liquami stallatici;
3 – Sì alla realizzazione della seconda centrale idroelettrica sul Rio Stava;
4 – No alla bretella di collegamento Fondovalle – S.S.48;
5 – No al parcheggio sotterraneo del piazzale delle Scuole.

L’Orco

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

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