05/12/08

LA PRIMA DELLA SCALA? ABOLIAMOLA


E fatela saltare, questa benedetta Prima della Scala: chissenefrega. Sul serio, non è una provocazione da eccentrici, siamo in tanti a pensarla così, musicofili e meno: chissenefrega. Salta la Prima? Meglio, ci sarà subito la Seconda, e la Terza, e saranno gli spettacoli veri, strappati al ciarpame mondano, rubati a quell’orrido «teatro nel teatro» dove s’avanza ogni volta la più perfetta cafoneria e ignoranza musicale, e starlette vestite come gianduiotti, e mondani professionali che mostrano le otturazioni ai flash, e gossipare che pensano che Don Carlo sia un capocosca di Gomorra. Non se ne può davvero più di voi «professori» diplomati che vi ergete a interpreti dello spirito per 11 mesi e poi a inizio dicembre diventate dei camalli, e neppure della Cgil, ma della Fials, sindacato di orchestrali e soprattutto di tromboni cui non è chiaro che nel Paese tira un’aria che non è di Bach. Mai stati dei cuor di leone, certi orchestrali e sindacalisti della Scala: spalmati come sogliole e poi d’un tratto rivoluzionari, a tirar sassate, ma sempre ben coperti. Ora invece novità, vi state scannando come negli anni ’70, quando non c’era un direttore d’orchestra che volesse dirigere in Italia, quando le orchestre si andarono via via mediocrizzando grazie all’ipersindacalismo del posto fisso, alla mentalità da orchestra Rai, alle indennità pazzesche, ai benefit a pioggia, agli organici gonfiati che fan costare il doppio compagini che rendono la metà: ma è un altro discorso. All’estero un orchestrale mediocre viene rimpiazzato schioccando le dita, spesso sono direttamente i musicisti a chiedere congedi che lascino spazio ai talenti: in Italia figurarsi, ci sono sezioni dell’orchestra della Scala che hanno fatto pena per anni: ma anche questo è un altro discorso.E allora torniamo al tremillesimo ricatto di un 10 per cento di orchestrali (non di più) ovviamente a ridosso della Prima, come se i calciatori scioperassero a ridosso dei Mondiali, come se non ci fosse già stata una vertenza integrativa che Cgil e Cisl e Uil hanno firmato: macché, gli autonomi della Fials hanno detto che «è dannoso per le masse artistiche», non hanno capito. Non hanno capito, cioè, che hanno veramente rotto. Minaccino quel che vogliono, facciano saltare la Prima: il Paese resisterà stoicamente. Letizia Moratti l’ha anche detto: mica è un servizio essenziale, gli orchestrali non si possono neppure precettare. Scioperate, forza: la Fondazione perderà un paio di milioni e saranno problemi anche vostri, perché senza pareggio di bilancio il vostri stipendi rimarranno inchiodati, e chissà mai che la Fondazione non rinunci davvero al rinnovo della convenzione con la Filarmonica (che è la seconda orchestra della Scala, ma con gli stessi musicisti, così da raddoppiarvi lo stipendio) o chissà mai che non riesca semplicemente a sostituirvi, uno per uno. Dài, scioperate, che non ce ne frega niente, e altro non fareste che danneggiare voi stessi. Oltreché, forse, Valeria Marini.

Filippo Facci

02/12/08

ALFABETIZZARE AI MEDIA: LO “SCHERMO UNIVERSALE” SFIDA LA DEMOCRAZIA


La singolarità della nostra situazione è definita dal fatto che gli sviluppi delle tecnologie della comunicazione hanno già prodotto una regressione collettiva umana di portata epocale. Qualcuno l’ha definita – e io concordo con l’autore – una “modificazione antropologica”. Questa la definizione di Giovanni Sartori, per tratteggiare il passaggio dall’homo legens all’homo videns. Intendendosi con questo non un passo avanti ma uno indietro. Cerco di spiegarmi, anche se penso che questo pubblico sia già al corrente del problema, altrimenti non saremmo qui a discutere di “media literacy”, che io tradurrei in italiano come “educazione ai media”. Tuttavia, essere al corrente non significa essere d’accordo. Infatti, se fossimo d’accordo non avremmo i problemi che la società contemporanea sta dolorosamente affrontando mentre si avvia ad una transizione verso un’altra società di cui non sa nulla mentre dovrebbe sapere tutto. Già, perché se i telespettatori avessero potuto fruire pienamente dei vantaggi delle tecnologie comunicative moderne, delle possibilità teoriche di accesso a ogni tipo di informazione, della quantità stupefacente di dati che ogni motore di ricerca può mettere a nostra disposizione in una frazione di secondo, allora essi saprebbero da tempo che uno sviluppo crescente indefinito in un sistema finito di risorse è impossibile. E quindi non avrebbero creduto alle entusiasmanti descrizioni della crescita del Prodotto Interno Lordo che venivano loro ammannite ogni giorno da tutti gli schermi televisivi. Anzi ne avrebbero diffidato e le avrebbero temute come presagi di sventura. Né avrebbero comprato automobili al ritmo forsennato con cui lo hanno fatto se avessero saputo che la quantità di anidride carbonica che avrebbero contribuito a produrre sarebbe cresciuta fino al punto da minacciare la sicurezza dei loro figli. La singolarità di cui parlo è dovuta al fatto che, nella storia delle tecnologie, in ogni passaggio da un grado di sviluppo a uno superiore, la regola è sempre stata quella di un elevamento della cultura, di un allargamento delle possibilità di fruizione del sapere. Si pensi all’invenzione di Gutenberg, dei caratteri mobili di stampa. Fino a quel momento, per secoli dopo la caduta dell’Impero Romano, il sapere era rimasto confinato all’interno dei monasteri, dove amanuensi, spesso a loro volta analfabeti, copiavano i manoscritti antichi per la fruizione di una ristrettissima élite in grado di leggere e scrivere. L’alfabetizzazione di massa è cominciata con Gutenberg. Da quel momento, con una progressione di impressionante velocità, comparata con i ritmi dell’epoca, prima migliaia e poi milioni di individui poterono avere accesso alla conoscenza. La riproduzione tecnologica del libro produsse il cambiamento economico, sociale, culturale dell’umanità intera. Ciò che era conoscibile per i pochi divenne conosciuto per le moltitudini. Ma gli ultimi venti anni del secolo XX e i primi dieci di questo hanno visto una rivoluzione tecnologica incomparabilmente più grande e possente. Che è avvenuta coinvolgendo non milioni ma miliardi di individui. Ed essa ha – come ho detto all’inizio – prodotto una involuzione. In che senso? Nel senso, assai preciso, che ha prodotto un “analfabetismo di massa”. Cioè non un progresso ma un regresso. Alfabetizzazione, analfabetismo sono però termini che hanno a che fare con l’homo legens. Non esistono termini adeguati per descrivere questo “analfabetismo televisivo”, che è un modo sintetico per definire un più vasto analfabetismo, connesso con l’incapacità di lettura delle immagini, specialmente delle immagini in movimento. L’ “analfabetismo televisivo” è quello che io e Giovanni Sartori (ma anche l’illustre neurofisiologo dell’Accademia dei Lincei, Lamberto Maffei) chiamiamo la regressione verso l’ homo videns. In che consista questa regressione è, tutto sommato, presto detto. Le immagini, specie quelle in movimento, rappresentano un linguaggio. Sono un linguaggio, nel senso precisissimo che comunicano. Una immensa quantità di cose, per altro. Cose “già pronte”, cose che appaiono complete in tutti i loro particolari. Cose che lasciano poco spazio alla fantasia perché sono già esse prodotto complesso. Cose che penetrano direttamente nel cervello perché la fisiologia dell’occhio umano è quella stessa del cervello. Come tutti i linguaggi, quello delle immagini ha una sua grammatica, una sua sintassi, le sue proprie regole insomma. Ma contiene al suo interno un equivoco. Chi guarda immagini in movimento, riprodotte da tutte le innumerevoli tecnologie di cui oggi disponiamo, ha l’impressione di capire tutto ciò che vede. È l’evidenza stessa dell’immagine a dirgli che non ha bisogno d’altro: ha “visto con i suoi occhi”. In questo è nascosta l’illusione. Perché per capire ciò che si sta vedendo, è indispensabile conoscere la grammatica e la sintassi di quel linguaggio. Se non la si conosce si crede di avere “visto con i propri occhi”, ma in realtà si è visto ciò che altri hanno visto per noi. E nemmeno questo è del tutto esatto, perché – non conoscendo la grammatica e la sintassi di quel linguaggio - si vede, nello stesso tempo, molto di più di ciò che, consapevolmente, chi ha girato quelle immagini ha voluto mostrare, e si percepisce, per esempio attraverso i suoni che le accompagnano, ovvero attraverso i contesti visivi in cui quella comunicazione avviene, molte altre cose che con quelle immagini, apparentemente e sostanzialmente, non hanno nulla a che vedere. Come ha detto giustamente, in altra sede, Carlo Freccero, da tempo ormai siamo entrati nell’epoca in cui una immagine o una serie di immagini può essere interamente creata dal nulla. E può apparire altrettanto reale di una immagine reale. In tal caso credere a “ciò che si è visto” - se non si sa che quella immagine non è reale – equivale a essere totalmente ingannati. In tutti gli altri casi, non conoscendo la grammatica e la sintassi della lingua delle immagini in movimento, si può essere facilmente manipolati. Noi viviamo esattamente in un contesto del genere. Tanto più manipolati quanto più la “verità” delle immagini ci appare nitida, in alta definizione, perfetta, senza ombre. Se poi i detentori della proprietà dei media sono consapevoli della potenza di fuoco che hanno nelle loro mani, allora le ripercussioni, culturali, politiche, sociali del problema in questione diventano gigantesche, modificando l’intera fisionomia della vita collettiva. E mettendo in pericolo la stessa democrazia delle società democratiche. Si può trovare su You Tube, riesumata da un antico programma Rai, una bellissima intervista a Pasolini di Enzo Biagi, in cui Pier Paolo diceva cose di straordinaria anticipazione, in questo senso, spiegando come la televisione fosse la quintessenza di una comunicazione “autoritaria”. Non soltanto per il suo carattere unidirezionale, ma per il suo carattere gerarchico. Una gerarchia automatica, prodotta dalla macchina, che pone chi guarda, sempre, in ogni condizione, in stato di subordinazione rispetto a chi parla. E non c’è, sotto questo profilo, nessuna interattività in grado di compensare questa diversità di collocazione rispetto al messaggio. Su questo Mc Luhan ha già detto e scritto cose fondamentali. Il mezzo è il messaggio e non c’è niente da fare per modificare questo stato di cose. Niente da fare? Forse una cosa da fare c’è ed è quello di cui stiamo qui discutendo. Si tratta di vedere se non sia possibile “alfabetizzare ai media” grandi masse di popolazione. Insegnare loro questo linguaggio nuovo, che segnerà inesorabilmente la loro esistenza e quella delle generazioni future, poiché siamo ormai nell’era dell’immagine, dello “schermo universale” e non potremo tornare indietro mai più. Il che significa che, se le grandi masse popolari non saranno in grado di leggere quel linguaggio, esse saranno private della conoscenza del Potere. Ci vorrebbe un altro don Lorenzo Milani per descrivere questo rapporto di espropriazione post moderna. È possibile porsi questo compito? Di alfabetizzare all’immagine il cittadino? Anzi di considerare il linguaggio delle immagini, la capacità di leggerlo e di “scriverlo”, cioè di creare immagini, come un fondamentale diritto democratico? Io credo che porsi questo compito equivale a porsi il compito di ricostruire la democrazia nell’era dell’immagine, perché non potrà esservi democrazia in una società di individui analfabeti. Come non vi era democrazia prima che gli individui sapessero leggere e scrivere. Siamo, come si vede, ben oltre il fondamentale articolo 21 della Costituzione Italiana. Molto più in là – pur senza minimamente contraddirlo – del diritto ad essere informati e ad esprimersi liberamente con la parola e con lo scritto. L’homo videns essendo più minacciato nei suoi diritti dell’ homo legens, necessita di una superiore tutela.

Giulietto Chiesa

01/12/08

15 POESIE INCIVILI


IL CONSUMATORE INESISTENTE


Alle prese con la peggiore crisi economica dell'ultimo secolo, Silvio Berlusconi ha deciso di tornare alle origini e di rivestire i panni del “piazzista di Arcore”, come lo chiamava Indro Montanelli. Comprate, spendete, consumate! Questa, infatti, è la semplicistica ricetta che il Cavaliere insiste a predicare da tempo nell’ottusa convinzione che i suoi consigli per gli acquisti possano essere la pozione miracolosa per evitare lo scivolamento del Paese da una congiuntura recessiva a una fase di dolorosa depressione. Se egli oggi si occupasse soltanto di guidare l’impero televisivo di Mediaset, simili sortite sarebbero tutto sommato innocue e potrebbero essere giustificate in nome della deformazione professionale, oltre che del lampante interesse aziendale a sostenere il fatturato pubblicitario della propria impresa. Ma il fatto è che chi lancia simili messaggi al Paese riveste ora la carica di presidente del Consiglio dei ministri. Esercita, cioè, quel potere politico dal quale dipendono le decisioni principali di contrasto a una tempesta economica, di cui si avvertono al momento le prime avvisaglie mentre il peggio - per unanime opinione internazionale - arriverà nel corso del 2009. Affermare, come fa Berlusconi, che “solo i cittadini (...) con lo stile dei loro consumi possono determinare la profondità della crisi” significa ignorare il senso e la portata di quanto sta accadendo, ma soprattutto denunciare insensibilità e indifferenza per lo stato di difficoltà in cui versano milioni di bilanci familiari dal Nord al Sud del Paese. Spendere di più? Ma con quali soldi, per favore? Quelli della cosiddetta “social card” forse? Per carità, va benissimo che a chi si trova con l’acqua alla gola arrivi qualche decina di euro in più al mese, ma non ci si venga a raccontare che con l’obolo per costoro si possono rilanciare sul serio i consumi e l’economia Se davvero il presidente del Consiglio è convinto di quel che dice, allora spetta a lui trovare i soldi che possano rimettere in moto la salvifica ripresa dei consumi. E qui scatta una legge ineludibile, di fisica prima ancora che di economia: il denaro va preso dove sta e spostato dove manca. Poiché il bilancio pubblico ha i guai che si sanno, il problema si può risolvere soltanto attraverso una redistribuzione dei pesi all’interno della società. Insomma, occorre che il piissimo e neosturziano Giulio Tremonti - una volta riscoperti Dio, Patria e Famiglia - la smetta di fare il Robin Hood per finta e indossi sul serio i panni di chi toglie ai ricchi per dare ai poveri. Altro che estendere anche ai più abbienti l’esenzione dall’Ici o detassare straordinari inesistenti o distribuire elemosine natalizie. Occorre, piuttosto, abbandonare le promesse di Bengodi tributario diffuse a mani piene e cervello vuoto: smettendola di strizzare l’occhio agli evasori e rivedendo la curva del prelievo sui redditi, alzandola per i maggiori e abbassandola per i minori. Forse credendo di stare ancora a Mediaset, Silvio Berlusconi stavolta ha sbagliato indirizzo: da Palazzo Chigi l’invito a far ripartire i consumi non lo deve rivolgere ai cittadini ma a se stesso.

Massimo Riva

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

Archivio blog