13/02/10

LA LIBERTA’ DEL PENSIERO UNICO


L'epoca moderna è l'epoca della libertà. Tale principio è stato enfaticamente espresso dall'Illuminismo e dai rivoluzionari francesi, e più recentemente ancora ripreso dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo dopo la Seconda Guerra Mondiale. La libertà informa ogni aspetto della nostra vita: dalla libertà di azione e di movimento alla libertà di pensiero, di espressione e di associazione, siamo obiettivamente partecipi di una molteplicità di possibilità e di scelte che in passato non potevano neppure immaginare. Questo è un dato oggettivo incontestabile, uno dei pilastri su cui i sostenitori della modernità fondano la loro difesa contro i suoi detrattori. Tuttavia vi è nell'uomo moderno un disagio e un'inquietudine che con tale libertà non si accordano bene: se fosse questa davvero l'era della libertà finalmente conquistata - o meglio, delle libertà come si dice talvolta - ben altra dovrebbe essere la soddisfazione dell'uomo contemporaneo. In effetti la sensazione che si respira nella vita di oggi è quella di una schiavitù sottile, impercettibile, impalpabile, che non risparmia neppure gli uomini più inseriti nel meccanismo, ma che non si riesce bene a identificare. Quando si sostiene che nella modernità da una parte c'è una libertà diffusa di azione e di pensiero, ma dall'altra è in atto un processo di omologazione planetario e di appiattimento delle coscienze, sembra di stare di fronte ad una contraddizione. Ma non è così, perché libertà e omologazione sono entrambi espressione di quel fenomeno tipicamente moderno chiamato totalitarismo. Per comprendere ciò, è utile capire la differenza tra pensiero dominante e pensiero unico, laddove il primo è caratteristico delle realtà tradizionali, il secondo dell'epoca moderna. In ogni società tradizionale c'è sempre stata una forma di pensiero con la quale tutte le altre forme si dovevano confrontare e sulla quale si misuravano. Ciò significava che ogni altra visione delle cose e del mondo doveva evitare di porsi esplicitamente in contrasto con tale pensiero dominante. Di fatto, la diversità di pensiero veniva accettata come naturale. Non vi era la volontà di cancellare tali diversità. C'era solo la preoccupazione che una naturale pluralità di vedute non si trasformasse in un caos o che non minasse l'ordine costituito e l'autorità politica. In fondo, tale impianto era il medesimo della struttura feudale della società. Caratteristico della modernità invece è il pensiero unico, ossia un controllo complessivo dell'individuo e della società finalizzato all'eliminazione di ogni forma di diversità, controllo portato dall'esterno nei regimi dittatoriali (comunismo, fascismo, nazismo) ma meglio ancora dall'interno attraverso la manipolazione delle menti come accade nella liberal-democrazia in cui viviamo. Quest'ultima forma di controllo è davvero "all'avanguardia" rispetto a quella caratteristica delle vecchie dittature del Novecento: la liberal-democrazia infatti agisce direttamente sul pensiero e sui desideri inconsci dell'uomo e non sull'azione esterna, e quindi è molto più pervasiva ed efficace, perché non elimina le dissidenze con la repressione, ma fa in modo che sia l'individuo stesso a richiedere di conformarsi "naturalmente" e "liberamente" ad un modello unico - esclusivamente materiale - che viene presentato come sommamente attraente e vantaggioso per tutti. Chi rifiuta questo modello perché ne percepisce la perversità, è tagliato fuori, è un emarginato, un paria. Può in teoria pensare quello che vuole e propagandare ogni alternativa di pensiero, ma di fatto è lui stesso che spesso richiede di adeguarsi al modello unico, se non ha la forza di affrontare la solitudine e l'incomprensione che inevitabilmente lo accompagnerebbero fuori da detto modello. Il pensiero unico delle società liberal-democratiche risiede quindi proprio nel modo di pensare privato, prima ancora che nella sua espressione pubblica: se non si è convinti dentro di sé della verità del pensiero unico, si è emarginati. Non si può fingere con se stessi: bisogna auto-convincersi ogni giorno di stare vivendo nel migliore dei mondi possibili per riuscire a rimanere a galla! E se restano delle diversità nella cosiddetta "società aperta", come la definiva Popper, è solo perché esse sono finte libertà e false scelte: sono piatti già preconfezionati dal meccanismo sociale, pluralità che non intaccano le sue fondamenta perverse. Omologazione e libertà moderna - che parrebbero in contraddizione - sono quindi aspetti speculari di un unico totalitarismo. E' stato infatti proprio il totalitarismo di matrice economicista a ridurre la libertà esclusivamente al suo aspetto materiale, a farla diventare pura azione individuale. E' stato proprio togliendo senso alla libertà stessa, che essa ha potuto esprimersi svuotata in ogni campo come mai aveva fatto nella storia, mentre l'economia dettava ovunque la legge materiale del denaro e del possesso di beni. Se la libertà avesse ancora un valore reale, essa come tutte le cose sarebbe limitata. Avrebbe un inizio e una fine. Avrebbe un ambito, dei riferimenti e persino delle censure. Essendo privata di senso, si può dire tutto perché tutto non ha e non abbia più valore. Si può fare tutto, si può andare ovunque e si abolisce ogni limite perché si annulla il valore delle cose, dato che solo il confine dà un valore alle cose del mondo. Tale falsa libertà è in realtà una dissoluzione, una inorganicità che mira alla creazione di un amorfo universale e si esprime abbattendo ogni regola, ogni riferimento, ogni misura, lasciando solo la libertà del vuoto e del nulla.

Massimiliano Viviani

11/02/10

LETTERE & INTERVENTI


Scusami Evgeny se lascio cadere il discorso in merito all'Hotel Alma. Preferisco che il lettore in modo autonomo pesi le posizioni sostanzialmente antitetiche e di fatto inconciliabili che si evidenziano dai due scritti, il tuo e il mio. M’avrebbe fatto piacere leggere piuttosto il nostro Vicesindaco e assessore all’Urbanistica per capire come la pensasse in merito e, semmai ci fossero state, che tipo di pressioni o compromessi egli sia stato eventualmente costretto a subire lì e altrove, per non inimicarsi quella base di consenso che dovrebbe garantirgli quel prevedibile successo alla prossima competizione elettorale. Certo non speravo che su quell’argomento sarebbe intervenuto l’UTC, magari per voce del suo massimo responsabile, anche se esso avrebbe potuto dare un contributo in quanto attendibile conoscitore della situazione sia conseguente ma soprattutto antecedente all’intervento.
Non ritornando più sulla tua questione cercherò anche di sottrarmi così a quel fastidioso atteggiamento di “narcisismo epistolare” che, subdolamente, spesso, si insinua nell'animo di chi scrive. Approfitto invece di quell'unico commento in sostegno alle tue spiegazioni per saziare le curiosità del tuo sostenitore, che qui chiamerò signor Ottimo, per chiarire il percorso urbanistico che ha caratterizzato l'edificazione della zona Narlasa (o Arlasa) e della casa ove abito.
1. Le attenzioni edificatorie su detta area prendono campo sostanzialmente agli inizi degli anni Settanta durante i quali avvengono dei passaggi di proprietà di terreni alcuni dei quali della Parrocchia.
2. In particolare si rivelerà determinante l'acquisto da parte del signor M.Longo (classe 1911) di una particella adiacente la strada agricola comunale che partendo da questa si estende verso ovest per circa 50 metri affiancando un piccolo terreno già in proprietà alla di lui famiglia. Nel 1973 il Longo è Assessore comunale e il Comune si dà in dotazione il suo primo P. di F., strumento che regolamenterà l'edificazione per i successivi tredici anni fino al 1986. La cartografia che delimita le nuove zone passibili di edificazione segna come beneficiari di tale titolo i terreni che costeggiano la strada comunale de Narlasa per una fascia di larghezza variabile tra i 12-15 metri sul suo lato destro a salire (lato Tombole), partendo dalla villa Albertina fino a casa mia compresa, mentre essa viene estesa per una larghezza molto maggiore sul lato sinistro, verso ovest, interessando così anche parte dei nuovi terreni del Longo. E' però nel 1980 che per primi iniziano l'avventura edificatoria i signori L.P. e P.Z. Per la verità il primo fu A.Zeni (1965-66) che nell’area ex cava sottostante, su progetto del Micheletti eresse la propria dimora su menzionata, mentre la fascia sul lato Tombole risulterà di difficile utilizzo soprattutto a causa della sua striminzita larghezza.
3. 19 luglio 1985. Stava.
4. Giugno 1986. Il Comune si dà in dotazione un nuovo strumento urbanistico per far fronte alla “Ricostruzione di Stava” e al ripristino del tessuto urbano e sociale del paese, segnato profondamente negli animi da quell’Evento. Io siedo in Consiglio Comunale nelle fila “de L’Opposizione”; sindaco Jellici.
5. La cartografia del nuovo P.R.G.. interviene pesantemente sulla previsione dei futuri assetti urbanistici di Tesero sovradimensionando il fabbisogno di ricostruzione di 30000 mc (l‘equivalente di 100-120 nuovi appartamenti), come appare nella relazione dell’estensore arch. Mioni. In particolare per la zona Narlasa si attua lo stralcio della fascia a ridosso delle Tombole e per contro si estende l’area verso Santa Libera fino al limite dei fabbricati oggi esistenti. L’area viene definita come Piano di lottizzazione di Arlazza con n° 6 nuovi lotti distinti: 18 appartamenti.
6. Ritenendomi politicamente oltre che personalmente attaccato da tale scelta, dato che la mia famiglia a Narlasa è, per eredità, proprietaria di un terreno di 525 mq oggetto di stralcio, decido di intraprendere la strada del Ricorso giudiziario. Di ciò avviso anticipatamente il Comune.
7. Inizio estate 1987. Il Tar sentenzia l’annullamento completo del P.R.G.. accogliendo tutte le rivendicazioni del ricorrente: mia madre. Sbigottimento e panico in paese. Inevitabile azione di linciaggio morale verso il sottoscritto.
8. Due mesi dopo il Consiglio di Stato su azione del Comune sblocca la situazione confermando appieno le ragioni e i diritti del ricorrente ma ridando validità al P.R.G., eccetto che per la limitata area oggetto del ricorso per la quale resta valido l’impianto e la cartografia del 1973. E lo rimarrà fino al 2000, anno in cui la prima amministrazione Delladio interverrà con una variante. Nel frattempo su quel terreno ho costruito la casa ove ci abito: sono gli anni 1988-91.
9. L’edificazione sulla lottizzazione invece trova difficoltà a partire sotto l’Amministrazione Zeni nonostante l’acquisizione delle proprietà e dei titoli di ricostruzione facciano presumere il contrario. L’Amministrazione Delladio riesce in un’opera di mediazione e convincimento che sembrava inarrivabile. Ci mette però del suo (nostro) facendosi carico dell’onere della strada di penetrazione e di alcune concessioni di “favore” tra le quali la più vistosa è la cancellazione della Carta delle Penalità che consentirà l‘edificazione anche in zona rossa a marcato rischio di stabilità geologica. La conseguenza si materializza nell’incisione sensibile con opere di scavo ai piedi della zona Codòcio e nel rilevato di terra-armata che si affaccia sulla via Santa Libera. L’Ufficio Tecnico Comunale è osservatore privilegiato e interessato a tutti i movimenti in quell’area, apparentemente non sempre attento alla difesa dell’interesse pubblico e della economicità degli interventi. Ma tanto, paga la “Ricostruzione”. Le spese per le opere di urbanizzazione dai 90.000 Euro lievitano a dismisura. Non si contano le riconfinazioni attuate dalla moltitudine di tecnici che su quest’area si sono succeduti e gli interventi di manipolazione dell’assetto viario e dei suoi confini.
10. Se si esclude quindi la costruzione sull’ultimo lotto che andrà in porto durante il corrente anno 2010 dato che alla titolare P.Bosin è stata concessa regolare Licenza, si può affermare che l’edificazione a Narlasa è partita da un’idea Longo e si è conclusa con un ben visibile doppio intervento dei fratelli Longo, figli del medesimo.
11. In tutto ciò, quindi, i contadini con i loro trattori e BCS non centrano nulla o hanno avuto un non ruolo. Possono essere serviti al passante come anestetico o espediente per attutire o sviare il fastidio di un naturale e comprensibile, ancorché umano, sentimento di invidia. Ma null’altro. L’attenzione va sempre posta sulle questioni vere! Io per parte mia posso solo dire che non sono mai stato iscritto ai Contadini e d’altronde quella corporazione se ne guarderebbe bene dall’accettarmi al suo interno per il timore di dover spartire anche in minima parte quella stretta (a detta loro) coperta di sussidi economici che rappresenta la sua energia vitale. Un contributo definitivo alla svolta del mio legame verso l’allevamento di animali l’ha data il furto del cavallo che tenevo all’alpeggio nell’ormai lontano 1999. Ho un trattore, quello sì. Ed è anche in vendita, casomai interessi a qualcuno. Ho deciso di rinunciare, per inutilizzo, a quel mio Cabrio che peraltro continuo a sognare ma in versione James Dean o Gassman ne’ “Il Sorpasso“, epilogo finale a parte e da scongiurare.
12. A riguardo di tutto il costruito, solo il tempo dirà se la lottizzazione e la casa dove abito avranno avuto senso d’esser fatte. Oggi, analizzando con attenzione la vicenda, si può asserire che quasi tutta questa edificazione si sarebbe potuta e forse dovuta evitare. I miei bisogni e quelli abitativi di tutti gli altri, esclusi forse L.P. e P.Z. si sarebbero potuti e si potrebbero soddisfare benissimo in paese; e in tanti casi da subito.
13. Caro Ottimo, ti sarò grato se leggendomi contribuirai poi, qualora dovessi frequentare luoghi di particolare culto o concentrazione collettiva, a diffondere questa parte di verità che mi riguarda da vicino e che tu hai interpretato in modo molto personale e poco originale. Se poi lo farai col sorriso divertito sulle labbra, magari bagnate da un sorso di bevanda compromettente o nella prigionia di una fumata totalizzante mi andrà comunque bene. Se invece lo farai confabulando amabilmente con compagne o amici, accompagnando o facendoti accompagnare dal/i cane/i durante una passeggiata magari in quel de le Valene la cosa mi sembrerà maggiormente degna di attenzione e apprezzamento. Al ritorno, casomai, fermati a casa mia. Mi farebbe piacere, e so che lo farebbe anche a mia moglie Filomena, manifestarti in modo tangibile un segno di paesana ospitalità.
14. Comunque vada è stato un piacere leggerti; ma soprattutto risponderti. Sempre per quel subdolo narcisismo a cui alludevo. Ti saluto.
Marzio

08/02/10

LA FATICA DEL RICORDARE




E’ trascorsa da poco la “Giornata della Memoria”, il 27 gennaio, e siamo alla “Giornata del Ricordo”, il 10 febbraio. C’è un rapporto tra le due date e le due celebrazioni? Ed esauriscono, prese insieme, il nostro bisogno e il nostro dovere di ricordare? E chi poi, con precisione, dovrebbe ricordare che cosa? E a quale scopo? Mi pongo queste domande proprio oggi, domenica 7 febbraio, perché all’uscita dalla mia chiesa c’era un gruppo di suorine che stava facendo la questua per una loro casa di riposo, dov’esse ospitano anziani del tutto poveri o provvisti di mezzi talmente modesti da non potersi permettere residenze comode o magari anche solo decorose per passarvi la vecchiaia. Queste religiose vivono esclusivamente della carità pubblica: e la loro è un’esperienza molto dura, al limite della sopravvivenza. C’è tanta gente, oggi, anche nel nostro felice e ricco Occidente, che tira avanti male: e molti sembrano non tenerne conto, anzi fingono d’ignorarlo e si mostrano seccati se qualcuno lo ricorda loro. Qualcuno ha detto che due giorni “del ricordo” o “della memoria”, per giunta a ruota, sono troppi. Al contrario: credo siano troppo pochi. Questo non è un mondo che ricorda troppo. E’ un mondo di smemorati, e spesso della peggiore specie: quella di chi non ricorda perché non vuol ricordare. E che ricorda solo quel che gli conviene, e quando non costa né rischio né fatica. E magari ricorda qualcosa per nasconderne qualche altra. Il 10 febbraio si ricordano le foibe istriane, i 350.000 italiani esuli, le migliaia di persone spesso del tutto innocenti scaraventate nelle voragini carsiche e lasciate a morire spesso senza nemmeno la “carità” di una pietosa sventagliata di mitra ad accorciarne l’agonia. Sono storie nostre: del nostro tempo, della nostra gente. Ma io sono del ’40: abbastanza vecchio per ricordarmi bene di un tempo nel quale non si parlava nemmeno della shoah. Delle foibe, poi, manco a pronunziarle: o erano una menzogna, o c’era sì qualcosa di vero, ma si era trattato di regolamenti di conti contro i “fascisti”. E fascista era chi insisteva su quel tema, chi pretendeva di parlarne. Ho sott’occhio mentre scrivo il vol. IV della prestigiosa Enciclopedia Europea, uscito nel ’77. Era il fiore all’occhiello, laico e lungimirante, di quello straordinario, raffinatissimo uomo di cultura ch’era Livio Garzanti. Vi collaboravo anch’io. Ebbene, al volume che raccoglie la voci da Delacroix a Fozio, sulle foibe non c’e nemmeno una riga. E non era certo una pubblicazione “comunista”. Oggi che finalmente delle foibe si può, anzi si deve parlare (il “dovere della memoria”!) dovrei essere finalmente contento. Ebbene: non lo sono granché. Ho vissuto anche in prima persona – ho qualche amico politico, che a suo tempo mi ha chiesto consigli – l’instaurazione delle due giornate, “memoria” e “ricordo”. Ne parlai a suo tempo anche a lungo con l’amico Furio Colombo, promotore del disegno di legge relativo alla prima. Ho l’impressione che le intenzioni iniziali di chi ha voluto queste due celebrazioni siano state malintese e tradite: e non involontariamente. Non a caso, qualcuno ha creduto che in fondo si trattasse della solita tecnica: un colpo al cerchio, un colpo alla botte. Ricordo la shoah e cosi faccio piacere alla sinistra, ricordo le foibe cosi e contenta anche la destra. E’ un parere bécero, ripugnante: ma più diffuso di quanto non si pensi. Invece il discorso è un altro. Rileggetevi la nobilissima requisitoria conclusiva del procuratore generale dei processi di Norimberga: essi non dovevano servire solo a punire i responsabili delle atrocità naziste, ma a impedire che esse potessero in qualche modo ripetersi in futuro. Ebbene: questa seconda parte di quel nobile programma è fallita. Da allora, la terra ha continuato a rigurgitare di vittime innocenti e d’insaziabili carnefici: e non alludo soltanto a Pol Pot. Alludo anche alle vittime delle “guerre democratiche”, quelle “del fuoco amico” e dei “danni collaterali”; alludo a chi ancora oggi, da Tijuana in Messico a Belfast in Irlanda a Melilla in Marocco a Gaza in Palestina, vive ghettizzato dietro un muro e magari viene ammazzato se cerca di evadere. Alludo ai bambini che dall’Africa centrale ad Haiti muoiono di povertà, di mancanza di cure mediche, di carenza di cibo e d’acqua, di AIDS. I morti di Auschwitz e quelli delle foibe, purtroppo non possiamo più averli con noi. Credo sia necessario far in modo di non dimenticarli. Ma il modo migliore per onorare il loro ricordo sarebbe fermare una buona volta i massacri presenti e futuri. Anche quelli che in apparenza non hanno responsabili: perché l’egoismo, la disinformazione, la pigrizia, possono essere assassini ancora peggiori di un carnefice armato. La memoria è necessaria: non è sufficiente. Quel che resta ancora da fare, è uscire dal cerchio stregato della complicità passiva e incosciente, disinformata e incurante, ai massacri di oggi.

Franco Cardini
Fonte: http://www.francocardini.net/

LETTERE & INTERVENTI




Contesto: “Nel cuore nessuna croce manca”
Trento Palazzo della Regione 31 Gennaio - 14 Febbraio 2010,
Memoriale degli undicimilaquattrocento caduti Trentini della I^ Guerra Mondiale.


7 Febbraio 2010 - 9.00 - 18.00
“Il giorno dei Nomi: lettura pubblica dei nomi degli 11.400 caduti trentini”.


Domenica 7 Febbraio 2010 mi sono recato con mia moglie all’evento suddetto, vista la passione per questo periodo storico che ci accompagna da sempre.
Dopo la visita della mostra fotografica e la visione di filmati storici sulla Grande Guerra, ci siamo avvicinati alla sala principale dove avveniva la lettura dei nomi delle vittime da parte di Sindaci o membri delle Amministrazioni Comunali di tutto il Trentino.
Giunto il momento della Val di Fiemme, dopo Capriana, Carano, Castello, Cavalese, e Predazzo (con tanto di gonfalone di rappresentanza) è giunta la volta di Tesero: momento di imbarazzo, nessun membro dell’Amministrazione, né tantomeno il nostro Primo Cittadino, si è presentato per la lettura.
Il Signor Igor Gilmozzi, appassionato, vista la grave mancanza si è gentilmente prestato per portare a termine il compito ma…
c’è un ma…
nelle sue mani è giunto solamente uno dei due fogli sui quali erano stesi i nomi, dalla A alla M, mentre il secondo foglio…beh…sarà ancora sepolto su qualche scrivania del comune di Tesero.
Va aggiunto che la consegna dei fogli è avvenuta più di due mesi fa.
Ci siamo enormemente vergognati come censiti e come parenti delle vittime: 98 padri, figli, uomini che hanno perso la vita per una causa che spesso nemmeno condividevano.
Semplicemente richiamati alle armi e partiti… per non tornare mai più.

Zanon Franco
Mich Maria Teresa

07/02/10

UNA RISATA CI SEPPELLIRA' - PSICOPATOLOGIA DELLA BARZELLETTA AI TEMPI DI BERLUSCONI


Anche una risata può renderci complici.
Sta tutta in questa constatazione la costruzione dello “stile” politico - se così si può definire - di Silvio Berlusconi, basato su una straordinaria capacità di deviare l’attenzione da quella che è ormai divenuta chiaramente un’occupazione del potere a fini personali. Lo strumento principale di questa strategia è naturalmente l’impressionante potenza di fuoco mediatica concentrata nelle sue mani, nutrita ad arte dalle sue intemperanze verbali, dalle sue battute misogine e razziste, dalle sue gaffes. Ma la battuta da bar, Berlusconi lo ha capito benissimo, ha anche un’altra funzione: quella di restituire legittimità a discorsi, pensieri e modi di interpretare il mondo che la grande stagione dei movimenti - femministi, per i diritti civili, gay, in generale democratici - degli anni ‘60-’70 aveva messo all’angolo. Così quando il presidente del consiglio racconta barzellette sull’Olocausto o definisce “abbronzato” Obama, ogni volta è una barriera che cade: se lui può dire queste cose, allora tutti sono legittimati a farlo. Lo scrive bene Daniele Luttazzi su Megachip: “Il potere è sovraumano in quanto disumano. Ti illude che, unendoti a lui, diventerai predatore: ecco spiegati i sondaggi sulla popolarità del premier. E tu, non ridi alle sue barzellette?” Sigmund Freud dedicò alla battuta addirittura un saggio (Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio) oggi di scottante attualità: secondo il padre della psicanalisi il contenuto inconscio della barzelletta è sempre di natura sessuale e può essere di due tipi, ostile e ingenuo.Nel motto ostile, che contraddistingue l’umorismo berlusconiano, l’attacco fisico e brutale viene sostituito dall’invettiva verbale che rende spregevole la persona o l’istituzione che si vuole ferire. In tal caso l’ascoltatore (i cittadini italiani...), viene trascinato a condividere l’aggressività di chi crea la battuta nei confronti della terza, sospendendo quindi con le sue risa la repressione sociale, solitamente tesa ad inibire gli impulsi ostili (
http://www.parodos.it/). Un campo particolare nel quale il premier eccelle è quello dell’umorismo sul genere femminile. Illuminanti le sue parole sullo stupro, con le quali lega la violenza sessuale alla bellezza, colpevolizzando le donne: “Dovremmo avere tanti soldati quante sono le belle ragazze italiane, credo che non ce la faremmo mai...”. Purtroppo il Gino Bramieri di Arcore trova, nel nostro paese, terreno fertile: con le sue battute sessiste egli innesca un circolo vizioso che esalta la logica tutta maschile del branco, finalmente libero di dire quello che gli passa per le parti basse, dopo 40 anni di castrante femminismo. Per Berlusconi la barzelletta - sia essa a sfondo razziale, antisemita o misogino - è prima di tutto uno strumento ideologico che gli permette di mettersi in relazione diretta con il “popolo”, accarezzando i suoi pensieri più reconditi e impresentabili. Cosa tanto più grave se si pensa che recenti studi hanno mostrato un legame tra battuta sessista e maggior tolleranza a episodi di violenza sulle donne: è il caso per esempio di un lavoro compiuto dall’università di Granada o di quello svolto nel 2002 dall’Università del Massachusetts. E anche in Trentino, secondo i dati presentati recentemente dal Centro Antiviolenza di Trento, la violenza sulle donne è in aumento: sono state 193 quelle accolte per motivi di violenza nel 2008, per il 70% con una vita all’apparenza tranquilla, con un lavoro o una pensione, violentate da maschi a loro volta “insospettabili” (il 49% dei quali esercita professioni “qualificate”). E chissà quante sono le violenze non denunciate...In fin dei conti siamo di fronte a due modelli culturali tra i quali si tratta di scegliere, contrapposti quanto queste due barzellette:
Dio:
“Eva, non ti farò intelligente come l’uomo, ma tra le gambe ti metterò qualcosa con cui potrai guadagnarti da vivere.”
Dio: “Adamo, farò a te e ad Eva un regalo a testa: uno di voi avrà il cervello, l’altro avrà la capacità di fare pipì in piedi. Puoi scegliere per primo.”
Qual’é la discriminante - si chiede “cain1986” su www.forum.giovani.it dopo aver riportato queste due storielle - che definisce chi ride per una battuta o per l’altra? “Il sesso di appartenenza”, risponde. “Gli uomini non ridono delle battute delle donne, per lo stesso identico motivo per cui non le votano. Perché sono donne.” Attenti, dunque, perché il nemico è dentro di noi: anche quando facciamo battute vagamente misogine al bar, tra amici insospettabili, il nemico ci ascolta, e sorride...

Mattia Pelli – Questotrentino 11/2009

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

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