18/04/09

D COME DIO, D COME DENARO


Il mondo è zeppo di Cattedrali nel deserto. Questo lo sappiamo: invece la più banale mano tesa, l’aiuto provvidenziale, la solidarietà, il mutuo soccorso navigano con le pezze al culo, in luoghi squallidi e con budget che non potrebbero essere più tirati di una cinghia sadomaso. Per far arrivare a stento 5 minuti di dignità al genere umano si fanno salti mortali con “munifiche” donazioni che in realtà non bastano a comprare neanche la seconda piscina di chi le ha dispensate. La beneficenza è spesso semplicemente il modo di impiegare il denaro che avanza, di riciclare gli avanzi del piatto di lussuose inimmaginabili mense globali in cerca di sconti sul fisco. L’altruismo è assorbito da meccanismi ed imperi che non operano diversamente da un slot machine nella quale vincesse solo il barista. Stiamo esagerando? Immaginiamo invece il modesto girone del volontariato vero, come quello ove gli occhi si consumano alla luce di fioche lampadine, le mani si incalliscono, le vite si versano nel profondo calice dell’altruismo, mentre mantelli vengono tagliati in due, divani letto aperti per più di tre giorni, tavole apparecchiate divengono strette, stipendi da fame vengono allungati, anche se non funziona lo stratagemma delle nozze di Cana...chissà, forse a volte è così. Ma mentre il Mondo spreca, il Capitale si lamenta e sciala, il Papa che fa? Predica contro la povertà. Così scrive nel Messaggio dell’8 dicembre 2008: “rivolgo pertanto all’inizio di un nuovo anno il caldo invito ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro soccorso”. E aggiunge, citando Leone XIII che: “Fedele a quest’invito del suo Signore, la Comunità cristiana non mancherà pertanto di assicurare all’intera famiglia umana il proprio sostegno negli slanci di solidarietà creativa non solo per elargire il superfluo, ma soprattutto per cambiare – gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società.” Vediamo quindi di verificare queste impegnative affermazioni, aiutandoci dati alla mano, anche con citazioni e motti della dottrina cattolica. Verifichiamo se effettivamente la Chiesa cattolica operi come dichiarato, e a quanto ammonti il suo “superfluo”. Capiremo così meglio che per Ratzinger il termine “solidarietà creativa” ha un significato simile a quello di “finanza creativa”, quello cui accennavamo: dare agli altri poco e possibilmente cose altrui.
“Là dove è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”
Scrive Curzio Maltese nella sua recente inchiesta per La Repubblica: "La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all’interno delle mura vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da Niccolò V, con mura spesse nove metri alla base. Si entra attraverso una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il presidio delle guardie svizzere notte e giorno ne segnala l’importanza. All’interno si trovano una grande sala di computer, un solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna dell’ago passano immense e spesso oscure fortune. Le stime più prudenti calcolano 5 miliardi di euro di depositi. La banca vaticana offre ai correntisti, fra i quali come ha ammesso una volta il presidente Angelo Caloia “qualcuno ha avuto problemi con la giustizia", rendimenti superiori ai migliori hedge fund e un vantaggio inestimabile: la totale segretezza. Più impermeabile ai controlli delle isole Cayman, più riservato delle banche svizzere, l’istituto vaticano è un vero paradiso (fiscale) in terra. Un libretto d’assegni con la sigla Ior non esiste. Tutti i depositi e i passaggi di danaro avvengono con bonifici, in contanti o in lingotti d’oro. Nessuna traccia.” Il vice di Caloia è Virgil Dechant il cavaliere supremo dei Knights of Columbus, l’ordine cattolico che gestisce negli Usa un fondo assicurativo da 47 miliardi di dollari. La banca dell’Istituto per le Opere Religiose offre ai suoi correntisti il 12% di tasso d’interesse, ed è attualmente amministrata, oltre che da Angelo Caloia, da una rosa di consulenti che riunisce assieme il fior fiore del potentato industriale e finanziario europeo. Le sorti dello Ior, ora in mani laiche, sono però sempre supervisionate dalla Commissione cardinalizia di vigilanza, istituita dopo la forzosa cacciata del cardinal Marcinkus dai suoi vertici. È grazie alla obbedienza della diocesi giamaicana di Kingston che la diocesi delle isole Cayman, paradiso fiscale di molti evasori tra cui Callisto Tanzi, è stata scorporata “missio sui iuris”, per essere retta dal Vaticano tramite il cardinale Adam Josep Maida, membro del collegio dello Ior.
Il girone degli spilorci
“Questi fuor cherci, che non han coperchio piloso al capo, e papi e cardinali, in cui usa avarizia il suo soperchio”. (Inferno, cerchio IV, gli avari e i prodighi). Continua Curzio Maltese: “Da vent’anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo Ior è un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 406 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni di dollari dovuti secondo l’allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l’avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un killer della mafia venuto dall’America davanti al portone di casa”. Non solo, quindi, affari miliardari ma anche la prolungata abitudine di lasciare debiti e di rovinare economie altrui... sembrerebbe un thriller, si tratta invece dell’ordinaria gestione del patrimonio bancario del Vaticano, il quale, contraddicendo da sempre le parole papali, è investito in fondi che sembrano costruiti apposta sia per il riciclaggio di denaro sia per il finanziamento di tutta quella economia che di etico non ha proprio nulla, anzi. Che ciò dipenda dal fatto che sgranare il rosario è così simile al contare banconote? Che sia dovuto al fatto che i caveau segreti ed ordinati delle banche somigliano così tanto alle sacrestie, coi loro riti, il loro dare e avere? Oppure la forte quasi mistica fascinazione per il flusso del denaro è un sortilegio attribuibile alla sublimazione dell’eros?
“Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo”
Certo, quel “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” cozza contro una realtà ben differente, che ha a che fare anche con una spiccata tendenza all’omertà, forse in ossequio al comandamento di non fare falsa testimonianza. Curzio Maltese ci riassume così due degli episodi notevoli della odissea vaticana nel mondo delle Procure: “Nell’ottobre ‘93, in piena inchiesta Tangentopoli, il procuratore Francesco Saverio Borrelli telefona al presidente dello Ior per riferirgli che la madre di tutte le tangenti Enimont di 108 miliardi è transitata su un conto Ior intestato a Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi, condannato a 3 anni e 4 mesi per questo scandalo e rispuntato nell’inchiesta “Why not” di Luigi De Magistris.” Alla richiesta di accedere alle informazioni lo Ior risponde: “Ogni testimonianza è sottoposta a richiesta di rogatoria internazionale”. I magistrati milanesi valutano l’ipotesi ma lo Ior non ha sportelli in Italia, non emette assegni e come ente fondante del Vaticano è protetto dal Concordato. Qualunque richiesta deve partire dal ministero degli esteri. Il pool si ritira accontentandosi della spiegazione ufficiale. A metà degli anni ‘90, processo per mafia a Marcello Dell’Utri, in videoconferenza dagli Usa il pentito Francesco Marino Mannoia dice che Licio Gelli investiva soldi di Totò Riina e dei clan corleonesi nel Vaticano in cambio di investimenti e discrezione. Si trattava di profitti derivanti dalle raffinerie di eroina della Sicilia occidentale. I boss siciliani si risentono di fronte a Karol Wojtyla che scomunica i mafiosi durante una sua visita in Sicilia, ecco il motivo per cui esplodono 2 bombe davanti a 2 chiese romane. Mannoia è il più attendibile collaboratore di giustizia, ogni sua affermazione trova riscontri oggettivi, ma sullo Ior niente indagini.I magistrati del processo a Dell’Utri e al gruppo Berlusconi passano il tutto ai colleghi del processo Andreotti che, memori del tempo perso dal collega Borrelli, evitano di inoltrare rogatoria”. Antonio Fazio, Cesare Geronzi, Luciano Moggi, Giampiero Fiorani, nomi eccellenti di personaggi sui quali mai potrà essere fatta chiarezza perché le radici dei loro affari affondano nel cuore di Roma, nella banca del Vaticano.
“Amerai il prossimo tuo come te stesso”
“Le ricchezze realizzano la loro funzione di servizio all’uomo quando sono destinate a produrre benefici per gli altri e la società: – Come potremmo fare del bene al prossimo – si chiede Clemente Alessandrino – se tutti non possedessero nulla?”. Eppure il prossimo bisognoso non è il principale destinatario delle ricchezze raccolte con il meccanismo dell’otto per mille Irpef: sembra che la Cei infatti, nel suddividerne i proventi, sia più attenta a rispettare un altro “comandamento”, quello prescritto dal Diritto canonico: “I fedeli hanno l’obbligo di sovvenire alle necessità materiali della Chiesa, ciascuno in base alle proprie possibilità”. Recita infatti il documento CEI per l’anno 2008: “la somma relativa all’8 per mille IRPEF che lo Stato è tenuto a versare alla CEI nel corso dell’anno 2008 risulta pari a € 1.002.513.715,31 (€ 74.149.420,94 a titolo di conguaglio per l’anno 2005 e €928.364.294,37 a titolo di anticipo dell’anno 2008)”, di questi fondi solo 205 milioni sono destinati alle diocesi per gli interventi caritativi, cioè poco più di un quinto. Il resto è suddiviso tra fondo per gli stipendi al clero (che comunque usufruisce di molti altri introiti statali, tra i quali anche quello per l’insegnamento della religione nella scuola pubblica), edilizia di culto, esigenze pastorali, fondo per la Catechesi, Tribunali ecclesiastici eccetera.
“Non desiderare la casa del tuo prossimo”
L’inchiesta “San Mattone”, pubblicata su Il mondo, maggio 2007, ha riassunto la situazione immobiliare della Chiesa cattolica in Italia, realtà che aveva scandalizzato i più soprattutto dopo la decisione del governo Berlusconi, nel 2005, di praticare l’esenzione totale dell’Ici sia ai beni ecclesiastici dedicati al culto ed alla vita religiosa che a quelli commerciali. “All’ incirca il 20-22% del patrimonio immobiliare italiano fa capo alla Chiesa. Un quarto di Roma è intestato a diocesi, congregazioni religiose, enti e società del Vaticano. Solo le proprietà che fanno capo a Propaganda Fide (il “ministero degli Esteri” del Vaticano che coordina l’ attività delle missioni nel mondo) ammontano a 8 – 9 miliardi. Negli ultimi due anni il Vaticano ha cominciato a fare trading immobiliare, vendendo beni per quasi 50 milioni. Nel 2006 a Roma si sono registrate più di 8 mila donazioni di beni immobiliari, in provincia sono state 3.200. Il doppio rispetto a una città come Milano. Il più grande intermediario immobiliare che lavora con la Chiesa, il gruppo Re spa, realizza da questa attività circa 30 milioni di fatturato.” L’inchiesta continua spiegando come il tristemente noto immobiliarista Stefano Ricucci abbia avuto la fortuna di fare affari con il Vaticano, e precisamente con l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa) vendendo immobili che sulla carta erano dichiarati poverissimi, e che potevano essere trasformati in prestigiosi alberghi e lussuose residenze nel cuore della città. Nel suo rapporto annuale 2008 la Santa Sede scriveva: “Il settore immobiliare ha ottenuto un risultato positivo netto di 36,3 milioni di euro, superiore a quello registrato nel 2006 che si attestò a 32,3 milioni di euro. L’incremento in termini assoluti è di 4 milioni di euro, imputabile sia al maggior gettito delle locazioni, sia alle plusvalenze realizzate per la vendita di alcuni cespiti immobiliari. In aumento anche le spese dirette su immobili a reddito che da 15,4 milioni passano a 18,2 milioni di euro, con un aumento del 18%. In sostanza l’aumento globale dei ricavi ha permesso di sostenere gli oneri per la manutenzione e l’ammodernamento degli immobili a reddito”.
“Il distacco dalle ricchezze è indispensabile per entrare nel Regno dei Cieli”
Un altro interessante capitolo delle ricchezze della Chiesa consiste non tanto nei tesori d’arte sparsi nei luoghi di culto ma nell’oro. Nella quantità smodata di oro e gioielli conservata in San Pietro. Si tratta di 3000 chili di oro e 30mila di argento, così quantificati dall’archeologo Rodolfo Lanciani che spiega, per un servizio su La Repubblica del giugno 2006, come il loro valore sia incalcolabile e come tra di essi ci siano doni e gioielli indossati dai papi, come l’anello di Sisto IV, in bronzo dorato con cristallo di rocca di dimensioni eccezionali. La predilezione dei papi per anelli, croci, e, come direbbe Calderoli, palandrane decorate con pietre preziose, esiste da sempre e tutt’ora è in auge. Anche se di recente proprio Papa Ratzinger è stato protagonista di un increscioso e per molti versi simbolico fatto, la caduta in terra dell’anello in oro massiccio, di considerevole peso, detto “Anello del Pescatore”, il 13 gennaio 2008, nella Cappella Sistina durante la celebrazione della Messa col nuovo cerimoniale che prevede le spalle ai fedeli per l’officiante. Ma non si è trattato di un “distacco” volontario. Vi sono poi altre ricchezze, nei garage vaticani, che rappresentano un amore per gli status symbol che pare un pochino eccessivo per chi in continuazione predica la frugalità e l’astinenza dal fenomeno del consumismo sfrenato, nell’ottobre 2006 una cerimonia tenutasi in Vaticano con la partecipazione del presidente del gruppo Volkswagen attraeva sguardi o perplessi o bramosi: “Di Volkswagen Phaeton in italia non se ne vedono molte. Se poi parliamo della versione non plus ultra, la 6.0 W12, le probabilità di incontrarla per strada sono pari a quelle di vincere il SuperEnalotto. Ebbene, da oggi non sarà più così. Almeno per i cittadini romani... Il Gruppo tedesco ha infatti donato a Papa Benedetto XVI proprio una Phaeton W12, superammiraglia che andrà ad arricchire l’invidiabile parco auto della Sante Sede che solo negli ultimi anni ha ricevuto una Mercedes ML, una BMW X5 e una Volvo XC90.” In fondo mancherebbe solo che il Papa partecipasse al programma di Mtv nel quale attori e cantanti mostrano le loro lussuose residenze ed i loro gioiellini in garage: farebbe sicuramente un bel botto battendo tutti.
Caste ed efficienti per... accudire il Papa
“Fin dai tempi apostolici, ci furono vergini cristiane che, chiamate dal Signore a dedicarsi esclusivamente a Lui in una maggiore libertà di cuore, di corpo e di spirito, hanno preso la decisione, approvata dalla Chiesa, di vivere nello stato di verginità – per il Regno dei Cieli –.” Ed eccole, le quattro laiche votate alle faccende negli ampi appartamenti papali in Vaticano, appartengono ai «memores Domini», l’associazione che riunisce laici di Comunione e Liberazione che seguono una vocazione di dedizione totale a Dio nella verginità, obbedienza e povertà, vivendo nel mondo. In quattro provvedono all’appartamento papale, coordinate da una superiora tedesca. Negli appartamenti papali vivono anche il segretario particolare del papa ed il suo secondo segretario. E la cucina è stata totalmente rinnovata nel 2005. Le laiche-colf debbono provvedere a tutte le mansioni compresa la cucina, così povera e frugale! Tra i cibi preferiti da Ratzinger infatti ci sono il pompelmo rosa, noto frutto economico e modesto, mangiato a fette, e la bresaola. Di solito un consommè viennese per primo, un tagliere di salumi stiriani come secondo, un pezzo di sacher torte o uno strudel come dolce e come bevande due immancabili lattine di aranciata. Ma famosi piatti papali sono anche “la pasta al curry, i rigatoni al prosciutto, la pasta al salmone e zucchine, il risotto allo zafferano. Tra i secondi, particolarmente apprezzati sono gli involtini di pollo e gli straccetti con rucola e parmigiano”, oltre ai Tiramisù, soprattutto consumati nei momenti di sconforto, e le crostate. Certo, niente in confronto ai pranzi dei Papi di qualche secolo fa, se si escludono i doni ...gastronomici, come le ottanta bottiglie di birra “Papa Benedetto” inviategli dalla Baviera per festeggiarne il compleanno.
La moda come atto di culto
“La mania della pantofola rossa, come scrisse l’Osservatore Romano, non era altro che questo, una mania che si sarebbe spenta ed era indegna dell’attenzione di uomini consacrati a Dio” (Patricia Highsmith, Sisto VI, il Papa della pantofola rossa). La grande scrittrice e giallista non immaginava certo, scrivendo nel suo “Catastrofi più o meno naturali” il racconto del Papa che si fa male a un piede e si rende contemporaneamente conto di non essere infallibile, di fare una anti-profezia. Proprio il papa più convinto della sua infallibilità, infatti, ha scatenato un mare di critiche scegliendo di indossare scarpette rosse di squisita fattura. “Gli atti di culto non sono rivolti alle immagini considerate in se stesse, ma in quanto servono a raffigurare il Dio incarnato”, così quando Ratzinger si è accinto a modificare un po’ abiti e accessori del suo bagaglio papale, i critici sono stati subito zittiti. Una notizia di agenzia dello scorso anno specifica: “Il Papa non veste Prada, ma Cristo”: è la provocazione dell’Osservatore romano, che annuncia che dal 29 giugno prossimo “cambia il pallio indossato da Benedetto XVI per le solenni celebrazioni liturgiche” e intanto smentisce che le scarpe rosso siano firmate da Prada: “Naturalmente l’attribuzione era falsa” scrive il foglio vaticano per cui “la banalità contemporanea non si è nemmeno accorta che il colore rosso racchiude un nitido significato martiriale”, ma le polemiche sul look papale continuano, anche perché proprio in quei giorni altri dati sull’abbigliamento papale vengono diffusi: “Anche il papa ama vestire alla moda. Durante la sua ultima visita ad Assisi, il pontefice non indossava infatti dei semplici paramenti sacri. Sapete chi li aveva disegnati per lui? Niente di meno che la maison. A realizzare i paramenti sacri è stato il direttore creativo della casa di moda, Guillermo Mariotto, su commissione dei Frati Minori del Sacro Convento della città dove il papa era ospite.” Ma rassicuratevi: vi eviteremo le immagini del calendario Pir..., pardon, Ratzinger 2009: quello in vendita in città del Vaticano al prezzo di 5 euro, e del quale ogni mese può essere staccato e conservato come quadretto, raffigurante il Papa in 12 scatti.


Francesca Palazzi Arduini

15/04/09

CONTO ALLA ROVESCIA


Globalizzazione, esaurimento energetico, poche alternative, mistificazioni, perdita della sovranità monetaria e problemi ambientali: il mondo (e l’Italia) è in ginocchio. Appunti per non farsi incantare. E per non credere in false aspettative.


La fede non è cieca. È visionaria. Soprattutto in questo momento. E avere “fiducia” in un sistema che crolla, una Italia fallita e nessuna possibilità di ripresa, più che un atto di fede è ormai pratica disperata. Tolti i temi religiosi, considerato che in questo caso vogliamo parlare di cose tutt'altro che spirituali, è il caso pertanto di eliminare le credenze di qualsiasi tipo e attenersi ai fatti. Con due premesse, anzi tre. La prima: eliminare i dogmi significa fare tabula rasa di quanti sino a ieri lodavano il mondo nel quale vivevamo e, dopo averci condotto al disastro attuale senza abbozzare la benché minima esegesi o critica, pretendono oggi di essere ascoltati ancora. La seconda: ciò che ci apprestiamo a fare è la realizzazione di un mosaico composto da alcuni punti chiave sui quali riflettere; sui quali lasciamo a chi legge l'onere di trarre conclusioni. Con un suggerimento: razionalità. E ora la terza e ultima premessa: cerchiamo di arrivare a capire la situazione attuale per quella che è e soprattutto a pensare al futuro per quello che verosimilmente potrebbe essere. Non per quello che vorremmo o ci auguriamo che sarà. Va da sé che la cosa implichi realismo assoluto. Ebbene, è - o dovrebbe - essere chiaro ormai a tutti che siamo arrivati al countdown finale. Qualcuno, sappiamo per certo, bollerà quanto andiamo a scrivere come pessimismo cosmico e disfattismo. Non ci interessa. Siamo convinti di fare unicamente opera di puro - e salutare - realismo. Che è quello che serve, a meno di non pendere dalla labbra di personaggi come l'attuale Presidente del Consiglio, che a fronte della situazione intima agli italiani di lavorare di più e di avere fiducia nella ripresa dell'economia. Su quali basi non è dato sapere. Per chi si sottrae alla confusione mediatica, invece, è fin troppo facile mettere a fuoco i motivi per i quali avere fiducia nella ripresa del nostro modello di sviluppo ormai in crisi è non solo un atto, appunto, visionario, ma anche colpevole. Colpevole della propria sorte e di quella degli altri, in primo luogo dei nostri figli e nipoti. Così come è colpevole il silenzio di chi, venuto a conoscenza di dati tanto allarmanti quanto incontrovertibili, si ostina a non diffonderli. E dunque a mantenere la gente nell'ignoranza più totale. C’è l’economia, al centro del nostro modello di sviluppo. E per capirne il tracollo dobbiamo scrutare nei suoi meccanismi. Come se si trattasse della scatola nera di un aereo precipitato. Beninteso, La Voce del Ribelle è contro il nostro sistema di sviluppo in sé. Arrivati al punto in cui siamo non ci si può però esimere dall'entrare nel dettaglio pratico dei motivi per il quale sta crollando. E dei motivi per il quale non risorgerà. Globalizzazione, finaziarizzazione, tessuto industriale, perdita della sovranità monetaria, petrolio ed energie, ecosistema. Tutti ambiti collegati strettamente al fattore economico, come è inevitabile che sia, visto che al centro del nostro sistema di sviluppo, ormai in fase terminale, c’è proprio l’economia. Ed è al suo interno che si deve scrutare, come nella scatola nera di un aereo precipitato, per cercare di capire le cause che hanno portato allo stato attuale. Soprattutto per capire cosa non è lecito aspettarsi - ovvero in cosa è lecito non avere fiducia - al fine di prendere davvero coscienza della situazione. Centriamo il tutto sull'Italia, anche se tutti i temi, strettamente collegati tra loro, fanno parte ormai di una problematica mondiale.
Un sistema auto-divorante Cosa che ci introduce subito al primo tassello del mosaico. Ovvero la globalizzazione. Partiamo da oggi e andiamo rapidamente a ritroso: oggi dobbiamo consumare per poter lavorare. Una volta era il contrario: si lavorava per poter consumare, ovvero per vivere. Non solo: oggi lavoriamo anche per coprire dei debiti di varia natura. La voracità del mercato e della natura intrinseca del sistema stesso ci ha imposto di consumare sempre di più, anche oltre le nostre possibilità. E dunque ricorrendo ai debiti, che sono principalmente di due ordini: economici ed ecologici, o meglio, eco-compatibili. Nella fase attuale ci troviamo nella situazione di chi ha speso molto più di quanto ha guadagnato e ha contratto talmente tanti debiti da non poter spendere nulla di più e anzi, da essere costretto a lavorare come uno schiavo solo per fare fronte ai debiti da saldare. E il conto è salato. Tanto salato da rendere impossibile che si arrivi ad estinguerlo. Non solo: la natura stessa di questo meccanismo, ovvero della ricerca del massimo profitto delle aziende, che si sono preoccupate solo di produrre al minor costo possibile, ha innescato, dalla rivoluzione industriale in poi, una lunghissima serie di reazioni a catena e di effetti collaterali che hanno precipitato la situazione mondiale in una selva di errori, alcuni dei quali irreparabili. Questi non hanno fatto altro che spingere il sistema stesso al collasso al quale ci stiamo rapidamente avvicinando. Ne sono testimonianza, tra le altre cose, i crescenti scontri civili in varie parti del mondo. Troppi nodi sono venuti al pettine. Tutti riconducibili a un unico, madornale errore: sviluppo infinito in uno spazio finito. È irritante, quasi inconcepibile, pensare a come tutto il nostro modello di sviluppo si fondi sulla responsabilità di chi ha basato i propri calcoli (e la sedicente "scienza" economica) su questo errore e ci ha portato allo stato attuale per non aver compreso (o peggio, tenuto nascosto) un assunto da prima elementare: dato uno spazio finito quanto potrà crescere al suo interno un contenuto? Ancora di più è incredibile come si sia potuto nascondere a miliardi di persone una verità tanto elementare. Naturalmente parliamo delle persone che vivono all'interno di questo modello, non già di chi lo subisce sotto forma di guerre e sfruttamento. Soprattutto, è incredibile come una quantità così piccola di persone abbia potuto sprofondare il mondo intero in questo stato. E come tutti si siano fatti docilmente conquistare e ridurre in schiavitù senza ribellarsi. Comprati - letteralmente - da promesse fasulle su un futuro impossibile, elettrodomestici a basso costo e mignotte da teleschermo. Non è un caso che chi invece aveva colto l'assurdo del nostro modello sia stato messo a tacere attraverso l’oblio e l’ostracismo. Che si tratti di intellettuali, politici, scienziati o saggisti, chiunque abbia tentato di far capire l'errore di fondo è stato silenziato per non disturbare i gruppi di potere, i manovratori dei fili, nel raggiungimento del loro intento. Mediante la commistione dei poteri economico-politico e mediatico si è riusciti a sabotare, quasi del tutto, qualsiasi pensiero non conforme. Entrare in possesso, ovvero avere accesso a dati scientifici e prodotti intellettuali fuori dalla logica attuale, pertanto, è stato ed è compito non facile. Preclusi ai più, questi testi fortunatamente filtrano in piccola parte attraverso saggisti, intellettuali, giornalisti ed editori indipendenti - nel senso letterale del termine - e coraggiosi. E attraverso la "luce" che ogni tanto si accende nella mente delle persone. Sopra a tutto, e in particolare oggi, l'esigenza di accedere a tali dati per confermare le proprie intuizioni in seguito agli effetti che viviamo della caduta dell'industrialismo e dell'economicismo, apre nuove possibilità di conoscenza. Che devono essere perseguite. La crisi attuale è esplosa per una congerie di motivi tra loro collegati, e tutti riconducibili all'errore primigenio. Sopra a tutti l'esplosione (dagli effetti non ancora manifestati del tutto) dell'ultimo stadio di questo diabolico dogma, ovvero la finaziarizzazione. Il tentativo di creare ricchezza dal nulla - letterale - e di moltiplicarla esponenzialmente senza considerare gli effetti reali di una speculazione avvenuta su binari virtuali. Ovvero falsi, inesistenti, puro esercizio grafico su fogli di carta. Dai reali, questo sì, effetti devastanti sull'economia e la vita vissuta. Su quest'ultimo punto non è il caso di tornare sopra. A meno di essere totalmente incoscienti si ha oggi una percezione più che nitida dello stato delle cose. Ciò che si fatica ancora a vedere e a mettere in prospettiva, sono invece altri fenomeni collegati, i quali sono poi quelli che dovrebbero indurre a capire perché il richiamo alla fiducia nella ripresa di questo sistema dovrebbe essere considerato come un crimine contro l'umanità. Il nostro sistema si basa sullo sfruttamento. Di risorse umane e naturali. E produce dei "rifiuti". Umani e naturali. I quali sono arrivati oggi a dei punti di non ritorno.
Energia? Esaurita È iniziato il conto alla rovescia riguardo l'energia. Il petrolio, materia prima che ha permesso l'espansione del capitalismo industriale, sta finendo. Malgrado le poche scoperte annuali di nuovi giacimenti, e malgrado le guerre di conquista dei territori che ne contengono in maggiore misura, la curva di produttività sta rapidamente scemando. Stiamo raggiungendo, peraltro, la curva di rendimento. In parole molto semplici: tra poco per ogni barile di petrolio estratto dovremo impiegarne un altro per estrarlo. Mentre è facilmente comprensibile - o dovrebbe esserlo - capire cosa questo comporti a livello globale, altrettanto non si può dire di chi si ostina a credere a fonti di energia alternative. Qualcuno ipotizza di iniziare a depredare nuovi giacimenti di carbone. Qualcuno sostiene il nucleare. Qualcuno addirittura l'idrogeno. Partiamo da quest'ultimo. Prima mistificazione: l'idrogeno è una fonte di energia. Sbagliato. L'idrogeno è un vettore di energia. È un elemento che non esiste allo stato naturale. Per procurasi l'idrogeno si deve ricorrere ad altre fonti di energia. Vero è che una volta bruciato (calore o conversione energetica) si produce come scoria solo innocuo vapore acqueo, ma il problema è a monte: per estrarlo e lavorarlo si devono usare processi chimici ed elettrolisi. E dunque elettricità. E siamo da capo. L'energia necessaria per produrlo è superiore a quella che si ottiene a processo finito. Rispetto alle energie alternative è in corso una seconda farsa: non si tratta di alternative ma di derivative. Senza considerare il punto cruciale ulteriore, che ci porta dritti e rapidamente a un altro aspetto. Le scorie, i rifiuti. È iniziato il conto alla rovescia per il nostro pianeta. E sempre per effetto del vizio originario. Le scorie che produciamo non si eliminano, ma si accumulano. I materiali che estraiamo e i sistemi con i quali deprediamo il pianeta non sono infiniti. Stanno finendo. Ma mentre per il secondo punto le conseguenze non sono ancora arrivate al punto zero, per il primo abbiamo già compromesso molto di ciò che avevano a disposizione. Ciò che bruciamo finisce nell'atmosfera, nei nostri polmoni, nel cibo che mangiamo, nell'acqua che beviamo, nei mari. L'era dell'automobile è finita. Solo in un mondo folle si poteva pensare che fosse normale passare due ore al giorno nel traffico per andare al lavoro senza che questo aspetto avesse un impatto psicologico sulla qualità della vita e uno fisico sull'inquinamento. La via d'uscita non è quella di trovare una nuova fonte di energia, con gli inceneritori (solo nel nostro paese, pelosamente, vengono chiamati termovalorizzatori che non valorizzano proprio nulla, ma semplicemente inceneriscono i rifiuti per volatilizzarli nei nostri polmoni e nel terreno che coltiviamo e sul quale alleviamo). E non è nemmeno nel nucleare, che è una tecnologia incompleta, visto che produce scorie dannosissime per le quali ancora oggi non è stato trovato un sistema di smaltimento sicuro e definitivo oltre al problema dell’uranio, che anch’esso, prima o poi finirà. Stesso dicasi per altri fonti energetiche che bruciano qualcosa (carbone, legno...) e che immettono nell’aria altri rifiuti. L'unica prospettiva realistica pertanto è quella di consumare meno energia. Ovvero di usare quella che non produce scorie (sole, vento) ma a patto di tenere bene a mente che questo tipo di energia non sarà mai sufficiente a mantenere il consumo attuale. Il che significa averne a disposizione molta meno di quella che abbiamo utilizzato sino a ora depredando la terra, inquinando le nostre vite e modificando il nostro pianeta. Dunque, si tratterà di cambiare sensibilmente il proprio stile di vita. E di fare i conti con chi, pur di non modificarlo, continuerà a uccidere la terra e il futuro dei propri figli.
“Tessuto industriale”. Per cosa? È iniziato il conto alla rovescia, peraltro, del tessuto industriale, soprattutto di quello invischiato nel gioco globale. E non solo per i motivi energetici che abbiamo visto. Ma anche per altri due motivi: da una parte il fatto che la merce ha saturato le umane possibilità di accumulo e acquisto; dall'altra parte per il fatto che il nostro Paese, perdendo posti di lavoro in seguito alla delocalizzazione delle aziende verso mercati con un costo del lavoro più basso e nessuna regola contrattuale, non è più in grado di consumare, né di fare debiti per continuare a farlo. Con una popolazione impoverita, fiaccata da precariato e disoccupazione, schiacciata dai debiti già contratti e senza possibilità di farne altri, come si può sperare in una ripresa industriale? L'errore delle aziende è stato proprio quello di non comprendere che la delocalizzazione ha permesso sì a loro di ridurre i costi e massimizzare i profitti sul breve termine, ma allo stesso tempo ha ridotto le possibilità di acquisto (ovvero il denaro che i lavoratori erano in grado di spendere dopo averlo guadagnato) di chi poi avrebbe dovuto comperare. Produrre altrove e ridurre la forza lavoro in Italia ha contribuito a bloccare il circuito, falcidiando la capacità di acquisto proprio nello stesso luogo in cui la merce prodotta altrove tornava per essere venduta. Senza considerare la provenienza indiscriminata di altri prodotti da parte di altri Paesi (vedi la Cina), a costo ancora più basso. Con lo sfruttamento assoluto del presente si è finito col bruciare tutto il futuro possibile. Ora, realisticamente, con una popolazione impoverita, fiaccata dal precariato e dalla disoccupazione, con debiti economici già contratti e dunque nessuna possibilità di acquisto, come è possibile sperare in una ripresa del tessuto industriale? Chi comprerà cosa? E con quali soldi?
Stato italiano: economicamente fallito È iniziato il conto alla rovescia per lo Stato italiano nel suo insieme. E la causa principale ha la data di un evento preciso: quello della perdita della sovranità monetaria. Aspetto economico e politico al tempo stesso. Molti ancora non si rendono conto di questo meccanismo. Il che non è strano, considerata la difficoltà dell'argomento. Lo approfondiremo in altra circostanza, ma ora in un periodo o due cerchiamo di impostare il tema. Logica vorrebbe che uno Stato sovrano fosse padrone della propria moneta. Cioè che i cittadini italiani stessi fossero padroni della propria moneta. Ovvero che un istituto statale preposto alla cosa stampasse moneta secondo le esigenze interne e, soprattutto, in base a un controvalore certo. La Banca d'Italia, in teoria, dovrebbe essere questo organismo. E molti ancora oggi credono che sia così. Accade invece una cosa assurda: la Banca d'Italia non è un organismo statale, ovvero degli italiani. La Banca d'Italia è un istituto privato - ovvero posseduto da pochi privati - nella fattispecie una Spa, per giunta controllata da altre banche anch'esse private (come IntesaSanPaolo, Unicredit e Capitalia) le quali hanno, come in tutte le società per azioni, il solo scopo di guadagnare (ancora: guadagno privato). Dunque di non servire a una funzione pubblica. Ancora, e più importante: la moneta attualmente in circolazione nel nostro Paese non è nostra. Ma ci è stata prestata. Da chi? Dalla Banca Centrale Europea. La cosa è evidente: se il popolo è sovrano - la nostra Costituzione questo dice... - perché mai dovrebbe essere costretto a chiedere in prestito la moneta? In prestito si chiede una cosa che non è propria. Appunto. Inoltre, ed ecco che il cerchio si chiude, come tutte le cose in prestito, anche la moneta si deve rendere. Con un interesse. Ergo, la moneta che la Bce - attenzione: banca privata anch'essa, ovvero posseduta da pochi privati - è stata "autorizzata" a stampare e far circolare nella Unione europea e della quale ha monopolio assoluto (ovvero è l'unica moneta accettata legalmente) viene prestata allo Stato italiano. Il quale la deve rendere con un interesse. Come avviene la cosa? Lo Stato italiano ha bisogno di denaro; la Bce lo stampa e glielo conferisce dietro l'emissione di titoli di Stato (praticamente delle cambiali) che lo Stato italiano si impegna a onorare, ovvero a pagare, con la maggiorazione di un interesse. A chi? Alla Bce. Ai privati che posseggono la Bce. Una volta che i Titoli di Stato arrivano a scadenza, lo Stato italiano deve onorarli, ovviamente maggiorati dell'interesse. Ebbene, attenzione: gli interessi gravano in misura decisiva sul nostro debito pubblico. Debito pubblico del quale sentiamo parlare in ogni trasmissione televisiva senza avere mai spiegazione in merito ai motivi reali della sua provenienza. E senza che uno straccio di conduttore si premuri, come deontologia professionale vorrebbe, di chiedere al politico di turno di spiegare la cosa. Riepiloghiamo: un gruppo di soggetti privati è autorizzato a stampare denaro, lo presta a tutti noi a fronte di un interesse, decide quanto deve darcene e decide a quale tasso darcelo. E attenzione: i conti dell'Italia sarebbero a posto. Il bilancio primario del nostro Paese, ovvero la differenza tra le entrate tributarie e le spese dello Stato (stipendi dipendenti pubblici, servizi eccetera) è ampiamente superiore allo zero. Il che significa che è in attivo, non fosse che per quanto abbiamo detto. Come mai allora abbiamo uno dei più alti debiti pubblici del mondo? Tirate voi le somme. La domanda alla quale rispondere per leggere un po' il futuro è dunque la seguente: visto che attualmente lo Stato italiano non riesce a pagare non solo gli interessi, ma neanche gli interessi sugli interessi, e vista la situazione produttiva del nostro Paese, la perdita dei posti di lavoro e la impossibile speranza di vederli ricomparire secondo il sistema di sviluppo precedente alla crisi, quale possibilità razionale c'è anche solo di ipotizzare il sistema con il quale pagare tali debiti. E quando? Basteranno i nostri figli? O i figli dei figli dei nostri figli?
Fiducia in cosa, dunque? Sapete cosa può - temporaneamente - fare finta di salvarci? Un'altra bolla. Un'altra speculazione. Un altro spostamento in là dei nodi attualmente al pettine. Il mercato, i padroni del vapore faranno di tutto per inventarsela. E i media ufficiali, che ai signori sono collegati, faranno di tutto per non raccontare le cose come stanno e per coprire per l'ennesima volta lo stupro sistematico dei cittadini.Aspettare una nuova bolla - sia pure senza considerare quanto abbiamo detto in merito al petrolio, all'energia e ai problemi ecologici dietro l'angolo - equivale però a dire che non si tratta di un salvataggio. Ma di uno spostamento nel tempo dello schianto. Una dilazione che non farebbe altro che peggiorare la situazione, peraltro. Caricando le generazioni - attenzione: non quelle che sopravverranno tra qualche secolo, ma già quella attuale e quelle immediatamente successive - del conto che nel frattempo si sarà gonfiato ancora di più a dismisura.Cosa aspettarsi? Immaginatelo voi stessi. Con un suggerimento di metodo, però: seguite la logica e il ragionamento. Pensate a cosa può accadere, non a cosa vorreste che accadesse. Tanto meno a cosa ci dicono che accadrà. Insomma, ragionate con la vostra testa e non fatevi abbindolare dai richiami di politica e media: esattamente quei richiami che hanno portato (per molti inconsapevolmente, per altri colpevolmente) allo stato attuale delle cose. La prossima volta proveremo a ipotizzare il momento zero. Perché ci aspetta e va pertanto affrontato. Con forza, onore e dignità. Certo, cambiando sensibilmente le proprie abitudini. Sul prossimo numero proveremo a ipotizzare qualche azione da intraprendere - e da subito - per non farci trovare del tutto impreparati nel momento in cui i processi che abbiamo delineato arriveranno a compimento.

Valerio Lo Monaco

13/04/09

VENERDI' SANTO


Barbara gente che non apprezzi il silenzio,
la tranquillità, il paesaggio.
Barbara gente che odii le piante, che non cogli il valore
della loro presenza benefica.
E della frescura e dei colori e dei profumi che esse ti regalavano
nei meriggi e nelle sere d’estate.
Barbara gente che per la tua ignavia e insensibilità
ben note
hai permesso quest’ultima strage.
Così in un venerdì santo d’aprile
i pubblici vandali hanno di nuovo colpito.
E, vigorosi e sani, nel loro momento di vita migliore,
i tigli sono caduti.
Annichiliti nell’ora del risveglio da motosega comunale selvaggia.
Perché infierire sulle piante di un parco scolastico
e di una pubblica via?
E eliminarne anno dopo anno un paio o tre?
C’è sempre una scusa:
la litania è nota.
Barbara gente che non intuisci quale sia la ragione
di un albero in un piccolo parco.
Non forse abbellire e dare sollievo?
Questo è Tesero.
E la sua barbara gente.
Qualcuno, nel Palazzo,
lavatosene pilatescamente le mani,
avrà assecondato la folla insipiente
che sempre a Gesù preferisce Barabba.
La folla che corre esultante
a raccogliere la ramaglia e il legno appena abbattuti.
Che gioisce per quell’inaspettato (?) colmèl
da caricare gratis sull’ape.
Qualcun altro avrà invece esultato
per quel posto-macchina
che la mattanza, davanti alla casa, ha liberato.
E vicino alla scuola,
l’Innominato
avrà fatto valere il suo peso non ancora del tutto svanito.
E avrà preteso ancora un gesto di riconoscenza.
L’ultimo, forse.
Barbara gente la tua indifferenza fa paura.
Così come la superficialità con cui lasci decidere
della sorte di un segno di civiltà fondamentale.
Così come di tutto ciò che non senti egoisticamente tuo.
Ora è chiaro.
Stava non è stata un caso.
Barbara gente, se fosse per la tua preveggenza,
per la tua sensibilità,
per la tua capacità di imparare la lezione,
per te,
se dipendesse solo da te,
di Stava moriremmo ogni anno.
Barbara gente di Tesero
sei stolta e volgare.
Non apprezzi nulla che non sia la tua vanagloria.


A. Dannati

12/04/09

IL CROLLO DELLA NOSTRA ONNIPOTENZA


Di fronte a tragedie come quella dell’Aquila provo un sentimento di profonda vergogna. Per la mia impotenza. Per la mia inutilità. Penso che se uno non può far nulla di utile farebbe meglio a girare la testa da un’altra parte. E invece guarda la tv. E c’è qualcosa di molto ambiguo, oltre che di morboso, in questo voyeurismo del dolore e della sofferenza altrui. "La sofferenza degli altri fa bene. Questa è la dura sentenza" scrive Nietzsche con la sua spietata lucidità. È un sentimento inconscio, naturalmente, che non esclude affatto una commozione sincera ma la accompagna. È come quando si va ai funerali di un amico. Da una parte c’è un dolore autentico, dall’altra l’inconfessata e inconfessabile soddisfazione, per contrasto, di essere ancora vivi. Eppoi c’è l’ambiguità di un mezzo come quello televisivo. Che per sua natura, trasforma inevitabilmente in spettacolo tutto ciò che tocca e quindi anche il dolore e la sofferenza. E ci specula. Il Tg1, alla fine di un telegiornale pieno di immagini di morte e distruzione, è arrivato a vantarsi, snocciolando compiaciuto, fasce orarie, picchi d’ascolto, degli share ottenuti con le trasmissioni sul terremoto, superiori a quelli della concorrenza. Non so chi abbia potuto suggerire al direttore uscente di quel Telegiornale una tale esibizione, che definire di cattivissimo gusto è poco. Finisce, momentaneamente, la rappresentazione della tragedia e inizia la pubblicità, il mondo virtuale da cui sofferenza e dolore sono esclusi e esistono solo felicità, benessere, le "opportunities", le digestioni facili. Questo mondo virtuale, falso, è già irritante in situazioni normali ma accostato alla realtà della tragedia diventa semplicemente indecente. Io credo che per rispetto dei morti, e soprattutto dei vivi, nel caso di tragedie di questa portata bisognerebbe sospendere la pubblicità per qualche giorno piuttosto che dichiarare "lutti nazionali" che non si è mai capito bene in che cosa consistano. Poi ci sono i rappresentanti delle Istituzioni. Probabilmente è giusto che facciano sentire, anche con la loro presenza fisica, la vicinanza dello Stato, ma pur se animati delle migliori intenzioni è inevitabile che si facciano pubblicità, per quanto involontaria, a spese dei morti. E ci sono gli uomini politici. Dario Franceschini è andato in Abruzzo senza avvertire nessuno, in veste anonima, "per non essere seguito dalle Tv e dalle radio e farsi pubblicità". Ma poi l’ha raccontato in televisione. Un terremoto, in quanto tale, non ammette discussioni. Però penso che la gente farebbe bene a fidarsi di più del proprio istinto e meno della tecnica e dei suoi guru. La gente d’Abruzzo aveva sentito, intuito, che in quei "flussi sismici", dichiarati nella norma, c’era qualcosa che non andava tanto che in un paesino, il giorno prima della scossa avevano fatto una processione per chiedere a Nostro Signore di non far arrivare il terremoto (ciò che è successo dopo la dice lunga su quanto tenga conto delle nostre preghiere). Ma la stragrande maggioranza ha finito per fidarsi dei tecnici. Tranne alcuni, che si sono salvati. Mi ricorda la vicenda del cieco e del suo cane il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle. L’ordine, nei grattacieli in fiamme, era di stare calmi, di non muoversi, che sarebbero presto arrivati i pompieri e i mezzi a risolvere tutto. Ma il cane non sapeva né leggere né scrivere e, tantomeno, aveva orecchie per ascoltare. Fece ciò che l’istinto gli dettava; si precipitò giù dalle scale trascinandosi dietro il cieco, salvandosi e salvando il suo padrone. Anche noi siamo degli animali e dovremmo recuperare almeno un po’ di questa nostra natura oggi troppo sacrificata alla razionalità della tecnica. Infine se la tragedia dell’Aquila ha un senso è di ricordarci la nostra fragilità, di limare la nostra ubris, il delirio di onnipotenza che ci fa credere di poter controllare tutto. Esiste il Caso, che i Greci chiamavano Fato al quale anche gli dei dovevano sottomettersi. Siamo, tutti, sospesi a un filo. E non dovremmo aspettare tragedie come quelle dell’Aquila per ricordarcene.

Massimo Fini

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

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Foto di Sabina

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