12/07/08

LA “MORALITÀ” DELL’OCCIDENTE


Teheran ha lanciato nove missili, fra cui uno Shahab con raggio presunto di 2 mila chilometri - e tutto l’Occidente grida di sdegno: «L’Iran ci minaccia!». La Rice in Bulgaria s’è stracciata le vesti: «Chi vuole parlare agli iraniani, chieda loro la portata dei missili che hanno sparato. Germania, Francia e Italia si sono uniti nella condanna». Il nostro ministro Frattini, parlando da Israele (è sempre lì, avete notato?) ha ripetuto la lezione: «Sono missili molto pericolosi, ecco perchè non solo Israele ma l’intero Occidente ha interesse a bloccare questa escalation in modo definitivo». Con le bombe, insomma. Come cittadini, dovremmo vergognarci, anzitutto, della nostra cortissima memoria. Non è passato nemmeno un mese da che Sion ha condotto una spettacolare esercitazione aerea sullo spazio greco-mediterraneo - con oltre cento caccia-bombardieri ripetutamente riforniti in volo per mille chilometri - lasciando capire che si sta preparando ad un attacco preventivo contro l’Iran. Sono solo due settimane che Symour Hersh, il grande giornalista, ha rivelato come le forze armate USA, su ordine presidenziale, stiano conducendo già da un anno operazioni speciali nel territorio iraniano, sia con loro commandos che penetrano dal sud iracheno, sia armando gruppi etnici e sovversivi in Iran; operazioni che comprendono «assassinii mirati» contro personalità militari persiane, e la cattura di membri delle forze di elite della guardia rivoluzionaria iraniana, che vengono poi portati in Iraq per «interrogatori». Questi israeliani e americani sono già atti di guerra, preventivi, illegali e non provocati, contro la Persia. Dovremmo ricordarcelo. E questi sì, dovrebbero sdegnarci e allarmarci. Invece ci sdegniamo e ci allarmiamo: l’Iran ci attacca. E’ l’Iran che provoca. Che cosa dovrebbe fare un Paese debole, senza alleati, quotidianamente minacciato dalla super-potenza e dal suo Agnello super-armato? Ma i gestori della propaganda fidano della nostra ignoranza non meno che dei nostri pregiudizi e della nostra memoria corta. Sanno che possono farci paura raccontandoci che il Shahab-3 iraniano ha 2 mila chilometri di gittata, quanto basta per colpire Israele. Non ci dicono il resto: che questo Shahab è la copia di un vecchio missile nordcoreano, il Nodong, la cui precisione è derisa da tutti coloro che se ne intendono. E ovviamente, sugli Shahab non c’è una testata nucleare: l’Iran non ne ha, e soprattutto non è in grado, e non lo sarà per molti decenni, di miniaturizzare un’arma atomica per adattarla a un missile. Dunque gli Shahab-3 hanno, al massimo, testate di esplosivi convenzionali. In caso di guerra, la loro efficacia sarà quella degli Scud errabondi di Saddam, nella prima guerra del Golfo. Militarmente zero. I propagandisti non ci dicono nemmeno la frase pronunciata, dopo il lancio dimostrativo dei missili, da un’alta personalità militare, il generale di brigata Mohammad-Najjar: «La nostra capacità missilistica ha scopi soltanto difensivi, per la salvaguardia della pace in Iran e nel Golfo Persico... I nostri missili non saranno usati per minacciare nessun Paese, sono solo per coloro che osassero attaccare l’Iran». Questo si chiama, in buona strategia, «deterrenza». Dal latino «deterreo», dissuado facendo un po’ di paura. Deterrenza è l’atteggiamento non di chi attacca, ma di chi - sotto minaccia - cerca di dissuadere l’attacco altrui. Ma nella nostra moralità occidentale, l’Iran non ha diritto alla deterrenza; Israele ha diritto all’aggressione preventiva. A noi ignoranti senza memoria nemmeno di breve termine, non è chiara l’estrema disparità di forze tra USA-Israele e l’Iran. Ci fanno credere che l’Iran possa davvero esercitare una qualche rappresaglia contro il volume di fuoco delle portaerei americane già nel Golfo (la USS Lincoln ci è stata spostata in questi giorni), di una potenza che dedica alle spese di armamenti due trecento volte di più di Teheran. Un ottimo giornalista conoscitore dell’area, Pepe Escobar, ci fornisce qualche informazione sulla forza militare di Teheran. Il generale Muhammad Ali Jafari, che è da settembre 2007 comandante supremo delle Guardie della Rivoluzione Iraniana (l’esercito), ha intrapreso - come ha spiegato lui stesso una settimana fa al giornale iraniano Jam e Jam - una radicale riorganizzazione delle forze armate del Paese, con la sostituzione di molti comandanti regionali. Essa consiste in una fusione fra forze regolari e milizie «rivoluzionarie», specialmente di Pasdaran (il gruppo di elite) e la milizia Bassij, e il radicale decentramento di queste unità. «In pratica, l’Iran ha ora 30 eserciti», scrive Escobar, «uno in ogni provincia, ciascuno con comando unificato per Pasdaran e Bassij, e i due corpi conducono esercitazioni insieme». Esfandiari Safari, che scrive per il giornale Rooz, ha spiegato che la riorganizzazione «è la risposta dell’alto comando delle Guardie della Rivoluzione all’attacco imminente che si attende». Vi dice niente la natura di questa riorganizzazione? Il senso di un tale decentramento? Esso non ha nulla di offensivo; è l’assetto difensivo di chi si prepara ad una resistenza sulla propria terra, in vista di un’invasione; i comandi sono moltiplicati e resi autonomi in modo che non ci sia un quartier generale da schiacciare, e le unità possano operare senza ordini, vivendo del territorio, fra gli abitanti connazionali; è il tipico assetto della guerriglia partigiana. Non c’è dubbio che possano combattere ad oltranza. Tanto più che la Guardia della Rivoluzione è stata dichiarata «organizzazione terroristica» dalla Casa Bianca, e dunque i suoi combattenti sanno che, se cadranno in mano al nemico, subiranno il destino degli «enemy combatants», come ad Abu Ghraib e a Guantanamo. «Interrogatori» con tortura, detenzione a vita, soppressioni mirate. Ma naturalmente non ci sarà alcuna invasione, contro cui quest’armata partigiana possa provare il suo valore. L’attacco verrà dal cielo, dal cielo saranno liquidati; l’assetto guerrigliero ha qui qualcosa di commovente e patetico. E noi ci facciamo spaventare da quel che dice Frattini. Che vergogna, la nostra. Nemmeno capiamo che questa guerra è contro di noi, sudditi occidentali.

Maurizio Blondet

09/07/08

FIEMME SERVIZI: COME STANNO LE COSE?


Riceviamo e proponiamo ai lettori una recente interrogazione, che non ha trovato spazio sulla stampa locale, sottoscritta e presentata da tre componenti della minoranza consiliare di Tesero. L’argomento in questione si riferisce al servizio di raccolta rifiuti effettuato, per conto dei comuni consorziati, da Fiemme Servizi s.p.a. Gli interroganti chiedono al Sindaco cosa si nasconda dietro l’arbitraria? variazione, fatta da Fiemme Servizi, di un coefficiente di calcolo adottato per la fatturazione del secondo semestre 2007...


INTERROGAZIONE NR.7/2008 dd. 24.6.2008

Noi sottofirmati consiglieri comunali,
Ricordiamo che da alcuni anni tutti i comuni della Valle di Fiemme tramite il Comprensorio hanno delegato il servizio di gestione del ciclo integrale dei rifiuti solidi urbani e della raccolta differenziata alla società Fiemme Servizi costituita sotto forma di società per azioni pubblica – c.d. società “in house”- Tale società è al 100% partecipata da Enti Pubblici e quindi da quest’ultimi interamente controllata. L’ente locale infatti delegando a terzi un servizio pubblico locale conserva l’esercizio di un controllo analogo a quello esercitato su un proprio servizio.
L’art. 13 del D. P. Reg. 1.2.2005 nr. 3/L prevede, che i consiglieri comunali per l’effettivo esercizio delle loro funzioni, hanno diritto di prendere visione e di ottenere copia dei provvedimenti adottati dall’ente, nonché dalle aziende ed enti dipendenti e degli atti preparatori in essi richiamati, nonché di avere tutti i documenti amministrativi ai sensi dell’art. 2 della legge 7.8.90 nr. 241 e tutte le informazioni e notizie in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato
Ci colleghiamo a questo diritto ignorato e disatteso dai dirigenti di Fiemme Servizi

per interrogare il signor Sindaco per sapere:

Se è a conoscenza che in fase di fatturazione del conguaglio del servizio di raccolta dei rifiuti relativo al secondo semestre 2007, il peso specifico applicato da Fiemme Servizi per la determinazione dei Kg, da attribuire ai contenitori da 120 lt e da 50 lt. è stato aumentato portandolo dall’iniziale coefficiente di 0,095 ( approvato da tutti i Comuni in sede di determinazione della tariffa per l’anno 2007) a 0,12, con un aumento su ogni svuotamento di 3 kg per il contenitore grande e di kg. 1,25 per quello piccolo. In termini concreti nel primo semestre il peso per ogni svuotamento era di kg. 11,4, che è aumentato, nel secondo semestre a Kg. 14,4 (analogamente, per il contenitore piccolo si è passati da Kg. 4,75 a 6 kg. ).

I sottofirmati ricordano che in base al regolamento per la tariffa dei rifiuti è stato stabilito che ogni utenza paghi una parte fissa di tariffa (per il 2007 pari ad Euro 81,45 ) oltre ad una parte variabile, all’interno della quale si applica comunque una quantità minima di rifiuti, da fatturare indipendentemente dalla quantità realmente prodotta. Tale quantità viene commisurata al numero dei componenti del nucleo familiare e quindi l’utenza con un unico componente paga per almeno 240 litri, con due componenti per almeno 360 litri, con 3 per almeno 480 lt, con 4 per almeno 600 lt,; con 5 componenti o più infine paga per 720 litri. La tariffa però è fatturata a Kg. e quindi è necessario in assenza di reale pesatura, attribuire un peso specifico ai contenitori per definire la quantità da addebitare agli utenti. Il peso specifico approvato dalle Giunte municipali in via presuntiva è stato di 0,095 e quindi un nucleo familiare di quattro persone che non abbia superato gli svuotamenti minimi, si doveva trovare un addebito complessivo di 57 kg. pari ai cinque svuotamenti minimi (120 litri x 0,095 = 11,4 kg per 5 svuotamenti = 57 kg.) da pagare in ogni caso con la tariffa/kg di € 0,816, per complessivi € 46,51. Ciò è stato fatto nel primo semestre mentre nel secondo, è stato applicato un diverso peso specifico pari a 0,12 che ha comportato un aumento di 3 kg per ogni svuotamento e quindi sono stati addebitati 7,50 Kg in più per totali € 6,12. La parte variabile del secondo semestre doveva essere pari a € 23,25 (28,5 kg per € 0,816), mentre con i Kg. 36 fissati, è stata di € 29,37 con un aumento del 26% circa.

Si interroga pertanto ulteriormente il Signor Sindaco per sapere :

Come può essere giustificato un simile aumento?
E’ diminuita la raccolta del secco e sono aumentati i costi?
Se sì quali costi? Oppure i vari consorzi ai quali viene conferita la parte di rifiuto differenziato hanno rifiutato i rifiuti perché troppo sporchi e di conseguenza si sono dovuti conferire anche quelli nella discarica di Taio?
Chi ha adottato il provvedimento di rideterminazione del peso specifico a consuntivo ed a che titolo e quale disposizione regolamentare legittima tale operato che doveva rimanere di competenza dei Comuni?
Perché il peso specifico nel 2008 in sede di approvazione delle tariffe è tornato ad essere 0,095?
Se la tendenza è improntata ad una diminuzione del rifiuto secco, che peso specifico verrà applicato a consuntivo del 2008?

Chiediamo inoltre che il Sindaco ci produca copia dei provvedimenti adottati dal CDA di Fiemme Servizi, in merito ai conteggi sulla determinazione del peso specifico a consuntivo, ribadendo che tale determinazione era di competenza delle giunte comunali e che si faccia promotore verso i dirigenti della Società affinché rispettino il ruolo dei Consiglieri Comunali siano essi di maggioranza o di minoranza garantendo loro il diritto di accesso agli atti.
Chiediamo infine che sia avviata un’ ulteriore campagna di sensibilizzazione dell’utenza a differenziare con i giusti criteri i rifiuti perché solo così facendo si potranno ridurre le spese del servizio.

A norma di regolamento si richiede risposta scritta alla presente interrogazione.

I consiglieri proponenti - Maurizio Zeni - Giuliana Iellici – Michele Tonini


08/07/08

IL CASTELLO DI CARTE


Il castello di carte Italia sta per cadere. Potrebbe avvenire in autunno. Insieme alle foglie cadranno le carte, le imprese, i posti di lavoro. Il castello è stato costruito, una tessera alla volta, in più di vent’anni. L’Italia è stata spolpata dall’interno. Al suo posto ci sono le carte da gioco. Ora non sta più in piedi. I venti della recessione americana, delle truffe finanziarie, dai future ai subprime, del costo del denaro, dell’aumento del petrolio e delle materie prime stanno soffiando. Chi è in salute potrà guarire, chi ha già la broncopolmonite, come l’Italia, finirà in ospedale o dal becchino. Le imprese italiane stanno scomparendo, sono una specie in via di estinzione. Il sistema produttivo si sta desertificando sotto l’effetto serra dei partiti e delle lobby. 245.843 aziende hanno chiuso nel 2007. Il 22,5% delle piccole e medie aziende, che sono sempre più a rischio per il caro greggio. Le grandi aziende stanno anche peggio. Telecom Italia potrebbe licenziare 20.000 persone, Alitalia 8.000, la Fiat un numero a piacere. I posti a rischio sono 300.000. Le imprese che resistono sono sempre più indebitate. Sopravvivono grazie ai debiti con le banche, a fine 2007 sono arrivati a 780 miliardi di euro, in sette anni sono aumentati del 72,4%. La situazione è grave, ma non è seria. Gli italiani hanno gli stipendi più bassi d’Europa, i costi per i servizi, dalla telefonia alle autostrade, mediamente più alti d’Europa. I precari sono ormai la normalità, stimati in circa sei milioni. I parlamentari hanno emolumenti più alti dei loro colleghi europei e si eleggono tra di loro. Gli industriali hanno privatizzato lo Stato insieme ai partiti e si spartiscono i dividendi sui bisogni primari dei cittadini, dall’acqua, all’elettricità, ai rifiuti. L’Italia è già in un’economia di guerra. In futuro i militari presidieranno le banche al posto delle discariche. Lo psiconano pensa ai suoi processi. Ma l’emergenza è l’economia. Lo stipendio alla fine del mese. L’Italia è come una mongolfiera che sta precipitando. Bisogna liberarsi di ogni peso, di ogni costo inutile. I dipendenti pubblici sono quattro milioni, più della popolazione dell’Irlanda. Le imprese vanno liberate da uno stillicidio di tasse e di anticipi. La legge 30 va abolita. Le regioni autonome lo siano con i loro redditi, altrimenti dichiarino la secessione dall’Italia che le mantiene. I politici discutono del nulla, ma il castello di carte cadrà e gli italiani cercheranno, come hanno sempre fatto nella Storia, i capri espiatori.


Beppe Grillo

06/07/08

ROSSINI/ELIO E L.S.T. - FIGARO


LO SCRITTORE IN BICICLETTA


A voler parlare di Emilio Rigatti non si sa bene da che parte cominciare: scrittore elegante e arguto, gran consumatore di ruote di bicicletta, giornalista dell’Unità e di varie tv e radio dal 1976 all’83, insegnante di scuola media dal 1983, cioè da 25 anni, 8 dei quali trascorsi in Colombia, come cooperante nel settore educativo. Ma chi lo conosce, di solito lo conosce per via dei suoi libri, uno dei quali, "Italia fuorirotta. Viaggio a pedali attraverso la Penisola del tesoro" (Ediciclo), è appena uscito ed è stato presentato dall’autore a Trento al Filmfestival della Montagna e a Cles nell’ambito della manifestazione Bimbimbici. E così Rigatti è venuto a Trento per due volte nel giro di una settimana partendo da Ruda, in provincia di Udine. Fin qui nulla di strano. Nulla di strano se non fosse che lui l’auto non ce l’ha e si muove sempre su due ruote. E così ha fatto anche stavolta, percorrendo i circa 250 km che separano il suo paese da Trento per due volte nel giro di qualche giorno (il ritorno l’ha fatto caricando il mezzo sul treno). La cosa suona strana anche per gli appassionati del pedale, che magari si fanno migliaia di chilometri all’anno, ma sempre durante il tempo libero e le ferie perché a nessuno, o quasi, verrebbe in mente di utilizzare la bici per recarsi ad un appuntamento a centinaia di chilometri di distanza. Ma Rigatti l’automobile l’ha venduta nel 2001 e senza rimpianti, a giudicare dall’entusiasmo con cui siede in sella. In bici si reca giornalmente al lavoro ad Aquileia, dove insegna lettere, pedalando per circa 20 chilometri con qualsiasi tempo e dividendo la strada con le auto, visto che non ci sono ciclabili. E in bici, nel 2001, si è fatto Ruda-Istanbul con due amici, il disegnatore Checco Altan e il giornalista Paolo Rumiz. E da quei 2116 chilometri su due ruote è nato "La Strada per Istanbul", imperdibile racconto di viaggio e di amicizia, scritto con lo stile brillante che gli è abituale. L’ho incontrato a Cles, dove ha passato la serata a cui era stato invitato, pizza compresa, a raccontare di bici, viaggi e avventure, come in un salotto tra amici.
E’ nato prima il Rigatti scrittore o il Rigatti ciclista?
"È nato prima lo scrittore, anche se lo scrittore che pubblica è nato a bordo della Turner (una marca di mountain-bike, n.d.r.) che mi ha portato a Istanbul.."
Quando le chiedono che mestiere fa, cosa risponde?
"Tutta la verità, nient’altro che la verità: faccio l’insegnante".
Com’è nata la passione per la bicicletta?
"Più che nata, è rinata dopo che andai in Colombia nell’88. Avevo smesso di fumare e anche di andare in canoa, per via che a Bogotà non era possibile farlo. Allora decisi di prendermi una bicicletta. Alla prima salita vomitai e così continuai a correre solo per l’altipiano di Bogotà. Dopo un anno ritentai la stessa salita, così, per sfizio. Arrivai in cima. Fu una seconda laurea. Poi, vennero i master…".
E la passione per la scrittura?
"L’ho avuta fin da bambino, uno dei miei primi giochi consisteva in delle grandi lettere di plastica che mi regalarono delle zie: con quei geroglifici affascinanti componevo parole, le leggevo. Con quel gioco imparai a leggere prima di andare a scuola e a 7 anni iniziai a scrivere un romanzo dal titolo ‘Il mio paese’, che e restò alla pagina quattro. Tengo un diario da quando ho 18 anni. Per me scrivere è sempre stato un desiderio intenso con la possibilità della sua realizzazione immediata, fa parte del mio metabolismo. E’ come desiderare un paesaggio attraversandolo. Cosa c’è di meglio?"
Una delle cose di cui ci lamentiamo tutti è la mancanza di tempo. Spostarsi in bicicletta non fa perdere tempo?
"Il tempo non si perde e non si guadagna. Lo si usa bene o lo si usa male. Il tempo è la moneta dell’esistenza e allo stesso tempo - ripetizione casuale? – la cosa che si acquista capendone il valore di scambio. Io lo spendo per acquistare il mio tempo".
Tra insegnamento, scrittura e bicicletta, immagino che le resti poco spazio per la vita privata.
"No, la maggior parte del tempo la passo a casa e la scrittura la condivido con mia moglie, che è la mia prima lettrice e ottima consigliera. La bicicletta la uso per spostarmi e da quando ho venduto la macchina i miei giri cicloamatoriali si sono ridotti del 90%: arrivare a casa e mettere in garage la bici per prendere un’altra bici…insomma, sono felicemente sazio di pedalare, e sempre con un po’ di appetito".
I suoi studenti sono più interessati alla sua attività di autore o di ciclista?
"Né all’una né all’altra, direi. Eventualmente alzano l’orecchio quando sentono parlare di bici perché c’è nell’aria profumo di gite e di avventura. Però il fatto che arrivi a scuola in bici con qualsiasi tempo suscita in loro un sentimento che è a metà tra la complicità e l’ammirazione".
Lo scrivere e il pedalare si somigliano in qualche modo?
"Mah, tutto ciò che si vive può essere scritto. Direi che in bici mi vengono in mente pezzi interi dei miei diari di viaggio. Ma scriverei anche andando a piedi. O non muovendomi. Le parole sono lo scheletro del pensiero, e nel mio caso non dipendono esclusivamente da una geometria di alluminio o d’acciaio. Amo più la penna della bici, e più la vita della penna. Anche se a volte, penna e vita…sì, non sempre le distinguo".
Molti dei suoi libri nascono da viaggi in bicicletta. Quale delle due attività trova più faticosa?
"Ah, nessuna della due. O almeno, ci sono pezzi di viaggio che possono essere faticosi e certi passi della scrittura che mi fanno penare. Ma la bici e la penna le ho volute io. Dunque: e adesso pedala, e adesso scrivi, caro Rigatti…E io obbedisco".
Vivere senz’auto in un paesino ai margini della provincia. Che cosa significa?
"Niente di particolare, in questo villaggio globale in rete. Forse – e purtroppo – ‘ai margini’ è un’espressione che vale poco, almeno nell’Italia nordestina. Ho la stazione dei treni a 7 chilometri, da lì posso prender il treno e arrivare a Vladivostok. O, più prosaicamente, a Padova a trovare mia madre e i miei fratelli. O a Trento a presentare il libro, ecco. Poi: amo la città ma preferisco vivere in campagna".
Suo figlio Amadeo l’accompagna spesso nei suoi viaggi su due ruote. Che consiglio darebbe ai genitori che volessero avvicinare i figli allo sport che amano?
"Consiglierei loro di farli avvicinare allo sport che amano i figli e non a quello che amano loro. Di non pomparli come ultràs quando fanno le partite di calcio o di pallacanestro. Di tenerli lontani dal calcio non perché sia uno sport brutto o malsano, ma perché è spesso praticato in modo diseducativo e con trainer da fucilazione. Di suggerire loro attività fisiche diversificate e motivate non solo dalla vittoria, ma anche dal piacere di muovere il corpo in armonia con la propria mente, e non con quella dell’allenatore o dei dirigenti. Quando Amadeo, dopo anni di basket, mi disse: ‘Papi, non ne posso più’, gli risposi: ‘Smetti subito’. Fu una liberazione: non sopportavo il tifo isterico dei genitori. Sa quanti sportivi buttano via lo sport per la sigaretta e l’alcol, dopo esservi stati imprigionati per anni? Lo sport dev’essere un bel gioco, anche con spirito agonistico, perché no? Ma gioco, avventura".
Cosa manca di più in Italia, le piste ciclabili o il coraggio di lasciare la macchina in garage?
"Indubbiamente la seconda che ha detto. La velocità negli spostamenti è confusa con la libertà, che sappiamo essere un concetto quasi indefinibile. La lentezza è considerata come una limitazione, come una forma di prigionia. Ed è vero per molti, perché chi è disabituato al piacere di pensare ha il terrore di restare solo con se stesso: senza guidare, senza produrre, senza guardare la tv, senza fare shopping o un’altra attività che liberi dalla prigione del pensiero. E’ la libertà moderna: il sonno della tv genera mostri, per molti.. Dico la mia sulle piste ciclabili: i ciclisti fanno parte del traffico e più passa il tempo e più vedo che le piste sono spesso pensate come discariche o riserve indiane per pedalatori, che le condividono con cassonetti delle immondizie e auto parcheggiate. Non mi dispiace più di tanto il condividere la strada con le auto – ci sono anche gli automobilisti, al mondo…- e preferisco uno spazio marcato da una linea di pittura sull’asfalto piuttosto che i cordoli, che tra l’altro tolgono centimetri preziosi alla viabilità. Le grandi vie ciclabili come quelle dell’Adige o della Valsugana, le trovo splendide. Credo che piste e spazi dedicati siano molto utili in città, perché proteggono i fortunati volonterosi che le usano da una promiscuità che, se non regolata, può essere pericolosa per l’elemento debole. Confesso un sogno inconfessabile: che si arrivi un giorno a firmare delle petizioni affinché gli automobilisti abbiano il diritto anche loro a uno spazio carrabile. Sarò tra i firmatari". Prima di rientrare a casa, Emilio Rigatti ha pedalato un po’ sulla ciclabile della Val d’Adige con una classe di terza media di Rovereto che si apprestava a partire per la Germania, per affrontare, insieme ad una terza della scuola media di Gardolo, la famosa ciclabile Passau-Vienna, circa 330 km lungo il Danubio. Ma questa è un’altra bella storia, che racconteremo un’altra volta.

Intervista di Chiara Santamaria da "Questotrentino" n°11/08




INCANTO NOTTURNO

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Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

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Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
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PASSATO

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Foto Orco

ANCORA ROSA

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Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

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TESERO DI BIANCO VESTITO

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LA BAMBOLA SABINA

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LA VAL DEL SALIME

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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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MINU

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