31/10/08

CON IL S.U.V. SI TIRA L’ARATRO


La straordinaria vitalità del capitalismo è sotto gli occhi di tutti: la Borsa è l'unica realizzazione dell'uomo in grado di crollare anche dopo essere appena crollata. Pochi minuti dopo la catastrofe, eccola già pronta per un nuovo collasso, in una catena senza fine che ha quasi del prodigioso. Gli analisti non azzardano previsioni, ma i più ottimisti sostengono che, con l'imminente introduzione della Quota Sottozero, la Borsa potrà continuare a ingoiare denaro anche quando non ce ne sarà più. Qui di seguito pubblichiamo le tappe del famoso Diagramma di Wolfenstein, uno studioso di buchi neri che recentemente ha deciso di occuparsi di economia.
Recessione In fase di recessione, la Borsa si concentra sui titoli ancora indenni e inizia a distruggerli con metodo, con l'eccezione dei famosi future che si chiamano così perché si possono incassare solo nel 2080. Il Dow Jones tocca quote così basse che si possono osservare solo su speciali schermi verticali che scendono fino al pavimento. Calano consumi, le industrie licenziano, i padri picchiano i bambini, si rammendano calzini e tornano malattie debellate come lo scorbuto e la pellagra. Le banche non prestano più denaro.
Depressione La Borsa, ormai prossima alla quota zero, intacca anche i future e va a sputtanarseli a Las Vegas con un paio di bagasce. Le industrie chiudono, i campi diventano sterili, i fiumi si prosciugano, le eclissi di Luna, con grande sorpresa degli astronomi, diventano quasi quotidiane. Le banche chiedono in prestito denaro ai clienti, minacciandoli.
Risucchione Del tutto svuotata di titoli di qualunque natura (a Piazza Affari spariscono dal cassetto di un'impiegata anche un paio di biglietti per il concerto di Ligabue), la Borsa comincia a risucchiare da ogni parte del mondo carta moneta, argenteria, quadri, mobili di famiglia, che prendono il volo richiamati da una forza oscura. In ogni angolo del pianeta uomini e donne disperati cercano di inchiodare mobili e suppellettili di casa, ma è inutile: immensi stormi di beni materiali sorvolano le città del mondo dirette verso la voragine della Borsa locale. Le banche rapiscono i clienti imprigionandoli nelle porte girevoli e chiedono soldi per il riscatto.
Ruttone In fase di ruttone, l'economia conosce un illusorio periodo di crescita: le Borse di tutto il mondo rigurgitano, in contemporanea, gran parte degli oggetti sottratti agli umani, non riuscendo a digerirli in così grande mole. Pezzi di comodino, teiere, posate da pesce, banconote accartocciate piovono sulla Terra, ma sono oramai inservibili e per giunta distruggono le poche case ancora in piedi. Le banche scherniscono i clienti in disgrazia e li costringono a ricomprare i rottami dei loro oggetti di casa a prezzo doppio.
Decomposizione Le Borse cominciano a sgretolarsi lentamente e vengono invase da liane e pipistrelli. Scomparso il denaro, si paga in natura qualunque prestazione o servizio, e in breve il pianeta è disseminato di gente che copula ovunque, per strada, nei negozi, negli uffici comunali. Molti cominciano a prenderci gusto. Il papa condanna duramente il diffondersi di pratiche immorali ma nessuno viene a saperlo perché non c'è più la televisione. Si torna al lavoro nei campi. Rinascita del blues. Finalmente si capisce a cosa servivano i Suv: a tirare l'aratro. Le banche investono i loro clienti nel traffico degli organi e nella tratta delle bianche.
Neolitico Finisce la benzina. Si va a piedi. Il linguaggio torna rudimentale, un insieme di grugniti e di rozza mimica. Molto a loro agio i ministri del governo Berlusconi. Si tenta di far rinascere Wall Street, erigendo un cerchio di dolmen in mezzo a Manhattan. Ma sono fissati male, e cadono schiacciando i primi clienti.

Michele Serra

30/10/08

LA TV DELL'APOCALISSE


Qualche volta vien da pensare all'apocalisse. Niente anime dannate, giudizi universali, armagheddon fiammeggianti o bizzarrie del genere, niente film catastrofici, glaciazioni improvvise, meteoriti giganti che si spiaccicano sulla Terra. No, vien da pensarci guardando la tv della domenica sera, o i giochini dove i conduttori fanno domande da scemi a gente che pare fatta con lo stampino: "La ciambella è: a) un attrezzo per nuotare; b) una pastella fritta col buco; c) un cellula fotovoltaica?". I coraggiosi che si soffermano chissà perché sull'incredibile programma di Pupo, hanno avuto modo di assistere ad alcuni dei peggiori numeri comici di tutti i tempi: roba di gente che casca per terra, con battute flaccide come un pesce marcio. Nemmeno il pubblico in studio, sobillato dallo staff della trasmissione, riesce ad applaudire. Ora, il tema è più stringente di quello che si potrebbe pensare, nel senso che ha che vedere strettamente con la qualità della convivenza nel nostro paese, visto che l'Italia è imbevuta di monocultura televisiva sempre più uguale a se stessa. Gli esempi vengono dall'estero: mentre i media si scannano su Obama & McCain e politologi perdono il sonno cercando di eviscerare i vantaggi di un new-new deal, da apposite ricerche statunitensi arriva la drammatica scoperta che circa un terzo dell'elettorato americano ignora che differenze che siano tra i democratici e i repubblicani. Non solo. I due terzi decidono cosa pensare dei candidati alla Casa Bianca in base agli spot in tv. Meno della metà sa che l'America è l'unica potenza ad aver fatto uso della bomba atomica, e più o meno gli stessi fino al 2005 pensavano che l'attentato dell'11 settembre fosse stata opera di Saddam. A proposito: il 60% dei cittadini statunitensi non sa dove diamine si trovi l'Iraq. L'Italia? Si suppone che ancora non sia a livelli americani. Ma, di reality in reality, di giochetti milionari in meteorine e veline, e in sovrappiù in complicità con una politica governativa volta a destrutturare completamente la scuola pubblica, è fin troppo facile profetizzare che la strada è quella. “Analfabetismo di ritorno”, viene chiamata questa malattia, e gli schermi nostrani s'impegnano assai a contribuire massicciamente a questa smobilitazione dei cervelli. La mattina c'è gente che, nel migliore dei casi, gira con la pastasciutta in mano, la sera si conclude con programmi di estensione ciclopica la cui massima vetta di civiltà è la celebrazione della tv del passato o il tripudio di miracoli venduti un tanto al chilo in diretta nazionale, in mezzo ci sono i salotti del pomeriggio dove contrabbandare miserie varie come aspirazioni collettive. Pensare male, diceva Moretti. Parlava - e prima di lui Pasolini (guarda il filmato di cui al link sottoindicato) - della progressiva e collettiva destrutturazione delle menti, in qualche modo inquinate da un linguaggio che si presenta ogni giorno di più come un terreno devastato, sempre più oscuro nella sua apparente popolarizzazione. Perdita di senso: in fondo, è questa l'apocalisse. No?

Roberto Brunelli

29/10/08

CRISI FINANZIARIA 2008: CIÒ CHE LA GENTE NON SA


Stiamo subendo da circa un anno e mezzo una crisi economica e finanziaria che non ha avuto eguali per dimensioni e diffusione prima d'ora. E tutti sono convinti abbia avuto origine negli Stati Uniti e dagli States sia poi giunta al resto del mondo. Ebbene tale disastro è nato in Gran Bretagna, nella City e, nello specifico, all'interno di numerose società di ingegneria finanziaria. Dobbiamo tener presente che il 90% dei prodotti finanziari, buoni ma soprattutto non buoni, viene studiato e progettato presso queste società finanziarie/bancarie. In questo caso, la causa dei principali mali del mondo è rappresentata dai cosiddetti strumenti derivati, denominati CDO e CDS. Tali strumenti non sono altro che mutui immobiliari “impacchettati” e trasformati in obbligazioni. Quindi, grazie a questa operazione di “cartolarizzazione” (trasformare in carta un mutuo) tutte le principali Banche hanno potuto vendere a chiunque e all'esterno i debiti immobiliari dei loro clienti. Naturalmente il vantaggio delle Banche stava proprio nel fatto che potevano ottenere ulteriori profitti da queste obbligazioni strutturate: infatti, chi acquistava un’obbligazione garantita da un mutuo immobiliare prestava una certa quantità di denaro per un certo periodo di tempo ricevendo un interesse, garantito dai pagamenti rateali di chi aveva realmente sottoscritto il mutuo. Si parla anche di mutuo “subprime” per indicare che questo è effettivamente un mutuo a rischio, detto in termini tecnici NINJA (No Income, No Job or Asset = Nessun Reddito, Nessun Lavoro stabile o Garanzia Finanziaria). Praticamente, il circuito partiva dalle Società di ingegneria finanziaria che progettavano il prodotto, proseguiva poi con le Banche Commerciali (quelle che erogavano i mutui ai clienti) che impacchettavano i mutui e vendevano le obbligazioni alle Banche d'Affari o le collocavano direttamente sul mercato. In questo modo si creava una sorta di circolo vizioso con l'entrata di continua liquidità derivante dalla vendita delle obbligazioni strutturate, liquidità utilizzata per sostenere richieste di nuovi mutui e finanziamenti, e nuovamente per emettere altre obbligazioni strutturate. Iniziata con gli Stati Uniti (a parte la progettazione avvenuta nella city di Londra) questa prassi è divenuta comune sia in Asia che in Europa tantoché pochissime Banche, anche europee, sono immuni da questo fenomeno. E questo giochetto, che ha portato enormi profitti “facili” nelle casse delle Banche è andato avanti per anni, sostenuto anche dal continuo sviluppo del mercato immobiliare americano, con aumenti costanti del numero delle case costruite (esiste anche un indice economico basato sul numero dei nuovi cantieri) ed ovviamente con gli aumenti dei prezzi. Ciò ha portato inesorabilmente alla creazione di una bolla speculativa, che è esplosa, negli Stati Uniti, circa un paio d'anni fa, causando insolvenze, mancati pagamenti e rimborsi parziali delle rate dei mutui di massa. Ricordiamo che in America i mutui vengono, almeno venivano concessi ai cittadini con richiesta di minime garanzie e per importi del 100-130% dell'immobile oggetto del mutuo. Si è assistito quindi al blocco dell'aumento del prezzo delle case e successivamente al suo crollo, non ancora terminato. Immaginate ora cosa può essere successo dal lato delle note obbligazioni legate ai mutui subprime: chiunque detenesse nel proprio portafoglio questi titoli ha iniziato a venderli precipitosamente, ma con difficoltà perché ormai erano privi di garanzie (i clienti non pagavano più le rate), i prezzi erano scesi profondamente, e le quotazioni furono sospese. A seguito di questa crisi, diverse Banche americane dichiararono fallimento o pesanti insolvenze (Lehman Brothers, Merril Lynch, AIG, Fannie Mae, Freddie Mac, Mutual Washington, ecc...), costringendo il Governo e la Fed (Banca Centrale Americana) ad interventi di sostegno e salvataggio mediante enormi iniezioni di liquidità. E veniamo all'ultimo atto, ovvero all'approvazione da parte dell'Amministrazione Bush, naturalmente in collaborazione con la Fed , del pacchetto di misure d'emergenza mediante la costituzione di un mega fondo pubblico da 700 miliardi di dollari (si stima però che il vero “buco” si attesti intorno ai 1.500 miliardi di dollari), che avrà la funzione di raccogliere, per il prossimo biennio, questi titoli finanziari "tossici", ormai privi di mercato e detenuti dalle Banche Usa. L'obiettivo è senz'altro quello di tentare di stabilizzare i mercati finanziari, dai quali poi dipende la sorte di tutti gli altri settori economici. Ora gli effetti, come sempre, partendo dagli Usa stanno arrivando anche in Europa dove molte Banche hanno acquistato e rivenduto ad altre Banche, Sim, Gruppi Assicurativi, Fondi Pensione, Amministrazioni Pubbliche (Stati, Regioni, Province e Comuni), Gruppi Industriali, le obbligazioni strutturate sui mutui subprime. Immaginiamo quali potranno essere le conseguenze dell'azzeramento di valore di queste obbligazioni per i Fondi Pensione o per le Amministrazioni Pubbliche, e quindi per la collettività, che le detengono nel proprio portafoglio... In Europa, però, non c'è ancora alcun accordo su un eventuale piano di salvataggio comune. Anche l'Italia non è immune da tale situazione negativa ed i principali Gruppi Bancari (Unicredit, e prossimamente anche Intesa ed MPS) iniziano ora a far uscire comunicati stampa con i quali si dichiarano notevoli difficoltà finanziarie legate al possesso e alle perdite causate da questi titoli (obbligazioni strutturate e derivati). È proprio di questi giorni l'annuncio dell'Amministratore Delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, relativo ad un prossimo aumento del capitale sociale della Banca necessario per far fronte a tali problematiche. E pensare che lo stesso Profumo, fino a pochi mesi fa, intervistato, continuava ad affermare che era tutto sotto controllo, i fondamentali erano più che buoni e la Banca da lui condotta non aveva certo da temere nulla (forse non aveva detto tutta la verità); nel frattempo il valore del titolo ha perso oltre il 50%. E questa possiamo definirla la cronaca della nascita e sviluppo della nuova crisi finanziaria del 2008. Ma, al di là della mera e tecnica cronistoria, mi sembrano doverose alcune considerazioni, alle quali vorrei lasciare la risposta ai lettori: è giusto che il conto di tale disastro finanziario sia poi pagato dai cittadini?; è giusto che la maggioranza della Comunità ripiani il conto salato causato da una minoranza di avidi, ricchi, egoisti, imbroglioni, bugiardi e ladri?; è giusto che i veri autori di tale “truffa” finanziaria legalizzata (i nomi sono sempre quelli delle principali Banche d' Affari Usa e delle Banche Commerciali loro complici americane, asiatiche ed europee), alla fine escano impuniti con il benestare delle principali Autorità Governative e di Controllo?; è giusto che gli amministratori di queste note Banche d' Affari e Commerciali, dopo aver causato un tale dissesto mondiale, semplicemente si dimettano dalle loro cariche e se ne escano con liquidazioni di 30-40-60 milioni di dollari ciascuno?; è giusto che all'interno delle più alte cariche governative e degli organi di controllo siedano personaggi provenienti da queste famigerate Banche d' Affari? (l’esempio emblematico è il caso di Henry Paulson, Ministro del tesoro Usa, con patrimonio personale stimato intorno ai 700 milioni di dollari e, guarda caso, proveniente da Goldman Sachs; ma ricordiamo anche Mario Draghi, oggi Governatore di Banca d'Italia, proveniente dalla stessa Banca d'Affari, e lo stesso Romano Prodi, ex Primo Ministro del Governo Italiano e proveniente sempre dalla stessa Banca...); è giusto che le società di Rating, che dovrebbero essere degli Enti imparziali e super partes, ma che invece sono in collusione con queste Banche d'Affari, applichino giudizi e punteggi positivi a queste obbligazioni e a quelle delle Banche amiche pur non avendone i requisiti? (ricordiamo che le obbligazioni di Lehman Brothers avevano AAA, ovvero il massimo punteggio di affidabilità e, nella sola Italia, i risparmiatori truffati possessori di tali titoli si stima siano oltre 300.000). Inoltre, un nuovo pericolo è all'orizzonte sul sistema finanziario Usa, e successivamente in Europa: il rischio fallimenti relativamente ai rimborsi legati alle carte di credito. E' infatti sempre maggiore il numero di clienti che non riescono a far più fronte ai pagamenti, in un'unica soluzione e rateali, sulle carte di credito. E forse non tutti sono a conoscenza che, nei giorni scorsi, mentre al Congresso Usa si votava il piano di salvataggio di Paulson, è stata approvata, sempre dal Congresso, una Legge a favore dei detentori di carte di credito, in difficoltà nei pagamenti, che impedisca alle Compagnie Finanziarie e assicuratrice di alzare indiscriminatamente gli interessi retroattivamente, senza preavvisare la clientela. Dopo le segnalazioni di migliaia di clienti, la stessa Federal Reserve ha dovuto ammettere che queste rappresentano pratiche “ingannevoli”. Ed i numeri di tale fenomeno non sono per niente incoraggianti: nel solo 2007 ed inizi 2008 il tasso delle insolvenze è aumentato in maniera vertiginosa e si stima che circa 2.5 milioni di cittadini rischiano il fallimento personale.

Fabrizio Zampieri – economista e analista finanziario

27/10/08

AMBIENTE: IL GOVERNO ITALIANO SOTTOVALUTA L'EMERGENZA PLANETARIA



La cosiddetta “battaglia sul clima”, esplosa nell'autunno all'interno dell'Europa, nel pieno della più grande crisi del capitalismo dell'ultimo secolo, ci racconta le enormi difficoltà dell'immediato futuro, nostro e del mondo. E non perché l'Italia sia così importante da influire sul resto del pianeta, quanto piuttosto perché l'Italia, in questo momento della sua storia, come già avvenne ai tempi del fascismo, sembra interpretare meglio di altri paesi le pulsioni belluine e regressive, gli umori violenti che caratterizzeranno il comportamento delle comunità umane negli anni a venire. E', o dovrebbe essere evidente - in base perfino al buon senso comune di cui Giovanni Sartori ha recentemente pianto la scomparsa - che la questione dell'innalzamento della temperatura del pianeta non riguarda solo questo o quel paese, e che, quindi, è faccenda che deve essere affrontata collettivamente. Collettivamente vuol dire “planetariamente”, con lo sforzo di tutti, poiché l'aria calda, l'effetto serra, non si ferma davanti a questa o quella frontiera, e i suoi effetti si riversano su ogni area della nostra Terra, senza riguardo per nessuno, e per giunta in forme, potenza, caratteristiche che nessuno è in grado di prevedere e tanto meno di prevenire. Chiunque (parlo ovviamente delle persone che si trovano ai posti di comando) dovrebbe capire che il problema è grande, inedito, e attrezzarsi per affrontarlo al livello della sua, appunto inedita, complessità. Invece che accade? Che, in diversa misura paese per paese, ma con l'Italia in testa per ottusa improntitudine egoistica, ciascuno cerca di scaricare sugli altri il costo delle trasformazioni necessarie. Dietro i governi, e dei gruppi di potere in caccia di voti per la prossima rielezione, ovviamente, ci sono i potenti gruppi d'interesse, la cui lungimiranza è stata già ampiamente rivelata dalla crisi della finanza mondiale, che questi stessi gruppi, con le loro banche di riferimento, hanno prima creato e poi lasciato marcire fino all'esplosione del bubbone globale. Nel caso specifico si tratta delle industrie automobilistiche, impegnate allo spasimo soltanto a ritardare l'inevitabile. Devono riconvertirsi per produrre altre vetture, meno inquinanti, emettenti meno grammi di CO2 per ogni chilometro di percorrenza, ma - non avendoci pensato per tempo (anzi avendo impedito, per decenni, la nascita di nuovi motori, per esempio a idrogeno) - adesso misurano i costi e i tempi dell'operazione, e scoprono che dovrebbero dedicare all'investimento per la ricerca e la progettazione dei nuovi modelli ben altre quantità di denaro. Il che, a sua volta, significa che dovrebbero spiegare ai loro azionisti (sempre le solite banche, e i soliti potentati incrociati che hanno guidato il pianeta) che la quota dei dividendi deve essere corrispondentemente ridotta. Ed è questo che non sono in grado nemmeno di immaginare, meno che mai in tempi di crisi. E così i governi più deboli, o più proni agli interessi dei potenti, eccoli diventare i loro commessi viaggiatori nei consessi internazionali dove si cerca di decidere il da farsi collettivo. Eccoli calcolare l'ammontare della spesa, fare le pulci al vicino, cercare di strappare qualche percento in meno: i miei costruttori (leggi la Fiat) fanno auto più piccole dei tuoi, quindi io dovrei pagare di meno. Io sono più verde di te (falso naturalmente). Io non ho il carbone, mentre tu ce l’hai ancora (vero, ma quanta energia eolica produce l'Italia e quanta la Germania?). Quindi tu prima riduci il tuo carbone e poi discutiamo. Più o meno questo è il miserevole livello di queste discussioni, mentre la curva della produzione collettiva di anidride carbonica continua a salire. Ignorando il "dettaglio" che o riusciamo a invertire la curva di crescita delle emissioni di CO2 entro il 2017-2020, oppure dovremo dire addio a ogni prospettiva di contenere l'innalzamento climatico antro i 2 gradi centigradi da qui al 2050. E questo, a sua volta, significherà che le previsioni di una spesa (europea) di 70 miliardi di euro all'anno per fronteggiare gli effetti del riscaldamento, già previsti all'interno di un aumento di due gradi, dovranno essere ricalcolate al rialzo, moltiplicate per due o per tre ad ogni grado di “sforamento” di quel tetto. La signora Prestigiacomo, il cui livello di informazione in materia - stando a quello che dice - non dev'essere di molto superiore a quello della famosa massaia di Abbiategrasso, annuncia fuoco e fiamme di fronte ai microfoni e alle telecamere che ne mostrano le gentili fattezze in edizione corrucciata: "noi non ci stiamo". E poiché questo tipo di decisioni, nell'Europa attuale, si possono prendere solo all'unanimità, tutto dovrebbe fermarsi fino al soddisfacimento degl'interessi elettorali di ognuna delle leadership europee. Sarkozy risponde, a muso duro, che se l'Italia non ci sta si voterà lo stesso, e la decisione sarà presa a maggioranza. Ma è come sperare che l'effetto serra, per decisione politica, sia confinato sui paesi “cattivi”, che non ci stanno. E così il ministro Scajola, invece di capire che con la produzione delle auto non c'è futuro possibile e sostenibile (il che non vuol dire chiudere la Fiat domani, ma invitare la Fiat a progettare una vasta riconversione industriale, una diversificazione radicale, etc) annuncia incentivi alla rottamazione e all'acquisto di nuove automobili. Sarebbe bastato che aspettasse il giorno dopo, e avrebbe potuto leggere sull'Herald Tribune che Kirk Kevorkian, il plurimiliardario Paperone americano stava vendendo una gran parte delle sue azioni della Ford. Vendendo in perdita, perché si è reso conto che da quella parte non si faranno più profitti, e perché, nel frattempo, le altre due rivali della Ford, General Motors, e Chrysler, stanno cercando affannosamente di fondersi perché non riescono più a reggere, separatamente a un mercato in calo verticale. Così, nella più grande confusione, in mezzo al panico, in un'atmosfera da fuggi-fuggi, le classi dirigenti dell'occidente globalizzato stanno affrontando una situazione che non avevano previsto e di cui non sanno prevedere gli sviluppi. Ciascuna per conto proprio, dimenticando quello che ci avevano detto nei decenni del neoliberismo più sfrenato: che ormai non sarebbe più esistita alcuna possibilità di decidere autonomamente. Avevano perfino inventato un acronimo per sintetizzare la filosofia globale: TINA, che stava per "There Is No Alternative", non c'è alternativa. Dunque non c'era più alcuna possibilità di discutere, di decidere. C'era solo la soluzione di una efficiente “governance della necessità”. Dunque, non c'era più alcun bisogno neanche della politica, ormai divenuta inutile. Cioè non c'era neppure bisogno della democrazia: una perdita di tempo, visto che la sopra ricordata massaia di Abbiategrasso non sarebbe mai stata in grado di capire la complessità della governance. Quello che non vedono, le élites occidentali, è che siamo entrati tutti nell'anticamera di una “transizione”. Verso dove? Verso una società radicalmente diversa da quella nella quale siamo nati e vissuti. Dobbiamo transitare, lo si voglia o non lo si voglia, lo si capisca o non lo si capisca, da un mondo senza limiti a un mondo che riconosce i suoi limiti. Abbiamo vissuto nell'idea che la quantità di energia disponibile fosse illimitata. Idea - sbagliata - che nasceva dalla apparente facilità con cui l'energia veniva estratta dalla terra. Idea che ci conduceva a pensare che sarebbe stato così per sempre. Invece non solo non sarà così per sempre, ma non lo sarà più nel corso di questa e della prossima generazione. Il "picco" del petrolio avverrà una sola volta nella storia del genere umano, e non ce ne saranno altri. Per cui l'alternativa reale che ci troviamo di fronte non è come creare nuove fonti di energia (cosa, per altro, ragionevole per affrontare, comunque, la transizione), ma pensare a una società in cui l'energia sarà un'altra cosa rispetto a quella attuale, e non necessariamente la si potrà infilare nel serbatoio di una automobile. Cioè che non tutte le energie sono intercambiabili, non tutte sono usabili nello stesso modo, non tutte sono ugualmente "democratiche", non tutte sono alla portata di tutti. Ci vuole tanto a capire, per esempio, che l'energia atomica è faccenda che concerne solo gli stati? E che, se è vero che l'energia atomica può essere trasformata in energia elettrica, o in riscaldamento, è altrettanto vero che non ha molto in comune con un distributore di benzina? E che, quindi, il passaggio dall'energia concentrata all'energia di flusso, per giunta costante, comporta una riorganizzazione industriale dell'intera società? Ecco perché lo scontro tra Italia e Europa sulla battaglia climatica fa venire il latte alle ginocchia per la sua miseranda piccolezza (dell'Italia intendo dire). E' forse la prima volta che l'Europa diventa leader mondiale, sostituendosi agli Stati Uniti. E su una questione di portata epocale, che decide il futuro dell'Uomo. E il governo dell'Italietta, invece di cercare di collocarsi all'interno di questo progetto, lo ostacola, adducendo (demagogicamente) il proprio “particolare”. Leader degni di questo nome (ma non se ne vedono proprio, nemmeno all'opposizione) dovrebbero chiedersi con quale faccia l'Europa potrebbe presentarsi a Copenhagen, l'anno prossimo, a dire a Cina, e India, di ridurre le loro emissioni di gas-serra, se non sarà stata capace, essa stessa, di fare il primo passo nella giusta direzione. E, quando le emissioni di CO2 saranno diventate tali da cambiare il corso della nostra vita, a prescindere dalle decisioni dei nostri imbelli governanti, cosa andranno a dire, costoro, ai lavoratori della Fiat? Avranno il coraggio, sempre che siano ancora ai loro posti, di dire che, mentre dicevano di voler difendere i posti di lavoro degli operai, si erano dimenticati di mettere a repentaglio le vite dei loro figli? Non era meglio, per tempo, avviare una politica economica e sociale di adattamento alle nuove e inesorabili condizioni, sviluppare la ricerca, avviare un nuovo modo di vivere e di consumare (meno)? Invece mobilitano drappelli di economisti pasticcioni e di propagandisti dell'esistente a spiegare alla gente che non bisogna credere ai “catastrofismi” (pensate, Angela Merkel, Nicholas Sarkozi, catastrofisti!) , che vogliono portarci via il frigorifero e farci andare a piedi, e che il riscaldamento è un effetto ciclico di cui non c’è da preoccuparsi, Sarebbe da dire: che pena! Se non fosse che questa gente ha preso il timone del comando.

Giulietto Chiesa

26/10/08

TERRA MADRE LA RIVINCITA


Intervista a Carlo Petrini

È diventato una specie di papa Carlo Petrini, detto Carlin, presidente di Slow Food International, fondatore e molto altro ancora. Riceve per cinque giorni politici e contadini, cuochi e giornalisti da tutto il mondo e per tutti ha un verbo, una storia, un aneddoto. All'ambasciatrice australiana presso il Quirinale che s'infila nella nostra stanza per un saluto, Carlin racconta di quell'allevatore di mucche che ad Adelaide lo invita a visitare la sua tenuta. E lo fa accomodare su un aereo. Il Salone del Gusto e Terra Madre sono il suo regno, sospeso tra cielo e terra a spiegarci perché l'agricoltura e i suoi prodotti devono tornare al centro della produzione e della cultura. Parliamo di economia reale, quella che Slow Food sta portando a Torino in questi giorni? Questa è in effetti l'economia reale del cibo, che negli ultimi 50 anni ha perso valore al punto che è diventato quasi un'appendice ludica e parlare di gastronomia rischia di sconfinare nell'immaginario collettivo in un divertissment elitario. Invece la storia ci ricorda quanto l'umanità ha lavorato, ha sofferto e fatto delle guerre per garantire la nutrizione e quanto ancora siamo dentro questo contesto. Riconciliare la gastronomia vera con l'importanza del cibo, dell'agricoltura e dei saperi tradizionali, questo stiamo facendo. Tanto più che oggi una moltitudine di persone si trova in una fase storica particolare gravissima, determinata da uno sconquasso di natura finanziaria. Il liberismo, dopo aver speculato sulle abitazioni della gente, dell'energia e del petrolio, come colpo di coda prima che la bolla scoppiasse, è riuscito a speculare ancora sul cibo. Determinando gli aumenti di derrate alimentari fondamentali per milioni di persone. E colpendo la popolazione malnutrita, quasi un sesto dei viventi, aumentata per queste speculazioni. Ora la bolla è scoppiata e noi la viviamo con duplice sentimento. Da un lato con preoccupazione per un futuro di crisi e di difficoltà soprattutto per i meno abbienti, ma dall'altro anche con un senso di liberazione. Per la fine di questa logica, diventata quasi un pensiero unico, mentre l'economia di sussistenza veniva considerata marginale. Mica vorrai dire che è la rivincita di Terra Madre? Terra Madre in qualche modo assapora questa sconfitta storica dell'economia di mercato, ma lo fa anche con indignazione. Perché una comunità politica planetaria che non è stata in grado di reperire 30 miliardi di dollari all'anno per abbattere il numero dei malnutriti, in quindici giorni ha trovato 2.000 miliardi per difendere le banche complici della finanza canaglia. La strada è ancora lunga ma non c'è dubbio che in questa sconfitta storica noi intravediamo la certezza e la necessità che verrà data maggiore attenzione all'agricoltura, ai saperi manuali, alle nuove tecnologie sostenibili e alla ricerca di energia pulita e rinnovabile. Siamo tornati di colpo agli aiuti pubblici. Per banche e industria, sull'agricoltura c'è però silenzio. In questo settore ci sono stati aiuti pubblici detti sussidi soprattutto ai grandi proprietari e non ai piccoli, che nel nord del mondo sono serviti per pagare le grande produzioni per fare poi dumping in Africa e nei paesi poveri. Ora bisogna puntare a quella piccola agricoltura che difende il paesaggio e che è pronta a impegnarsi nelle nuove tecnologie, un tema purtroppo non ancora al centro dell'attenzione. Penso che i contadini siano uno dei soggetti principali per l'avanzamento della terza rivoluzione industriale. La prima è stata quella della macchina a vapore, la seconda quella dell'energia elettrica, entrambe sostenute dal combustibile fossile. Questa terza sarà quella che farà lievitare la produzione di energia rinnovabile. Le piccole aziende possono realizzare microimprese di produzione autonoma di energia. Ecco perché sono contro il nucleare ma anche contro le grandi concentrazioni di energia solare. Tante piccole entità sono la risposta! Alla base della sostenibilità, ci sono il rifiuto dello spreco, il riuso e il riciclaggio, già nelle pratiche dei contadini. C'è la possibilità di un'alleanza virtuosa tra i nuovi manager dell'energia che vedono il business e l'agricoltura. Vadano dai contadini, e li ascoltino. Cibo e futuro sono una questione culturale, dunque. Ma siamo anche in un paese che sta tagliando fondi per i saperi, scuola, università, ricerca, editoria. Che fare? È un momento complicato. Andrebbe risolto a monte il discorso del cibo come uno degli elementi virtuosi di vere relazioni vitali. Cibo, agricoltura, ambiente, sostenibilità, lotta contro il cambiamento climatico, salute, educazione, convivialità. Se noi ridiamo al cibo questo valore, la musica cambia. Ma da questo punto di vista il lavoro culturale è ancora immenso, perché non è patrimonio né della destra né della sinistra. Sì, anche la nostra amata sinistra non ha intercettato questo cambiamento, questa nuova politica. Voi de il manifesto siete l'eccezione che conferma la regola. Da sempre avete avuto attenzione a queste tematiche e per esempio la vostra rubrica Terra Terra messa a pagina 2 del giornale è un segno molto forte. Vi chiudono? Vedo in questo paese un rigurgito di ostentato pragmatismo, di governo dei bilanci della fabbrica Italia, come se bisognasse mettere in riga tutte quelle economie poco virtuose perché non rendono o costano troppo, relegando la cultura e la conoscenza in un ambito non produttivo. Va da sé che se ragiono così penso che tutto sia uno spreco. Ma non è così. Da che mondo e mondo, la cultura, l'informazione libera e la formazione degli individui sono un bene preziosissimo per l'economia. Se passa questo meccanismo, è come un effetto valanga, dove il padrone del vapore decide quello che va e quello che non va e taglia. Salvo poi chiedere a tutti magari di tornare a essere consumatori.

Francesco Paternò

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

Archivio blog