27/02/09

NUCLEARE, A RIECCOLO


E così, a villa Madama, tra una barzelletta e un pasticcino, Italia e Francia hanno sancito l’accordo che prevede la realizzazione sinergica (ENEL - EDF) di quattro centrali nucleari nel Belpaese entro il 2020. Del referendum del 1987, che aveva determinato invece la fine dell’era atomica italiana e la chiusura delle centrali allora in attività o in fase di costruzione (Caorso, Trino Vercellese e Latina), è stato fatto carta straccia. Ma sono trascorsi quasi 22 anni. Erano altri tempi e l’Uomo della provvidenza, con le sue bocche da fuoco mediatiche, non aveva ancora annichilito totalmente i cervelli delle genti italiche. Allora gli italiani riuscivano ancora a ragionare…
Dunque cari amici ambientalisti mettiamoci il cuore in pace: le centrali si faranno. Con le buone o con le cattive, si faranno. Velocemente. Sicuramente. Senza problemi. Ce lo dice con piglio deciso il ministro Scajola: senza nucleare l’Italia non ce la farà! Le necessità energetiche del Paese, crisi o non crisi, sono costantemente in aumento. E se ce lo dice lui… Ricordo per gli smemorati che quello stesso Scajola (all’epoca ministro degli Interni), per trasferirsi dalla sua lussuosa villa di Imperia a Roma e viceversa, era riuscito a imporre ad Alitalia, a suo esclusivo servizio, un apposito volo di linea facente scalo all’aeroporto di Albenga! Ergo, se tutti gli italiani, in fatto di consumo energetico, prendessero esempio da questo signore non ce la caveremmo neppure con 100 centrali nucleari. Ma questa è un’altra storia, che però dà un’idea di codesta cosiddetta classe dirigente. Quanto al gran Capo non occorre aggiungere niente, sappiamo già tutto: possiamo soltanto scommettere che le centrali non le farà costruire nelle vicinanze di Villa Certosa in Sardegna, anche se tecnicamente proprio lì la localizzazione sarebbe la migliore possibile. Ma – ci rassicura Scajola – questo non sarà un problema:
ci sarebbero infatti già 34 municipalità pronte ad ospitare, con grande piacere, le nuove centrali. Sarà da credergli? Ma certo!
Le favole italiane sul nucleare non si contano e quella che vorrebbe far credere che con questo combustibile l’Italia finalmente acquisirà autonomia energetica è una delle tante. Cosa vuol dire autonomia energetica? Sapete quanta disponibilità di uranio c’è in Italia? Attualmente noi (cioè l’Enel, che partecipa direttamente e da tempo al nucleare francese) compriamo energia elettrica prodotta col nucleare dalla Francia. La Francia, con alcune decine di centrali atomiche (l’alto numero d’impianti è dovuto all’antica tradizione nuclearista francese di derivazione militare), ha un surplus di produzione che giocoforza deve rivendere. I consumatori italiani, ovviamente, pagano quell’energia ai distributori nazionali da essi acquistata in Francia. Vi sembra scandaloso tutto questo? O non è invece del tutto ovvio? O c’è qualcuno che pensa che la corrente elettrica prodotta direttamente dall’Enel in Italia, per esempio nelle centrali di Cardano o di Santa Massenza, o di Tesero, agli utenti italiani venga regalata? Non credo che alla fine in bolletta la corrente elettrica di una prossima centrale termonucleare italiana ci costerà meno di quanto adesso ci costi acquistandola dalla Francia. Anzi! Considerata la predisposizione predatoria del management italiano e la sua innata vocazione a far la cresta a tutto ciò che pagano i consumatori, alla fine, probabilmente, la luce prodotta dal nucleare italiano risulterà più cara di quella francese importata. Quel che è certo e che ci si guarda bene dal dire è che il nucleare ha dei costi pazzeschi in termini ambientali e di sicurezza (lo abbiamo pubblicato più di una volta su queste pagine), e se sono vere, come sono, le considerazioni appena fatte sopra, meglio, molto meglio, continuare ad acquistare la corrente da chi le centrali già le ha e ne produce in eccedenza. Ci permettiamo quindi di pubblicare qui di seguito un breve dodecalogo. Dodici luoghi comuni, da sfatare, sul nucleare e su altre fonti energetiche che abbiamo ricavato da un libello redatto da due ricercatori del CNR di Bologna. Ve li sottoponiamo tanto perché possiate meditare e ragionare. Non si sa mai che alla fine, prima che venga posata la prima pietra, si rifaccia magari un referendum.

L’Orco

DODICI MITI DA SFATARE

1. L’energia nucleare è necessaria per garantirci una maggiore indipendenza energetica.
I paesi europei non possiedono riserve significative di uranio. Se anche le avessero, e ipotizzando di produrre tutta l’elettricità per via nucleare, avremmo soddisfatto meno di un quarto del nostro fabbisogno energetico negli usi finali. Oltre tre quarti dei nostri consumi attuali sono costituiti infatti da combustibili che non si possono produrre con centrali nucleari.
2. Bisogna ricorrere al nucleare per contrastare il caro-petrolio.
Il petrolio serve principalmente per produrre combustibili liquidi per i trasporti e come prodotto di base per la petrolchimica. L’energia nucleare invece è unicamente elettricità. Le due cose sono totalmente disgiunte: la Francia, che produce il 78% dell’elettricità per via nucleare, consuma più petrolio dell’Italia che – con un numero di abitanti quasi identico – non ha centrali nucleari attive.
3. Siamo costretti a importare energia elettronucleare dalla Francia a prezzi elevati.
L’esigenza non è nostra ma dei francesi. Le centrali nucleari non possono essere accese e spente a piacere e funzionano a ciclo continuo. Di notte, nelle ore di minore domanda, il sistema elettrico francese ha l’esigenza tecnica di smistare elettricità ai Paesi confinanti, Italia inclusa, per garantire la stabilità del proprio sistema. Si tratta di una vendita a basso costo, molto gradita alle società energetiche straniere.
4. Per produrre quantità consistenti di elettricità per via fotovoltaica bisognerebbe coprire tutta l’Italia di pannelli.
Con le tecnologie attuali, lungi dall’essere ottimizzate, la superficie del territorio nazionale da ricoprire per soddisfare l’intero fabbisogno elettrico nazionale sarebbe quella di un quadrato con lato inferiore ai 50 km: 2400 km², un’area estesa quanto la provincia di Piacenza.
5. I biocombustibili sostituiranno benzina e gasolio.
Anche usando bioetanolo da canna di zucchero (il biocombustibile più efficiente ed energicamente oggi disponibile) per sostituire i 18 miliardi di litri di benzina consumati annualmente in Italia servirebbero 50.000 km² di terreno agricolo.ma le auto a benzina sono ormai meno della metà dei vicoli in circolazione e non abbiamo tutta quella superficie agricola a disposizione; anche se l’avessimo, la canna da zucchero non cresce in Italia.
6. Oggi possiamo disporre di tecnologie “a carbone pulito”.
Il carbone pulito è uno slogan commerciale vuoto e ingannevole; il carbone resta la fonte fossile più inquinante tra quelle oggi disponibili. Il sedicente carbone pulito prevede il sconfinamento della CO² nel sottosuolo; ammesso che questa tecnologia possa mai essere disponibile su larga scala, e competitiva dal punto di vista economico, occorreranno ancora due o tre decenni.
7. Le centrali a fissione di nuova generazione e la fusione nucleare risolveranno a breve e definitivamente il problema energetico.
La fattibilità tecnica e la convenienza economica del nucleare di quarta generazione e della fusione nucleare sono ancora da dimostrare. Se queste nuove tecnologie saranno realizzate – il che è messo in dubbio da autorevoli scienziati – i loro stessi sostenitori ne prevedono al commercializzazione fra 30-40 anni. Il nostro problema energetico è purtroppo molto più impellente.
8. L’energia solare non potrà mai soddisfare il fabbisogno energetico dell’umanità.
Lo sterminato flusso di energia elettromagnetica solare è l’unico, in termini quantitativi, che può garantire il soddisfacimento del fabbisogno energetico dell’umanità nel lungo termine. All’energia solare si può aggiungere il contributo dell’energia elettrica del sottosuolo terrestre, anch’esso potenzialmente immenso.
9. Le rottamazioni di auto ed elettrodomestici portano beneficio per l’ambiente.
Questa affermazione può essere vera a livello locale, per esempio quando il risultato è mettere in circolazione auto nuove e meno inquinanti. Ma il bilancio a livello globale, in termini di consumo di energia e di risorse utilizzate per fabbricare i nuovi beni e rottamare quelli vecchi, risulta sostanzialmente negativo.
10. La superficie terrestre galleggia sul petrolio, basta cercarne ancora e lo si troverà.
Un conto è trovare giacimenti di piccole o medie dimensioni, come quelli della Basilicata, un altro trovare giacimenti “supergiganti” di petrolio di buona qualità e a costi di estrazione bassi, come quelli sauditi. Sono questi ultimi a fare la differenza sui mercati mondiali del petrolio. Di giacimenti di questo tipo non se ne trovano più da decenni e c’è un diffuso scetticismo sul fatto che se ne possano trovare ancora. Il tutto a fronte di una domanda che continua ad aumentare sotto la spinta della crescita economica impetuosa di paesi come Cina, India, brasile e Russia.
11. Il metano non inquina.
Il gas naturale è certamente il meno inquinante tra i combustibili fossili, ma anch’esso inquina: la sua combustione con l’ossigeno dell’aria produce ossidi di azoto, particolato ultrafine e anidride carbonica.
12. L’idrogeno è l’energia pulita del futuro.
L’idrogeno non è una fonte di energia primaria ma un vettore energetico, come l’elettricità. Per usarlo bisogna prima produrlo, consumando energia. Estrarlo dall’acqua richiede la stessa quantità di energia che è poi in grado di generare reagendo con l’ossigeno per ridare acqua. Non si può neppure dire che l’idrogeno sia “pulito”: è pulito o sporco a seconda della fonte di energia usata per ottenerlo. L’idrogeno sarà l’energia pulita del futuro soltanto se sarà prodotto utilizzando fonti rinnovabili.

Da Energia per l’astronave Terra – di Armaroli e Balzani – Zanichelli 2008

24/02/09

CORAGGIO CERCASI


C’è un deficit di coraggio. L’anonimo volantino che gira per la valle (e che finalmente oggi siamo riusciti a leggere) è l’ennesima prova della mancanza di attributi del fiero popolo di Fiemme. Cari Fiemmazzi la Chiesa vi ha rovinati. Avete perfettamente assimilato il suo principale insegnamento: lancia il sasso e nascondi la mano. La paura di perderci qualcosa, che incombe sempre sul vostro agire, riduce a meno di niente la valenza del vostro dire. Per cambiare la musica ed essere “credibili” bisogna (ri)metterci la faccia personalmente e a volte rischiare l’ostracismo. Quanti siete? Uno, nessuno o 100.000? Se siete un gruppo, magari addirittura consistente, dovete palesarvi. Non c’è alternativa. Le rivoluzioni si fanno perdendoci del proprio, non restando sottotraccia a costo zero. Affinché il fiume s’ingrossi c’è bisogno di visibilità. Altrimenti come pensate di aggregare altra gente alla causa e quale seguito pretendete di avere? Le vostre considerazioni possono anche essere condivise. La cupola esiste, ma sotto la cupola c’è il resto della basilica in cui si mimetizzano i tanti, più o meno grandi, interessi e privilegi. Pur ammettendo che anche l’esercito delle giacche a vento serva in qualche modo alla cupola per legittimarsi, per agire e garantire i ritorni ai grandi elettori, cioè ai beneficiari ultimi del grande giro di denaro pubblico, la vostra, mi permetto di dire, è un’analisi superficiale e grossolana. I "giaccaventisti" sono poco più che folclore, niente di più. La verità è che la dabbenaggine qui è generalizzata e indotta scientemente: questa è infatti la condizione primaria perché un gruppo di potere possa imperversare a lungo. Il problema non sono “i nostri soldi”. Le considerazioni da fare sono altre. Per esempio, vi siete mai chiesti chi beneficerà realmente dei 16 milioni che i mondiali – si dice – precipiteranno su Predazzo? E, soprattutto, ci avete pensato a quanto territorio verrà sacrificato ancora per agevolare logistica e viabilità? E quanti studi tecnici famelici approfitteranno una volta di più dell’occasione per banchettare sbranando la valle e peggiorandone la vivibilità complessiva? E riuscite a capire quanto sia fondamentale il ruolo dell’informazione, a base di oberkrajner, mitizzazioni fasulle e interviste blasfeme su presepi e pellegrinaggi, in tutto questo? Vi rendete conto di quanto sia strategico il quotidiano lavoro radiofonico prodotto da M.F. e quello dei giornalini locali per creare l’humus ideale in cui anestetizzare le coscienze e permettere alla cupola di prosperare indisturbata? Queste sono le questioni da affrontare se veramente volete che qualcosa cambi. Con l’anonimato purtroppo non si fanno né proseliti né informazione, casomai si stuzzica una superficiale pruriginosa curiosità, perché, come diceva quel tale scrittore americano, “chi non è disposto a correre dei rischi per le sue idee o non vale niente o non valgono niente le sue idee”.
Se ne avete piene la palle e volete tentare di cambiare allora mettetevi in gioco, esercitate per quanto possibile la dialettica democratica, fate circolare le idee, scrivete e pubblicate alla luce del sole, aborrite l’ignavia. Abbiate il coraggio di subire eventualmente anche demonizzazione e isolamento. Ma criticate nel merito le cose che vanno criticate. Se siete nel giusto un po’ alla volta la vostra alienazione si farà meno opprimente e forse un giorno girandovi troverete qualcuno che vi sta seguendo. Gli strumenti ci sono, ma servono strategie intelligenti. Ma prima di tutto, visto che – come dite – le avete piene e perciò pronte all’uso, le palle mettetecele!


L’Orco

22/02/09

IL CAPITALISMO PUO' CAMBIARE DI SEGNO MA NON CAMBIA DI SENSO


La crisi finanziaria ed economica che stiamo subendo mostra tutta la ferocia disumana del capitalismo. Prevista e in un certo senso lasciata fluire ci è piombata addosso con l’intensità metaforica di uno tsunami. Non è dato sapere quanto durerà mentre ci è stato ampiamente annunciato che produrrà una quantità incommensurabile di macerie, creando ancora più povertà di quella già esistente. Non m’intendo di economia e le modestissime riflessioni che posso fare le ricavo leggendo le analisi di chi se ne occupa professionalmente. Ma m’è sorta spontanea una fortissima indignazione nel sentire i telegiornali e leggere le informazioni che quotidianamente riportano da mesi il disastro in cui ci ha trascinato la gestione mondiale della ricchezza da parte di un’oligarchia criminale che sta al vertice del sistema bancario. Ho bisogno di esprimere la rabbia che mi sale per l’ingiustizia e la prepotenza intollerabili che ci sovrastano. Ciò che è chiaro è che il sistema finanziario mondiale è stato diretto verso l’implosione. Una fase prevista da diversi mesi, coccolata e lasciata fluire a vantaggio di logiche e volontà speculative, che ha visto saltare gli equilibri, divenuti incontrollabili, su cui si reggeva il continuo spropositato aumento della ricchezza di chi già era ricco. Dipendendo l’intera economia dagli andamenti finanziari, questo crollo rovinoso non poteva che trascinare l’insieme delle masse umane, sempre appositamente escluse dai lautissimi guadagni finanziario-speculativi, verso condizioni di vita disastrose, non ancora bene quantificabili e definibili perché in progress. Finanza creativa? Insomma, chi non ha perché escluso dalla possibilità di avere, una volta che chi ha accumulando continuamente sulla pelle degli altri va in crisi e fallisce, si trova scaricato sulle proprie spalle il peso maggiore di una crisi di cui non è responsabile e che non ha né cercato né contribuito a creare. È questo il senso tragico, drammatico e profondo del sistema su cui si sorreggono l’andamento delle cose e i destini degli esseri umani nel mondo. Cos’è successo? Da circa due decenni ha preso piede in modo spropositato quella che con un eufemismo viene chiamata “finanza creativa”. Teoricamente sta ad indicare la capacità di trovare soluzioni e ideare manovre finanziarie atte a migliorare situazioni compromesse bisognose di una rapida crescita. Di fatto si muove sul mercato globale, sfuggente quindi ai controlli nazionali, ed usa strumenti altamente sofisticati e carichi di rischi all’insaputa degli investitori che, fiduciosi e inconsapevoli, si trovano così truffati da intermediari ed emittenti. Ogni volta che si affidano alle banche i propri risparmi o i propri fondi pensioni per investimenti o mutui, questi vengono usati in operazioni finanziarie spericolate per aumentare i capitali, secondo la filosofia di fare soldi puramente attraverso i soldi. Imbonito da suadenti offerte dormi sonni tranquilli mentre loro giocano coi guadagni sudati della tua fatica a favore delle banche e a tuo rischio, senza che tu riesca nemmeno a capire come. Ma è stato fatto qualcosa di più. In America in particolare, abbindolando i clienti li si è incentivati a fare debiti al di sopra delle proprie possibilità. Mutui facili, che poi venivano reinvestiti amplificando all’infinito attraverso il gioco dei derivati, così chiamati perché non si reggono su un valore proprio, ma sostanzialmente dipendono da altri titoli, o addirittura da altri derivati. In realtà non sono altro che sofisticati contratti di assicurazione, per cui per ogni banca che si assicura c’è un’altra banca che accetta una scommessa. Tecnicamente l’emittente cede a terzi un credito inesigibile, ovvero realizza un guadagno che serve a coprire perdite precedenti. In pratica si è speculato sul nulla, o quasi, spingendo ignare persone a indebitarsi, facilitando all’inverosimile il credito e facendo finta che ci fosse una montagna di soldi, mentre in realtà nella massima parte era virtuale. Si è seguita la logica assurda per cui l’offerta di un prestito deve creare e ingigantire il bisogno di indebitarsi. Non poteva durare all’infinito. Come suggerisce con arguzia Zygmunt Bauman, vivere a credito dà dipendenza come poche altre droghe, e decenni di abbondante disponibilità di una droga non possono che portare a uno shock e a un trauma quando la disponibilità cessa. A un certo punto il giocattolo s’è rotto mettendo a nudo tutta la sua evanescenza, scaricandosi sulle vite sia di chi si era illuso di dormire sonni tranquilli sia di chi, povero da sempre, non si era mai nemmeno sognato di partecipare al gioco. Com’era prevedibile, e gli esperti superpagati lo sapevano tutti, si è generata una gigantesca bolla speculativa che ha mandato in vacca il fatiscente meccanismo. In questo vortice di aumento monetario continuo attorno a titoli derivati che non si sorreggono su un valore proprio, la corsa costante ad investimenti ha generato un eccesso incontenibile, al punto che sono venuti meno nuovi investitori, non più disposti ad acquistare ulteriori diritti ad un prezzo che nel frattempo era diventato troppo elevato. Come una bomba a orologeria innestata, è scoppiata la bolla: il valore dei titoli è sceso repentinamente e si è assistito a un crollo inarrestabile delle quotazioni, trascinando indiscriminatamente in un baratro senza fondo l’intero sistema. Il castello di carta, la ricchezza virtuale che aveva generato privilegi iperbolici a dirigenti senza scrupoli è svanita in poche ore, intaccando economia produttiva, salari, occupazione. Mentre prima solo pochissimi godevano dei lauti guadagni di questa truffa generalizzata, ora invece paghiamo tutti indistintamente il fallimento della loro ingorda follia. Per avere un’idea di massima della spinta di avidità senza fine verso un accaparramento di ricchezza fatta di qualcosa molto simile ad un’illusione, basti pensare che il mostruoso mercato dei titoli derivati ha raggiunto i 55.000 miliardi di dollari, quattro volte il Pil degli USA. Mercato che nella massima parte dei casi si è svolto al di fuori e al disopra di quello ordinario delle borse. Per capire ancora meglio, si stima che nell’ultimo decennio in America dietro ogni dollaro di aumento del Pil, l’aumento di reddito dell’economia reale, c’erano cinque dollari di crediti. Una montagna di attività finanziarie sovrasta la produzione di cose, di beni e servizi reali. Il Pil nazionale era solo una frazione rispetto alla bolla dei debiti che c’era dietro. Ma il sistema andava a pezzi. Di fronte a questo disastro annunciato, che non era più possibile né frenare né bloccare, vista la mala parata cos’hanno fatto i potenti della terra? Per tentare di correre ai ripari hanno tirato fuori una quantità spropositata di fondi e di capitali, che al contrario sono sempre stati sistematicamente negati per interventi atti ad elevare la qualità sociale. Sono intervenuti gli stati che, usando a discrezione i soldi dei contribuenti, hanno soccorso banche e banchieri per salvare il sistema che andava in pezzi. Per prima l’America, da cui è partito il disastro, ha sganciato 700 miliardi di dollari a favore di Wall Street. Poi l’Europa: sommando i piani nazionali che hanno applicato le direttive del vertice di Parigi si arriva a un costo che in dollari raggiunge i 2400 miliardi, più del triplo di quanto stanziato dagli USA. Una montagna di miliardi gratis per beneficiare i criminali che hanno deciso di affondarci tutti, mentre da decenni non sono disponibili i 30 miliardi che occorrerebbero per risolvere il problema della fame nel mondo. Intanto stiamo entrando in recessione a livello globale. In soldoni significa perdita di posti di lavoro, disoccupazione, aumento della povertà. Intanto i dirigenti bancari responsabili del disastro invece di essere condannati sono stati premiati con liquidazioni da nababbi. Intanto, come ci fa notare Federico Rampini, i contribuenti saranno duramente colpiti quando comincerà ad arrivare il conto in termini di pressione fiscale. Il poderoso aumento dei deficit pubblici per il salvataggio bancario si sovrappone a una congiuntura economica disastrosa e a una recessione che a sua volta deprime le entrate fiscali. Dopo aver dissanguato le casse pubbliche per rimediare agli errori dei banchieri, bisognerà trovare risorse per sostenere la crescita, per alleviare i settori industriali in crisi, per fronteggiare l’aumento dei disoccupati. Lo stato dunque è diventato il salvatore dei mercati, che si pretenderebbero liberi da controlli e da indebite interferenze statali o di chicchessia. A latere di tutta questa vicenda è affiorato anche un abbozzo di dibattito, che sarebbe comico se il tutto non fosse altamente tragico. Da più parti si farfuglia di una rinascita del socialismo, dovuta ai salvifici interventi statali. Povero socialismo! Sorto e pensato come progetto universale per ricondurre la gestione della ricchezza al bene comune delle collettività, viene letteralmente stracciato e ridotto ad interventi statali d’urgenza per salvare e rimettere in piedi il suo contrario, il capitalismo, in specie la sua versione finanziaria globalizzata. Non si tratta di pura ignoranza. Sono convinto che dietro simili assurdità teoriche ci sia malafede, funzionale ad allontanare una seria riflessione sulle possibilità d’un’alternativa vera. Acuta in proposito una riflessione di Ruffolo, che mostra come i beneficiati, invece di starsene buoni grati per ciò che è stato loro regalato senza che se lo meritassero, non abbiano mai abbassato la cresta nonostante il disastro provocato e, mai sazi, continuino a pretendere con grande arroganza. «Il vero pericolo che nasce da questa crisi non è che lo stato divenga padrone del mercato, ma che ne diventi lo schiavo … il tono dell’opinione “liberista” è perentorio: paghi lo stato e paghi subito … si affannano oggi a chiedere allo stato, che finora consideravano non la soluzione, ma il problema, la soluzione del problema. Si affrettano però ad invocare cautela contro ogni tentazione di mettere le mani sui meccanismi “autoregolatori” del mercato.» Alla faccia della rinascita del socialismo! Non condivido neppure quei pochi che, spinti da un ottimismo fuori luogo, hanno intravisto l’inizio di una crisi a tutto campo del capitalismo in quanto tale. Se è vero che questa crisi ha una virulenza particolarmente forte e che, dimostratosi altamente fallace, sembra si sia incrinato il sistema di concentrazione finanziaria consolidato, è però anche vero che da sempre il capitalismo ci sfodera periodicamente crisi capaci di mettere in ginocchio. Si potrebbe dire che vive di esse, che ne ha bisogno per riassestarsi, che attraverso le sue crisi periodiche nel lungo periodo alimenta se stesso. Fragilità e impotenza Sono convinto che l’uragano passerà, l’economia mondiale non sarà travolta e non ci sarà un vero collasso del sistema. Semmai questa volta mi sembra evidenziato che si tratta innanzitutto di una crisi di valori, irrisolvibile a livello strutturale. Ma il capitalismo è ancora troppo forte, soprattutto in assenza di un progetto alternativo anche solo minimamente credibile. Il fatto è che la crisi di valori è insita nella sua natura. Come può modificarsi con valori eticamente validi, come alcuni oggi si augurano, oppure marciare verso un “rientro morale” come auspica Hirsch? Alla base del suo esserci ci sta esclusivamente la tendenza all’arricchimento personale, attraverso il profitto o la rendita, lasciando l’autoregolazione per la diffusione di un benessere comune ad inesistenti “mani invisibili”, quelle di cui si illudeva Smith. Nei fatti il capitalismo imperante dimostra ogni giorno che alimenta soltanto avidità e cupidigia a scapito di qualsiasi altro valore sociale o collettivo. Questa crisi ha ben messo in evidenza tutta la nostra fragilità e la nostra concreta impotenza. Noi che viviamo lavorando con stipendi e salari che ci costringono ad economizzare su ogni cosa. Noi che non riusciamo a trovare un lavoro stabile, stressati dall’incubo di non avere soldi a sufficienza. Noi umili e ultimi della terra, costretti a lottare quotidianamente per una vita un minimo dignitosa e per assicurarci la dovuta sussistenza. Siamo in completa balia del capitalismo, sistema onnivoro e ingordo che si fonda sull’accumulazione personale a danno di tutti gli altri. D’istinto vorrei cercare di sottrarmi il più possibile a questa piovra divoratrice. In assenza di un progetto alternativo credibile mi sento spinto a rispolverare le banche di mutuo soccorso proudhoniane, di proporle aggiornandone senso e contenuto. Sarebbero tendenzialmente luoghi e momenti in cui i subordinati e gli ultimi potrebbero mettere insieme i frutti del loro lavoro, autogestirli direttamente in comune senza più darli alle banche. Ci troveremmo perlomeno riparati dai venti malefici di crisi come questa e avremmo una base reale per difenderci e pensare cosa costruire al loro posto.


Andrea Papi

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

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Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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MINU

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