24/05/08

PERICOLO NUCLEARE


Il più grande incidente nucleare della storia: 26 aprile 1986, durante un esperimento, gli operatori della centrale sovietica di Chernobyl persero il controllo del reattore che esplose emettendo una quantità gigantesca di radioattività che nei giorni immediatamente successivi al disastro contaminò mezza Europa. Generando deformità e sofferenze di cui si hanno testimonianza diretta nelle lande bielorusse. In Italia lo spavento fu tale che con un referendum fu vietata la costruzione di nuove centrali sul suolo italiano. Passata la paura, sembra che oggi la lobby nucleare stia rialzando la testa. Il ministro Scajola, spalleggiato dalla collaterale neopresidente di Confindustria Emma Marcegaglia, ha lanciato la parola d'ordine: nucleare a oltranza. La Edison, il 13 marzo scorso, ha pubblicizzato un proprio studio che prevede la costruzione di 5-10 centrali nucleari entro il 2019, facendo circolare una mappa di 10 siti ritenuti adatti ad ospitarle. La A2A milanese-bresciana ha comunicato di aver affidato a cinque università milanesi una studio che suggerisca al governo modi e tempi per il ritorno dell'Italia al nucleare. Mentre i media italiani affilano le armi per un prossimo dibattito tutto orientato al sì (per la crescita e la modernizzazione, of course), ecco che dalla Germania giunge nel più completo silenzio un altro studio, dell'Università di Meinz, pubblicato lo scorso dicembre sullo European Journal of Cancer, che dimostra che i bambini che vivono in un raggio di 5 km da un impianto nucleare corrono un rischio più elevato di contrarre precoci e gravissime forme di cancro. I ricercatori di Meinz si sono concentrati, in particolare, sull'area attigua alla centrale nucleare di Krummel, dove è stato rilevato un eccezionale incremento delle leucemie, tanto infantili, quanto degli adulti. Una ricerca applicata anche a tutte le altre 16 centrali atomiche tedesche e che ha dato i medesimi risultati (incidenza di leucemia: 37 casi su 16 attesi). Di fronte a questi risultati è confermato ancora una volta che anche le basse dosi di radiazioni che fuoriescono dagli impianti nucleari durante il loro normale funzionamento sono comunque pericolose e nocive. Mentre sono incontestati i danni alla salute umana provocati da un incidente in una centrale nucleare, il normale esercizio di un impianto è considerarato innocuo. Un altro mito da sfatare, aspettando che anche in Italia venga aperto un dossier sulle conseguenze delle "basse dosi di radiazioni". Si profila una nuova battaglia anti-nucleare. Non facciamoci trovare impreparati.

Marco Ghisolfi

22/05/08

VOLGARITA', INDIFFERENZA E CINISMO, QUESTA NON E' PIU' LA MIA ITALIA


Io non mi riconosco più nel mio Paese. Ogni volta che torno da un viaggio all'estero, e ho quindi quel "recul", quel distacco che è necessario all'osservazione e che manca quando stai troppo dentro una situazione, vengo colpito da come ci siamo ridotti. La straordinaria maleducazione, il cinismo, l'indifferenza. Il lettore ricorderà, forse, quel povero portinaio precipitato dal quarto piano sulla strada, a Porta Pia a Roma. Ebbene, i passanti tiravano dritto, presi dai loro impegni, e se il cadavere si trovava proprio sulla loro direttrice, lo scavalcavano. In un'Italia d'altri tempi non sarebbe stato nemmeno pensabile. Ma ciò che più mi colpisce è la nostra volgarità. Eppure non è stato sempre così. L'Italiano era anzi conosciuto per una sua naturale e popolana grazia, che insieme alle città d'arte, oggi distrutte dal turismo di massa, e alla bellezza del territorio, oggi distrutta dalla cementificazione, era uno dei motivi che attiravano i ricchi inglesi e francesi a fare il classico "tour d'Italy". Ma non è necessario risalire all'Ottocento o ai primi del Novecento per ritrovare questo tipo d'italiano. Rivedetevi, se vi capita, i filmati dei funerali di Fausto Coppi, seguiti da un'enorme folla di estrazione ovviamente popolare. La gente è vestita modestamente, ma è composta e dignitosa. I volti sono intensi e persino belli nella loro asciuttezza. Nessun sgangherato applauso accoglie la bara all'uscita dalla chiesa. La folla onora in silenzio il suo campione. La commozione, autentica, è tutta interiore. Ho citato i funerali di Coppi perché mi sono ben presenti, ma la stessa antropologia la trovate in qualsiasi documentario degli anni '50. Oggi se ti azzardi ad accendere la TV sei investito da spettacoli orripilanti: gente che ti rovescia addosso i suoi sentimenti più intimi e persino le proprie budella (del resto non c'è una pubblicità che reclamizza un prodotto che "ti aiuta a ritrovare la tua naturale regolarità"?). Cammini per le strade della tua città e sfiori i tavolini di certi locali trendy, carissimi, popola ti da un sottobosco dai mestieri indefinibili, griffati dalla testa ai piedi, inguaribilmente kitsch. Non sanno che Lord Brummel diceva che la vera eleganza è quella che non si nota. Ma probabilmente non sanno nemmeno chi fosse Lord Brummel. In compenso sanno benissimo chi è Luisa Corna. A noi ci ha rovinato il benessere. Con questo delirio degli "status symbol", queste sfacciate opulenze, vere o presunte, il disprezzo per i poveri, nessuno accetta più di stare nei propri panni. E la volgarità è proprio un "non stare nei propri panni". Un primitivo può essere rozzo, ma non è mai volgare. Voi avrete forse visto, a volte, all'aeroporto certe gigantesche principesse nere avvolte nei loro abiti tradizionali. Sono eleganti. Vestite all'occidentale sarebbero ridicole. Ecco noi, con questa smania di uscire dall'anonimato della società di massa, siamo diventati ridicoli. Un'altra cosa che mi colpisce è il crollo di un elemento decisivo per la coesione di una società. Di qualsiasi società, vale a dire l'onestà. Quando ero ragazzino, negli anni '50, l'onestà era un valore per tutti. Per la borghesia, se non altro perché dava credito, per il mondo operaio, per non parlare di quello contadino dove la classica stretta di mano valeva, come suol dirsi, più di qualsiasi contratto. Chi tradiva questi principi di lealtà verso i propri concittadini veniva inesorabilmente emarginato. Oggi avviene il contrario. Guardo alla tv i nostri uomini politici, di destra e di sinistra, e mi chiedo perché mai questi personaggi da avanspettacolo devono comandarci. E il ricordo va all'austerità di Luigi Einaudi, di Alcide De Gasperi, di Giorgio Amendola , di Giovanni Spadolini. Il mondo è cambiato, si dirà. È vero. Oggi, in Italia, si può diventare ministri arrivando direttamente dallo show-business. Giorni fa un amico londinese mi diceva, con una piega beffarda che gli stirava le labbra sottili: "Qui in Gran Bretagna si ride di voi". Ho risposto: "Non c'è bisogno di essere stati educati ad Oxford per ridere dell'Italia . Neanche nel Burkina Faso ci prendono sul serio".

Massimo Fini

UN BRUTT'APPLAUSO


Dei tre minuti di silenzio osservati dai cinesi per le vittime del terremoto colpiva soprattutto una cosa: il silenzio. Nelle immagini televisive nulla sembrava poter distogliere dal loro rigore quei corpi immobili e quelle labbra serrate. Un miliardo e trecentomila persone capaci di tenere la bocca chiusa e le mani ferme per tre minuti (il totale fa 7415 anni di silenzio: praticamente un’era glaciale). Il confronto con i funerali della ragazza di Niscemi assassinata dai coetanei non avrebbe potuto essere più deprimente. Applausi scroscianti alla bara, persino durante l’esecuzione del «Silenzio» da parte di un trombettiere. L’applauso in chiesa o durante le commemorazioni negli stadi è un segnale drammatico di decadenza, tanto più perché pochi sembrano darvi peso. E’ figlio della maleducazione televisiva ed esprime l’ansia di riempire un vuoto. Nelle civiltà in declino ha perso il significato originario di approvazione ed è diventato il modo di comunicare agli altri la propria esistenza. Si applaudono i morti per sentirsi vivi, senza esserlo davvero: solo dei morti viventi, infatti, possono avere tanta paura del silenzio, che li costringe a sintonizzarsi con la parte più profonda di se stessi. Ma il ribaltamento degli impulsi naturali ha trasformato il silenzio in un segnale di freddezza e l’applauso in una forma di partecipazione. I cinesi cominceranno a perdere colpi il giorno in cui scopriranno che muovere le mani e la bocca è un ottimo sistema per mettere a tacere il cuore.

Massimo Gramellini

21/05/08

S.U.V.? NO GRAZIE!


Da sabato 1 marzo 2008 il Comune di Brunate (1792 abitanti), piccolo borgo sopra la città di Como e splendido balcone panoramico sul lago e sulla pianura, è vietato alle auto di grosse dimensioni. Lo ha deciso il sindaco Darko Pandakovic, che ha firmato un'ordinanza che vieta il transito nelle strette vie del paese di tutte le auto dalle ruote superiori ai 73 centimetri di diametro o agli automezzi larghi più di un metro e 84. Il divieto, che vale tutti i giorni dalle 7 alle 20, si applica ai cosiddetti Suv, ma non solo: nell'elenco delle auto che non possono circolare figurano anche delle monovolume popolari, come ad esempio la Fiat Multipla. «Qualcuno vorrebbe dare a questa ordinanza una connotazione ideologica, che invece non c'è» spiega il sindaco, noto architetto. «Con l'ordinanza non intendiamo bloccare la circolazione, ma renderla più agevole, consapevoli che i problemi crescono di anno in anno, e che senza una regolamentazione gli automezzi più grossi continueranno a salire fino a paralizzare il traffico». Il problema di Brunate è quello di tanti Comuni abbarbicati sulla montagna e attraversati da un dedalo di viuzze: il calibro delle strade, anche dell'unica che attraversa tutto l'abitato e si arrampica sino al faro voltiano di San Maurizio, è troppo stretto. Due auto già faticano a incrociarsi, a maggior ragione due Suv o due fuoristrada. Né c'è lo spazio per fare manovra, a meno di percorrere lunghi tratti in retromarcia e creare nuove colonne. Dal divieto sono esentati i residenti, che però devono chiedere il rilascio di un permesso in municipio, e i veicoli commerciali per carico e scarico, sempre che le loro dimensioni siano "funzionali all'attività svolta". A nulla è servita la mobilitazione dei titolari di alberghi e ristoranti, che temono una flessione della clientela che sale da Como o Milano, o dalla Brianza. Né è servito rivolgersi al prefetto o all'Aci: l'ordinanza è entrata in vigore. Senza colpo ferire, peraltro: nella prima giornata il vigile non ha elevato contravvenzioni. L'alternativa a salire in auto, comunque, c'è: è la funicolare da Como.

20/05/08

NUCLEARE: SI O NO?


Davvero il nucleare è la soluzione? L’alternativa delle fonti rinnovabili è fatta di idroelettrico, eolico, geotermia, solare fotovoltaico e termodinamico. E di nuove idee.

Il nucleare torna a passo di carica. Se ne sente un gran parlare in giro. Ma a cosa è dovuto il fascino di questa tecnologia da cui l’Italia ha divorziato con il referendum del 1987? Almeno tre ci sembrano gli aspetti da analizzare. La sicurezza: è vero che il nucleare è una fonte energetica sicura? Certamente l’uranio è più sicuro del petrolio, non fosse altro per il fatto che è estratto soprattutto in paesi “amici” quali il Canada, l’Australia, gli Usa ed il Sudafrica. È però vero che anche l’uranio è in via di esaurimento: ai ritmi di estrazione attuali rimangono pochi decenni di uranio a prezzi contenuti. Quindi in termini di strategia geopolitica il nucleare è un’alternativa migliore del petrolio, ma il suo rapido esaurimento creerà inevitabilmente tensioni nel tempo. Niente emissioni: è vero che il nucleare risolverebbe il problema delle emissioni di gas serra? Un reattore nucleare non emette anidride carbonica, poiché non c’è combustione; resta però il problema delle scorie, tuttora irrisolto. Persino alcuni ambientalisti pragmatici si sono lasciati sedurre dall’argomento che il nucleare è la fonte di energia meno problematica per il riscaldamento climatico. Argomento che va circostanziato. Per esempio: la Francia ha 59 centrali nucleari che coprono il 76% del fabbisogno energetico nazionale: forse dovrebbe chiudere le sue centrali e rimpiazzarle con le uniche tecnologie esistenti oggi, cioè le turbogas o peggio ancora le centrali a carbone? Assolutamente no: sarebbe una follia economica e ambientale. Ora prendiamo il caso dell’Italia: nessuna centrale nucleare e produzione della gran parte dell’energia bruciando gas e carbone. Che fare? C’è chi sostiene che dovremmo passare nel giro di pochi anni attraverso investimenti massicci al nucleare: ciò significa costruire almeno una centrale nucleare per regione per coprire meno di un quarto dei nostri consumi. Per di più farlo ora significa investire in tecnologie che hanno tutti i problemi di scorie e sicurezza che conosciamo. Il nostro Paese deve ora sostituire la fonte energetica principale - i combustibili fossili - con qualcos’altro: in ogni caso, sia nucleare che rinnovabili rappresentano una sfida che anche finanziariamente è molto impegnativa. Ma un’analisi ragionata ci offre molte ragioni per pensare che gli investimenti ingenti necessari siano meglio spesi per tentare la via delle rinnovabili: alcune sono già oggi economicamente convenienti anche rispetto a gas e carbone, altre lo potrebbero diventare presto, altre ancora necessitano di ricerca e sperimentazione. Passiamole brevemente in rassegna. L’idroelettrico. Oggi quasi tutta l’energia rinnovabile prodotta in Italia arriva dall’idroelettrico che copre circa il 15% della produzione totale. Sono limitati gli spazi per la costruzione di nuove grandi dighe ma uno sviluppo interessante viene dal micro e mini idroelettrico, e cioè all’installazione di piccoli impianti che generano energia dal flusso normale di fiumi e torrenti. L’eolico. L’energia prodotta dal vento ha costi di produzione ai livelli delle fonti non rinnovabili. In paesi come la Spagna e la Danimarca copre già oggi una percentuale importante del fabbisogno nazionale. In Italia siamo indietro perché da noi, invece dei forti venti atlantici soffiano i venti del Nimby (acronimo inglese per Not In My Back Yard, letterale "Non nel mio cortile") e di un certo ambientalismo conservatore che accusa i mulini eolici di avere un elevato impatto ambientale. Il solare fotovoltaico. I pannelli solari fotovoltaici sono una fonte per ora ancora costosa, per questo molti Paesi (compresa l’Italia con il Conto Energia) hanno promosso incentivi statali che la rendono più conveniente, nella speranza che i massicci investimenti portino con il tempo ad un radicale taglio dei costi. Se questo avverrà, l’autonomia energetica grazie al sole potrebbe diventare realtà e tutti i tetti degli edifici del paese potrebbero essere riconvertiti alla produzione di energia. Il solare termodinamico. La tecnologia del solare termodinamico è stata perfezionata dal premio Nobel Carlo Rubbia, che per un periodo è dovuto emigrare in Spagna per trovare ascolto e finanziamenti. Si tratta di sfruttare la vecchia intuizione di Archimede ed attraverso una distesa di specchi mobili governati dal computer, concentrare una grande quantità di luce solare su un contenitore di sali liquidi, i cui vapori – che raggiungono e mantengono per giorni temperature altissime – muoverebbero le classiche turbine che generano corrente elettrica. La tecnologia è già in funzione in alcune piccole e medie centrali in USA, Spagna ed Italia. Molti ritengono il solare termodinamico il futuro più credibile per le rinnovabili e il club di Roma (http://www.trecers.net/) si è di recente spinto ad ipotizzare una rete elettrica europea che preleva l’energia laddove la radiazione solare è più potente, sulle coste del nord Africa: coprendo di specchi il 0,3% delle sue superfici desertiche si produrrebbe l’energia elettrica necessaria al fabbisogno energetico attuale e potenziale dell’intera Europa. Ne servirebbe quindi molto meno per coprire solo una fetta del mix energetico necessario. La nuova geotermia. È forse dalla geotermia che potrebbero arrivare le più grosse sorprese soprattutto per il nostro paese. Già oggi in Italia abbiamo importanti centrali geotermiche come quelle di Lardarello e del monte Amiata. In tutto il mondo si studia la possibilità di sfruttare quell’enorme quantità di calore sotterraneo dovuto ai vari assottigliamenti della crosta terrestre presenti anche nel nostro Tirreno e nei dintorni dei vulcani d’Italia. Il potenziale energetico della geotermia di nuova generazione è enorme e paradossalmente le innovazioni tecnologiche necessarie per il suo sfruttamento stanno giungendo proprio da quel settore - l’estrazione petrolifera - che il geotermico e le altre fonti rinnovabili ci prospettano concretamente un giorno di superare.

Matteo Rizzolli

19/05/08

UN INSOLITO OTTETTO


In fa maggiore op. 166 (D. 803) per 2 violini, viola, violoncello, contrabbasso, clarinetto, corno, fagotto


Questo famoso lavoro che risale al febbraio del 1824 fu composto per un organico di 5 strumenti ad arco, compreso il contrabbasso, e 3 a fiato. Quell'anno costituì per Schubert un riaccendersi della vena creativa, dopo un periodo di crisi psicofisica. Vi si concentrano infatti le brillanti Variazioni per flauto e pianoforte D. 802 (gennaio), i Quartetti per archi in la minore e re minore "La morte e la fanciulla" (marzo), la curiosa "Sonata" per arpeggione e pianoforte D. 821 (novembre), il "Gran Duo" per pianoforte a 4 mani (giugno) ed altro ancora dei generi più diversi, dal Lied alla musica sacra.
Tutte pagine di altissimo livello che testimoniano come un'ispirazione fluente e fortissima fosse in grado di rigenerarsi immediatamente. Se è vero che l'Ottetto nacque con la condizione singolare di dover somigliare nelle sue linee fondamentali al conosciutissimo Settimino di Beethoven ed eseguito da una fitta schiera di esecutori ed ascoltatori per il suo linguaggio comprensibile e frizzante), ciò nonostante l'impronta schubertiana si mostra chiara e precisa. Comunica malinconici abbandoni e spensieratezza lontane, temi tipici delle opere più impegnate e di sofferta ricerca.
Il fascino di questa composizione, formalmente assai definita, sta nel semplice gusto popolare che vi aleggia, pervaso da atmosfere campestri, festive e confidenziali. La sintesi di elementi più o meno colti raccolti in una struttura che ricorda il Divertimento di stile settecentesco, si esprime nell'elevato numero di tempi e nella successione, indentica a quella scelta da Beethoven.
Dapprima l'"Allegro", introdotto da un breve "Adagio", quindi un "Adagio" in si bemolle maggiore dalla soave contabilità ed un "Allegro vivace" in forma di Scherzo, dal ritmo spigliato. Seguono un "Andante" che snoda sette variazioni sopra un tema tratto da Schubert dal proprio Singspiel comico "Die Freunde von Salamanka", seguito ancora da un semplice "Menuetto: Allegretto", e concluso dal più complesso finale "Allegro" preceduto anch'esso da una sezione "Andante molto" dal tono misterioso. Una breve ripresa annuncia la chiusa "Allegro molto". Commissionato dal conte Ferdinand Troyer, clarinettista dilettante, intendente dell'arciduca Rodolfo, l'Ottetto fu pubblicato nel 1853. (Durata 52 minuti)


18/05/08

SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO


Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.


Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.


Eugenio Montale - Ossi di Seppia

SI SOPRAVVIVE SOLO SE SI CAMBIA


Bali è tornato un posto di vacanze, comunque è “ieri”, e la crisi ambientale e eneretica è già domani. Tutto si muove a velocità pericolosa. La Commissione Europea , per esempio, non ha perso tempo e ha già varato, il 23 gennaio, un pacchetto di proposte per il contenimento del cambiamento climatico del pianeta, in linea con le decisioni del marzo 2007, cosiddette del “20-20- 20” . Cioè 20% di riduzione del gas “serra”, 20% di incrementi dell'efficienza, 20% di energie rinnovabili, il tutto entro il 2020. Il Parlamento Europeo, tramite la Commissione Temporanea sul clima, sta esaminando il pacchetto mentre ascolta scienziati e parti sociali. Sembra di poter dire che il legislatore europeo è consapevole dell'urgenza e dei pericoli che ci attendono se non agiremo in tempo. Eppure ci sono molti “ma”. Uno dei quali è che il tempo è davvero ristretto: solo 15 anni, all'incirca, dopodiché le buone intenzioni saranno da gettare alle ortiche e il riscaldamento climatico andrà oltre i 2 gradi che appaiono la soglia massima sopportabile dall'economia mondiale e dalla normale prosecuzione della vita umana sul pianeta. Ipoteca gigantesca, accompagnata da altri “ma”. Uno è che, invece di “progredire nel ridurre”, l'umanità del XXI secolo “regredisce nell'aumentare” (l'emissione di gas serra). Cioè si va allegramente verso il disastro. I virtuosi che hanno ridotto sul serio (dati Ocse 2005) sono solo quattro: Germania, meno 15,9% nel periodo 1990-2005; Regno Unito, meno 5%. L'Europa, grazie ai due suoi membri virtuosi, scende dell'1,3%, con una produzione globale annua di 3854 milioni di tonnellate di Co2. Il quarto è un virtuoso involontario, la Russia , che è scesa verticalmente più di tutti, addirittura del 29,5%. Ma è stato per il collasso della produzione industriale e agricola subito dopo la fine dell'Urss. Gli altri giganti mondiali hanno tutti ignorato gli avvertimenti di Kyoto. Gli Usa (che sono i primi produttori di Co2 con 5817 milioni di tonnellate) sono saliti del 19,9% e la Cina , che in valori assoluti è ancora indietro, è balzata a un incremento del 128,9%. Gli altri sono tutti molto poco virtuosi, inclusa l'Italia. Come si potrà negoziare un nuovo accordo mondiale in queste condizioni, anche se Cina, india e Brasile accettassero di partecipare, nessuno è in grado di spiegare. La crisi petrolifera farà il resto. Notizia tra il curioso e l'agghiacciante. Pechino ha un mare di carbone per fare fronte al suo fabbisogno energetico. E apre una nuova centrale elettrica a carbone ogni settimana in media. Purtroppo, per loro e per noi, bruciare carbone è una delle fonti più altamente produttrici di Co2. Gli Stati Uniti, dal canto loro, non parteciperanno allo sforzo comune. E gli altri “ma”, quali sono? Sono i nostri e di tutti. Perché la situazione è altamente asimmetrica. Il legislatore dovrebbe agire in base all'interesse comune e alla necessità imposta dai numeri. Ma gli interlocutori sociali rispondono in termini corporativi, difendendo ciascuno i propri interessi. Che sono reali, sia ben chiaro, ma non quadrano con le necessità oggettive. Gli industriali dicono che non ce la fanno a riorganizzare i processi produttivi e che, anche se ci fosse il tempo, i costi sarebbero troppo alti e perderebbero in competitività rispetto a chi non farà nulla. Quindi, se si preme troppo, loro minacciano di andarsene, delocalizzando. Anzi lo fanno già. E là dove vanno fanno peggio di qua. I sindacati, quando parlano di questi temi, e lo fanno con molta reticenza, si preoccupano dei posti di lavoro. E, del resto, i lavoratori non si delocalizzano. Cioè stiamo andando verso una situazione insostenibile. In cui nemmeno il migliore, il più onesto e competente dei governanti (e la materia scarseggia su questi fronti, come ben si sa) potrà prendere le decisioni drammatiche che c'impongono quando si troverà a dover fronteggiare una opinione pubblica che, non sapendo il perché (visto che nessuno glielo spiega), sarà ostile e riottosa su tutti i fronti. Così i cambiamenti s'imporranno drammaticamente, al di sopra e al di fuori della volontà di tutti. Perché in tutta questa storia c'è un protagonista assoluto, che non ascolterà nessuno perché è del tutto sordo, senza pietà e senza morale. La Natura non tratta con noi e non aspetterà.


Giulietto Chiesa

INCANTO NOTTURNO

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Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

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Bepi Zanon

TESERO 1929

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PASSATO

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ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
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VIA STAVA ANNI '30

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TESERO DI BIANCO VESTITO

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LA BAMBOLA SABINA

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LA VAL DEL SALIME

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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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